Ci siamo già soffermati sulla
natura bestiale dei tagli alla sanità pubblica italiana e sugli effetti
nefasti di tali tagli sulla vita delle persone. Abbiamo visto che dal
2009 al 2018, nel nostro Paese, c’è stata una riduzione, in termini
reali, della spesa sanitaria di circa 26 miliardi: una diminuzione pari,
all’incirca, al 12%. Se si considerano spesa corrente e investimenti
nel settore sanitario, la riduzione della spesa pubblica, tra il 2009 e
il 2018, è stata pari al 13%.
Le conseguenze di questi tagli si sono
viste nel pieno dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, quando il
servizio sanitario nazionale ha rischiato di collassare (e, in alcune
aree, quelle più colpite dall’epidemia, è crollato) sotto il peso dei
ricoveri giornalieri e dei malati in terapia intensiva. Il tutto, in
omaggio all’austerità e alla disciplina di bilancio: un sacrificio
rituale collettivo per fornire linfa vitale al capitale.
La ricerca del profitto a tutti i
costi, però, non contribuisce solo a rendere palesemente inadeguati i
sistemi sanitari nazionali nell’affrontare eventi imprevisti come una
pandemia, ma incide anche, a livello nazionale e globale, sulla capacità
di prendere misure preventive e di profilassi. Il capitalismo ci
mostra, ancora una volta, il suo volto avido e ingordo nella corsa al vaccino contro il Sars-CoV-2: persino quando si decide della vita o della morte delle persone, la logica resta quella del profitto.
Oxfam, una confederazione
internazionale di organizzazioni non governative (ONG) che operano nel
campo della lotta alla povertà, denuncia che
oltre la metà della futura fornitura dei principali vaccini
anti-Coronavirus, attualmente in fase di sviluppo, è già stata
acquistata da un piccolo gruppo di Paesi ricchi. Si tratta, dal punto di
vista della popolazione mondiale, di un club molto esclusivo, poiché i
Paesi in questione ospitano appena il 13% della popolazione mondiale. In
altri termini, ciò vuol dire che anche laddove tutti e cinque i vaccini
attualmente allo studio dovessero rivelarsi efficaci, oltre il 60% della popolazione mondiale dovrà fare a meno del vaccino fino al 2022.
A prevalere, dunque, al di là di tutti
i proclami solidaristici, non è la fratellanza internazionale, ma la
legge del più forte. Nel sistema capitalistico, anche un vaccino salva-vita diventa una merce da vendere e da cui trarre profitto.
Sarà nei Paesi più ricchi che si produrrà prima il vaccino e, in ogni
caso, saranno questi i Paesi che potranno permettersi l’acquisto delle
prime dosi.
In questo contesto, poi, i primi Paesi
che saranno immunizzati dal virus potranno far ripartire più
rapidamente le proprie economie, magari incrementando le esportazioni e
attirando turisti. Ecco che il vaccino assume una valenza strategica e
geopolitica, come se fosse una nuova tipologia di arma.
Questa vicenda si inserisce nella più
ampia questione dei brevetti sui farmaci. Senza brevetti sarebbe
possibile produrre medicine oggi costosissime a prezzo bassissimo in
qualunque Paese del mondo, anche in quelli più poveri. Come è possibile?
Il motivo è che il profitto delle case farmaceutiche, grazie alla
protezione garantita dai brevetti, è altissimo su ogni medicina venduta.
Venuto meno il profitto, il costo di produzione sarebbe spesso risibile
(si pensi alle vicende legate ai farmaci anti AIDS o alla questione della produzione dei farmaci in India senza brevetto).
Alcuni sostengono, però, che se le
case farmaceutiche non fossero spinte dal profitto, non investirebbero
in ricerca e non avremmo nessuna medicina, né a caro né a basso
prezzo. Tuttavia, vi sono due ordini di obiezioni a questa idea
infondata. In primo luogo, data l’elevatissima profittabilità delle
imprese farmaceutiche, lo Stato e le organizzazioni sovranazionali
potrebbero adottare scelte politiche volte a favorire l’accesso di gran
parte della popolazione mondiale ai farmaci e ai vaccini, senza per
questo rendere il settore così poco profittevole da ridurre gli
investimenti privati. Inoltre, a priori, finanziando la ricerca pubblica
si potrebbe sostituire gran parte di quella privata, potendo
raggiungere risultati rilevanti anche in settori non remunerativi,
ma necessari per la salute degli esseri umani (come farmaci per
patologie diffuse nei Paesi poveri, si pensi alla triste vicenda
dell’epidemia di ebola in Africa).
La realtà, però, è ben diversa. Negli USA la sanità è privata, mentre l’Europa, fiaccata da decenni di tagli a istruzione e ricerca, spende sempre meno nella ricerca pubblica.
Il risultato è che la ricerca farmaceutica mondiale è portata avanti da
pochi gruppi interessati alla massimizzazione dei profitti anziché al
benessere degli esseri umani. Ne consegue che anche la decisione delle
linee di ricerca è dettata da quanto queste possano rivelarsi
redditizie. E la redditività di una produzione dipende in maniera
cruciale dal potere d’acquisto dei consumatori nei mercati di sbocco (e
dalla differenza rispetto ai costi di produzione).
I Paesi ricchi spendono moltissimo per acquistare farmaci sempre più costosi (in Italia nel 2019 la spesa farmaceutica è
stata di oltre 18,5 miliardi di euro), prodotti da multinazionali che
vedono aumentare esponenzialmente i propri profitti. Nei Paesi poveri,
invece, la possibilità di accedere a molte cure è del tutto esclusa – ad
esempio, alcuni farmaci oncologici costano centinaia di migliaia di euro,
ma esistono anche farmaci ben più cari. Le stesse forze che nelle
economie avanzate impoveriscono i lavoratori tengono fuori interi Paesi
dall’accesso ai farmaci.
Come ormai ben sappiamo, tutto ciò non
avviene per errore, non è un inconveniente che si è manifestato lungo
il percorso, ma una realtà connaturata al capitalismo. È una logica che
muove tutto nella nostra società: aumentare il più possibile i profitti.
Laddove ci sarebbe bisogno di uno sforzo congiunto di tutti i Paesi
intorno alla ricerca scientifica, alla produzione e alla diffusione di
un vaccino, si procede in ordine sparso, e le prime preziosissime dosi saranno riservate al miglior offerente.
A farne i conti, come sempre, saranno i più poveri, mentre il capitale
potrà continuare a prosperare: una iniquità che trova nella storia del
vaccino anti-Coronavirus una parabola esplicativa di drammatica potenza.
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