L’avvicinarsi di due delicate scadenze per Iran e Stati Uniti continua a rendere estremamente reale l’ipotesi di un qualche scontro armato tra i due paesi nemici. La fine imminente dell’amministrazione Trump e il primo anniversario dell’assassinio a Baghdad del comandante dei Guardiani della Rivoluzione iraniani, Qasem Soleimani, sono motivo di ulteriori tensioni in Medio Oriente, dove la mobilitazione militare americana, in collaborazione con Israele, rischia di avere conseguenze catastrofiche.
Soprattutto la data del 3 gennaio viene indicata dalla stampa USA come una possibile occasione nella quale la Repubblica Islamica potrebbe vendicare l’assassinio del generale Soleimani. Questa presunta minaccia giustificherebbe il dispiegamento di navi e aerei da guerra per scoraggiare un’eventuale iniziativa militare di Teheran. Fonti di intelligence occidentali hanno ad esempio parlato di una “prova di forza” congiunta tra Stati Uniti e Israele, concretizzatasi con il posizionamento nel Mar Rosso di due sottomarini dotati di armi nucleari, grazie anche al via libera del regime egiziano.
La decisione dei due governi alleati sarebbe così un messaggio all’Iran che qualsiasi tentativo di sfruttare il periodo di transizione politica in America e quello pre-elettorale in Israele per vendicare la morte di Soleimani avrà pesanti conseguenze. A rafforzare il concetto è stato anche il comandante delle forze armate israeliane, generale Aviv Kochavi, in un’intervista alla rete televisiva i24. A suo dire, ci sarebbe stato di recente un innalzamento della minaccia iraniana e lo stato ebraico è pronto a far pagare “caramente” ogni azione intrapresa dall’Iran o dai “suoi partner”.
Allo stesso scopo, mercoledì due bombardieri americani B-52 hanno sorvolato il Golfo Persico dopo essere decollati da una base nel North Dakota. Il Comando Centrale USA, responsabile delle operazioni in Asia occidentale ha spiegato che si tratta di “un messaggio e di un deterrente nei confronti di chiunque intenda minacciare gli interessi americani”. Secondo Fox News, l’intelligence americana avrebbe segnalato la preparazione di attacchi “complessi”, probabilmente dal territorio iracheno, che richiedono l’assistenza dell’Iran.
Questa versione degli eventi sembra in ogni caso ribaltare la realtà dei fatti. In primo luogo, l’Iran non ha alcun interesse a provocare gli Stati Uniti o Israele prima dell’insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca. L’uscita di scena di Trump apre infatti uno spiraglio, sia pure ristretto, per il ritorno di Washington nell’accordo sul nucleare di Vienna (JCPOA) e, soprattutto, per la cancellazione delle sanzioni punitive reimposte da Trump. Uno scontro armato da qui al 20 gennaio cancellerebbe perciò sul nascere qualsiasi ipotesi di disgelo.
Piuttosto, sono l’amministrazione repubblicana uscente e il premier israeliano Netanyahu ad avere tutta l’intenzione di legare le mani a Biden per rendere impossibile il processo diplomatico. Le iniziative di USA e Israele di questi giorni appaiono quindi come provocazioni per innescare la reazione della Repubblica Islamica e giustificare un’operazione militare mirata, se non addirittura su vasta scala.
Il pericolo di un’azione contro gli Stati Uniti o Israele è legato se mai alle attività di attori vicini all’Iran ma con una certa autonomia operativa, come i “ribelli” Houthis in Yemen o, ancora di più, alcune delle milizie armate sciite in Iraq. Queste ultime sono già da tempo protagoniste di attacchi missilistici contro la rappresentanza diplomatica USA a Baghdad, molto probabilmente contro le indicazioni di Teheran. L’episodio più recente risale a pochi giorni fa e aveva causato danni all’edificio che ospita l’ambasciata americana. In quell’occasione, il presidente Trump aveva apertamente minacciato l’Iran con un post pubblicato su Twitter.
L’aggressività nei confronti della Repubblica Islamica del presidente uscente si intreccia anche alle vicende interne agli USA ed è per questa ragione ancora più preoccupante. Continuano a susseguirsi infatti le voci di una possibile iniziativa militare americana all’estero, con l’obiettivo di creare una situazione di emergenza nazionale come extrema ratio per cercare di impedire l’avvicendamento alla Casa Bianca.
La CNN ha raccontato qualche giorno fa che i vertici militari USA sono pervasi da “un’ansia crescente” per quello che Trump potrebbe ordinare prima del 20 gennaio. I timori riguardano appunto un possibile attacco contro l’Iran, ma anche l’uso dei militari per rovesciare il risultato delle elezioni del 3 novembre scorso. Le purghe all’interno del dipartimento della Difesa seguite alle presidenziali e alla vittoria di Biden erano già state da molti giudicate come il tentativo di piazzare in posizioni cruciali fedelissimi di Trump pronti a eseguire un eventuale ordine di aggressione contro la Repubblica Islamica.
Se pure le manovre in atto sembrano puntare a obiettivi apparentemente difficili da attuare, in primo luogo proprio per le resistenze dei militari, non è del tutto chiaro in che misura ci siano elementi che simpatizzano per Trump all’interno delle forze armate americane. Lo stesso presidente-eletto Biden aveva infatti recentemente avvertito che al suo team incaricato di gestire la transizione continuava a venire negato l’accesso al Pentagono e a informazioni sensibili di carattere militare.
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