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04/09/2020

Libano - L'ingegneria finanziaria del governatore della banca centrale

di Michele Giorgio – il Manifesto

La Banque du Liban, la Banca centrale libanese (Bcl), farà ciò che è necessario per far avanzare i colloqui in stallo tra il Fondo monetario internazionale e il governo in via di formazione. Assicura inoltre che non metterà fine al tasso di cambio doppio che frena, in parte, l’impennata dei prezzi dei beni essenziali.

Usando il tono del buon padre di famiglia, Riad Salameh, governatore da 27 anni della Bcl, qualche giorno fa, in una intervista, è apparso insolitamente comunicativo e disposto a contribuire alle ricette che dovranno essere adottate per rimettere in piedi un paese sommerso dal debito pubblico (175% del Pil) e dal debito estero. Salameh si è detto anche pronto ad aprire i libri della Bcl e ad appoggiare una verifica accurata dei conti delle banche private che da sempre protegge come fossero sue figlie.

È impressionante la considerazione di cui lo zar della Bcl ancora gode a Beirut e all’estero, nonostante il disastro finanziario del paese dei cedri e il tonfo della lira libanese. Una benevolenza non accordata ad altri protagonisti della crisi. Nella visita del 6 agosto a Beirut, dopo l’esplosione al porto della capitale, Emmanuel Macron – stando alle rivelazioni sulle intenzioni del presidente francese fatte da Le Figaro e costate una sonora strigliata pubblica all’inviato del giornale, George Malbrunot – avrebbe esortato Mohammad Raad, alto dirigente di Hezbollah e volto politico del movimento sciita, a dimostrare di «essere libanese» e di contribuire con decisioni coraggiose a salvare il paese.

Macron, sempre secondo Malbrunot, nella sua veste di santo patrono del Libano, potrebbe sanzionare i dirigenti libanesi che non faranno la loro parte. Anche Salameh? Difficile crederlo. D’altronde le manifestazioni popolari in corso dallo scorso ottobre – contro la classe politica, il malgoverno e la corruzione – se da un lato hanno preso di mira anche le banche dall’altro hanno solo sfiorato il governatore della Bcl. Anzi qualcuno ha persino applaudito quando Salameh, presentando stime delle perdite ampiamente diverse da quelle del governo, ha silurato il piano presentato dal premier dimissionario Hassan Diab – approvato dall’Fmi – per ottenere un finanziamento vitale di 10 miliardi di dollari.

Nei mesi scorsi Salameh ha ridimensionato, e non di poco, le perdite accumulate sia dalla Bcl che dalle banche private. «Dallo scoppio della crisi, il governatore ha raramente parlato ai libanesi – ci dice Hicham Safieddine, docente al King’s College di Londra e autore di Banking the State sul ruolo avuto dalla Bcl nella storia del Libano e nel disastro economico e finanziario di questi ultimi anni – Salameh non ha preso misure decisive e non ha ordinato controlli sui capitali o sostenuto verifiche della condizione e delle scelte delle banche private (detengono il 50% del debito pubblico, ndr) che pure stanno giocando un ruolo negativo nella crisi». La gestione di Salameh ha oscurato l’immagine positiva che la Banca centrale si era guadagnata negli anni della guerra civile (1975-90) rimanendo resiliente di fronte al conflitto e relativamente immune alla manipolazione settaria.

Hezbollah è preso di mira da una parte dei libanesi. In questi anni di fatto ha partecipato al malgoverno rimanendo in silenzio di fronte alla corruzione dei suoi partner nell’esecutivo. Ma non è responsabile del dissesto finanziario del paese che affonda le sue radici nelle politiche svolte dal premier sunnita Rafik Hariri, assassinato a Beirut nel 2005.

Divenuto premier al termine della guerra civile, Hariri ha abbracciato senza riserve le politiche neoliberiste e ha abbinato alle privatizzazioni la costruzione massiccia di immobili nel centro di Beirut. Le sue politiche hanno prosciugato le casse pubbliche e arricchito i privati oltre ad innescare gentrificazione e rentierizzazione, un’impennata dei prezzi degli immobili e un aggravamento delle disuguaglianze sociali.

E i suoi progetti edilizi e infrastrutturali sono stati fondati in gran parte sul debito pubblico e non sulla tassazione della fascia più ricca della popolazione. Perciò dopo anni hanno trasformato il Libano in debitore cronico. E le banche libanesi sono state in grado di garantirsi un livello elevato di profitti grazie anche all’ingegneria finanziaria della Bcl sotto Riad Salameh.

Hariri reclutò nel 1993 il 42enne Riad Salameh che, divenuto governatore, fece della Banca centrale un pilastro a sostegno delle politiche del premier. «Il neoliberismo di Hariri – afferma Safieddine – le leggi fiscali e le privatizzazioni, sono tra le cause della catastrofe finanziaria attuale».

Tuttavia, aggiunge, «anche i signori del conflitto settario e l’oligarchia bancaria sono parte del problema. Hanno beneficiato delle scelte di Hariri, facendo poi ben poco per annullare la sua pesante eredità».

Salameh intanto va avanti, certo che continuerà a regnare indisturbato. Da qualche giorno afferma che le banche dovranno ristrutturare e ricapitalizzare e se non si conformeranno alle sue decisioni saranno rilevate dalla banca centrale. Pochi però credono che userà il bastone e non la carota, come ha fatto sino ad oggi, con i banchieri che lo adorano: il governatore è un simbolo del laissez-faire.

E il presunto esecutivo del risanamento in via di formazione si adeguerà presto, negando la giustizia sociale, un sistema fiscale progressivo, l’assistenza sanitaria pubblica e gratuita e l’istruzione accessibile a tutti che sognano i libanesi.

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