Le banchine genovesi sono in agitazione. Sono probabili scioperi nei prossimi giorni ma non è facile districarsi nelle dinamiche interne. Il Porto è l’industria principale di Genova in un settore, quello della logistica e dei trasporti, centrale per il futuro della città. E dove lavorano migliaia di lavoratori. Ne parliamo con Josè, un compagno di USB Porto e del Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali.
1) Sono giorni in cui tra i lavoratori portuali c’è parecchia agitazione. Ci pare che le questioni siano sostanzialmente due: la recente fusione tra le aziende PSA e Sech, la presentazione dell’organico dei lavoratori portuali in scadenza e su come sarà quello nuovo. Le due questioni potrebbero essere collegate. Cominciamo però con una domanda generale in quanto non è facile districarsi nella geografia del lavoro nel Porto. Esistono diversi datori di lavoro (principalmente terminalisti e la Compagnia Portuale). Come viene gestita la forza lavoro? Come è ripartita tra la storica compagnia e i terminalisti?
Il porto è composto da vari terminal su banchine pubbliche demaniali in mano a varie società (Spinelli, Terminal San Giorgio, PSA, etc.) che gestiscono il lavoro in base alla legge 84 del 1994, dove le varie mansioni sono divise in base agli articoli 16, 17 e 18.
L’articolo 18 prevede che la gestione della banchina si faccia attraverso i lavoratori interni delle ditte terminaliste. L’articolo 17 corrisponde al lavoro a chiamata gestito dalla CULMV. L’articolo 16 riguarda le agenzie del lavoro interinali (quella specifica del porto di Genova, in questo momento, è INTEMPO). In caso di lavoro routinario ogni azienda terminalista usa i suoi addetti. In caso di carico eccessivo (e con il gigantismo navale è una regola frequente) si coinvolgono gli articoli 17 della CULMV che, in caso di mancanza di numeri e a cascata, coinvolgono gli interinali. In totale ci sono circa 2500 lavoratori di cui un migliaio gestiti dalla CULMV, per il resto gestiti dai terminalisti.
2) Una delle battaglie che definiscono storicamente la linea di azione del Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali, che ora avete portato in USB Porto, è la parificazione dei diritti tra gli addetti. Ci puoi spiegare brevemente la stratificazione interna tra i lavoratori?
Per i lavoratori assunti dai terminalisti il problema non è la Compagnia Portuale, per i soci della compagnia il problema non sono i lavoratori dei terminal. Esistono delle differenze contrattuali che prevedono per le aziende private una maggiore rigidità oraria. Contemporaneamente gli accordi aziendali prevedono che, in caso di scarso lavoro, i lavoratori dei terminal abbiano maggiori garanzie salariali. Il problema è quindi garantire condizioni migliori per tutti. Ad esempio ai lavoratori della Compagnia andrebbe garantita l’indennità di reperibilità. Il problema più grande è quello degli interinali con tutto il carico che ci immaginiamo per lavoratori del tutto precari.
3) Fatta questa premessa, entriamo nell’attualità. USB Porto ha dichiarato che il piano dell’organico (quello in scadenza presentato dall’Autorità Portuale) non fornisce alcuna garanzia. Puoi spiegare perché?
Diciamo innanzitutto che il testo presentato, fin nelle prime righe, avverte che il documento andrebbe migliorato e dettagliato. Ciò viene detto dall’Autorità Portuale stessa. Quindi può e deve essere cambiato. Tale piano è, al momento, assolutamente schierato dalla parte dei padroni. Non è un testo accettabile per i lavoratori e neppure serve a favorire l’attività sulle banchine. Non si capisce infatti come dovrà essere gestito il lavoro sui terminal. Non c’è nessuna previsione dei traffici, non si fa nessun cenno alle ore lavorate e al tonnellaggio del periodo appena trascorso, nessun cenno ai dipendenti presenti, non viene specificato il numero di mezzi e ci sono altre mancanze. L’autorità dovrebbe anche garantire con numeri reali di aver rispettato le regole che impongono una percentuale massima di contratti a termine. Si tratta di un errore o, più semplicemente, nascondere i dati serve ad evitare che i lavoratori possano sapere quanto è stato prodotto e quindi avere una maggiore coscienza di ciò che gli spetta? Conoscere l’organico presente e capire quanto eventualmente è insufficiente servirebbe a capire come sopperire a tale mancanza, ad esempio assumendo gli interinali e aumentando, in generale, il numero degli addetti.
4) Nel criticare le mancanze del Piano presentato dall’Autorità Portuale avete fatto un riferimento al Piano presentato a Trieste. Quali sono le differenze fondamentali col piano presentato a Genova?
L’organizzazione a Trieste è completamente diversa rispetto a Genova. In quel Porto il ruolo dell’Autorità Portuale si sostanzia attraverso l’agenzia del lavoro portuale che gestisce direttamente la manodopera sui vari terminal, eliminando, di fatto, ogni possibilità di ricorrere a manovre per abbassare il costo del lavoro. A Trieste è stato presentato un piano di circa 250 pagine, a Genova il piano è di 40. Al di là delle dimensioni fisiche, il Piano di Trieste non è reticente come quello di Genova. Le garanzie per i lavoratori in quel modo possono essere fatte rispettare.
5) Nella vicenda riguardante i diritti dei lavoratori c’è sempre stato tra di voi il riferimento alla gestione del lavoro e dei diritti del Porto di Amburgo. Perché lo ritenete un esempio virtuoso?
Ad Amburgo esiste una agenzia del lavoro come a Trieste. Ma è di proprietà pubblica. Ci pare un esempio virtuoso, non sappiamo se replicabile in toto viste le differenze geografiche e storiche, ma ci pare un esempio su come una presenza pubblica forte possa garantire meglio i diritti dei lavoratori. Ad oggi, al netto che ai vari terminalisti viene assegnata la manutenzione delle banchine, tutto il lavoro e i macchinari sono in mano privata. Se i terminalisti decidessero di investire altrove, la città e lo Stato Italiano si ritroverebbero senza un Porto. Con tutto ciò che questo significa. Noi crediamo che occorra salvaguardare un bene pubblico fondamentale.
6) Veniamo alla fusione PSA (Singapore Port Authority) e Sech: cosa può rappresentare dal punto di vista di chi lavora?
Innanzitutto, è necessario presentare un contratto di rete con la creazione di una società terza per gestire la forza lavoro. Tale contratto deve essere presentato ai rappresentanti sindacali. Chiederlo non è un vezzo formale in quanto occorre capire come la nuova società intende utilizzare i lavoratori e impedire che la nuova scala societaria impatti con una diminuzione delle commesse per le altre agenzie e le compagnie presenti. Inoltre vi è un problema generale: già ora una ditta privata gestisce più della metà dei traffici su container. Con la nuova società si arriverebbe al 70 percento su una concessione pubblica, tra l’altro costruendo una nuova società, non per fare altro, ma fondendo due società che lavorano allo stesso modo. Ciò è, tra l’altro, vietato dalla legge per evitare monopoli nella gestione dei lavoratori. L’autorità portuale e il Ministero dei Trasporti dovrebbero intervenire per contrastare questa manovra e non per approvarla.
7) Ancora due domande: l’autorità Portuale è gestita da Paolo Signorini. Si tratta di una figura di riferimento del gruppo di potere creato intorno al Presidente di Regione Toti. In questo momento è entrato con incarichi forti anche un uomo del Sindaco Bucci (il Segretario Generale Marco Rettighieri). Voi avete criticato queste figure chiedendovi se lavorate in un porto del lavoro o in un porto del cemento? Riesci a spiegare cosa intendete?
È stato redatto un progetto (che da solo ha causato una spesa intorno ai 10 milioni di euro...) che prevede una spesa pubblica complessiva di circa 2 miliardi di euro. Si tratta di un enorme cantiere che prevede vari interventi sulle infrastrutture. Non vogliamo discuterne l’utilità perché non spetta a noi ma ci chiediamo come è possibile che non si faccia cenno a nessun progetto sul lavoro o su nuove assunzioni. È facile prevedere che spenderemo 2 miliardi di soldi pubblici per profitti totalmente privati. Quanti euro dei futuri guadagni finiranno nelle tasche di chi lavora?
8) Prima di salutarci ancora una domanda. Nei mesi scorsi avete lanciato un messaggio di dignità a tutta la classe operaia italiana bloccando la nave Bahri che trasportava materiale bellico per la guerra in Yemen. Un messaggio forte che diceva, non vogliamo solo lavorare ma vogliamo anche decidere cosa fare con il nostro lavoro. In città siete conosciuti e apprezzati per la vostra generosità in tutte le vertenze a favore dei lavoratori anche fuori dal Porto. Ci puoi spiegare in poche parole per quale motivo anche questa vertenza sull’organico parla a tutta la città, rappresenta un problema non solo sindacale ma anche politico, e riguarda quindi il futuro dei diritti a Genova?
In Porto (ed è che ciò viene taciuto nel testo presentato sull’organico) in 10 anni il traffico è aumentato del 70 percento. I lavoratori portuali sono sempre gli stessi e hanno una età media elevata. La città di Genova ha visto sparire negli anni molti posti di lavoro. La disoccupazione la fa da padrone. Le nubi sull’ILVA sono sempre più fitte. Chi lavora in città, soprattutto se giovane, è precario o è a nero in uno dei tanti posti di lavoro con cui Genova tenta di darsi un futuro da città vetrina. Il Porto rappresenta ancora uno dei luoghi centrali per la nostra città. Va regalato totalmente al monopolio privato? I padroni vogliono continuare ad aumentare i profitti senza neppure farlo sapere a chi lavora? Vogliamo capire se si ha intenzione di investire sul lavoro delle nuove generazioni e sui diritti oppure fare solo il gioco dei terminalisti.
A questo ci opponiamo, perché vogliamo un futuro in cui il Porto possa essere un traino, non solo per i profitti ma per tutti coloro che hanno diritto a un lavoro e a un minimo di tutele.
Noi pensiamo che il Porto con la sua storia sia un pezzo fondamentale della città. E la città, almeno per chi ci vuol vivere e lavorare, non possa fare a meno del suo Porto.
Intervista effettuata da Collettivo Comunista Genova City Strike
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