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03/02/2021

Arriva il feldmaresciallo Draghi

Beh, ci pare tempo che la redazione di Contropiano cambi lavoro e apra un fiorente ufficio scommesse a Londra...

Da mesi cercavamo di spiegare, alla “compagneria” e non solo, che si stava correndo verso un governo Draghi. Ma solo chi non era ipnotizzato dal costante fluire e rifluire di “dichiarazioni roboanti” di questo o quel carneade riusciva a vedere le stesse cose.

Meglio così, comunque. Ora le cose sono davvero semplici e chiare. O, per lo meno, diventerà difficile per chiunque “inventarsi” un’analisi della realtà per giustificare il proprio miserando traccheggiare quotidiano.

La crisi di governo, come sapete, si è chiusa martedì sera (2 febbraio) con la relazione del presidente della Camera, Roberto Fico, al Quirinale: “non c’è una maggioranza per sostenere un Conte ter”.

Si sapeva da settimane, e le circonvoluzioni altrimenti inspiegabili del serial killer Matteo Renzi puntavano da giorni scopertamente a dimostrare questo dato. Richieste di poltrone, vaneggiamenti sul programma, penultimatum su questioni palesemente provocatorie (pretendere la testa di Gualtieri, appena incoronato da Confindustria come “il nostro uomo a Palazzo Chigi”, le batte tutte), erano scopertamente miranti ad azzerare la “dialettica parlamentare” nella costruzione di una maggioranza.

Certo, ora la sua carriera in Italia è chiusa. Chiunque lo incontri sarà legittimato a “partirgli di capoccia”, ma non mancano i criminali all’estero disposti a utilizzarne i servizi. Come si diceva nell’Europa post rinascimentale, “di veleno o di coltello un fiorentino si trova sempre”.

Ma l’obbiettivo è stato raggiunto.

Il presidente Sergio Mattarella, che non aspettava altro dal giorno in cui aveva dovuto ritirare l’incarico a Cottarelli “mani di forbice” (era giugno del 2018, un’era geologica fa), ha tirato la riga e convocato Mario Draghi per dargli in mano le chiavi del Paese.

Lo diciamo da mesi, ma conviene ripeterlo: è una svolta definitiva, un commissariamento del Paese da parte del capitale multinazionale e del suo organo politico-amministrativo, l’Unione Europea.

L’analogia è certamente con il 2011, quando – in agosto – il presidente uscente della Bce (Jean-Claude Trichet) e quello entrante (toh, proprio Mario Draghi) inviano una irrituale lettera al governo italiano (l’ultimo di Silvio Berlusconi) indicando “il programma” che avrebbe dovuto realizzare.

Tempo tre mesi, tra uno spread spinto alle stelle dai “mercati finanziari” e il crollo in borsa del titolo Mediaset, Berlusconi veniva “convinto” ad accomodarsi fuori da Palazzo Chigi. Al suo posto, come sappiamo, Mario Monti, ex rettore della Bocconi ed ex Commissario europeo. Un “garante” di interessi esogeni...

La “riforma Fornero” delle pensioni e altre piacevolezze per palati ricchi furono la cura “lacrime e sangue” che nessuna maggioranza politica avrebbe potuto far accettare al Paese, ma che tutti i partiti allora presenti (tranne rare e non lodevoli eccezioni) votarono come un sol uomo.

Stavolta, però, la scala dimensionale è molto più ampia. Dopo dieci anni la crisi economica irrisolta era già di nuovo sul punto dell’esplosione. La pandemia ha dato il colpo di grazia (il -8,9% del Pil 2020 è il dato peggiore di sempre, nel dopoguerra).

Dopo un anno tra lockdown finti e mezze misure, l’Unione Europea non ha ancora messo in campo un solo centesimo. Il Recovery Fund è ancora tutto sulla carta, con linee guida precise e condizionalità chiare. Il governo italiano – come quelli di tutti i partner europei – deve indicare il suo “progetto” (il Recovery Plan) entro la fine di aprile.

Per questo, oltre che per la pandemia, non si può andare a votare. Lo ha spiegato Mattarella e anche noi, nel nostro piccolo, ci eravamo sgolati nel dirlo a tutti quei coglioni “di sinistra” – autodefinizione davvero poco credibile, ormai – che già invocavano “un ampio fronte democratico per contrastare l’avanzata delle destre”.

Ora ci sono due anni – prima delle prossime elezioni politiche – in cui dovranno esserci molte “riforme”. Non ci dilunghiamo qui su quelle prevedibili e ammazzapoveri – ancora un attacco alle pensioni, probabilmente con tagli agli assegni di quelle già in essere, la giustizia, lo sfoltimento di una pubblica amministrazione che è invece sotto organico, ecc. – e vediamo le conseguenze sistemiche dell’“era Draghi”.

In primo luogo, l’azzeramento dell’attuale classe politica, frutto marcio della “discesa in campo della società civile” a seguito di Tangentopoli.

Gli ultimi giorni, il punto più basso della “dialettica parlamentare”, hanno mostrato che “la politica” in questo paese è un torneo non cavalleresco tra bande di piccolo cabotaggio, con interessi limitati quanto il settore sociale che le esprime (fondamentalmente piccola borghesia commerciale o professionale, piccola o media impresa, senza proiezione e dunque visione internazionale), senza un progetto generale autonomo.

Questa armata Brancaleone impegnata nella rissa da cortile, assiste ora impotente all’ingresso delle panzer divisionen europee sotto la guida del feldmaresciallo Draghi. Non c’è partita, non c’è battaglia. Anzi, per la maggior parte si dispongono già all’applauso.

La maggioranza in Parlamento sarà larga, certamente. Il Pd lo sapeva da sempre. Forza Italia aveva già espresso il suo gradimento per “un governo dei migliori”. Persino l’anima democristiana della Lega (Giorgetti, Zaia, ecc.) da mesi reclamava una svolta di questo tipo. Faranno finta di opporsi i Cinque Stelle – almeno in parte, i Di Maio sono sempre pronti alla più rapida delle inversioni di marcia – ma più “resisteranno”, più perderanno pezzi.

Alle “ali estreme” – stiamo scherzando, è ovvio – cercheranno una ragione per votare a favore o contro sia quelli di Leu che i “meloniani” parafascisti. Poi c’è la poltiglia dei “gruppi occasionali”, un po’ “responsabili”, un po’ disposti a tutto a poco prezzo.

Ma nessuno, specie a destra, potrà fare l’opposizione vera. Basterà ricordare loro quel capogruppo europarlamentare ungherese, ultra-machista e omofobo, del clan Orbàn che scendeva – nudo – aggrappato a una canna fumaria per sfuggire alla polizia durante un festino gay. I “servizi” sono già molto coordinati – dalla Cia, prima ancora che dalla Ue – e non faranno sconti a nessuno.

In secondo luogo, le istituzioni per la rappresentanza politica (dal Parlamento all’ultimo municipio) perdono gran parte del loro senso “democratico” (raccogliere gli interessi sociali e trasformarli in obbiettivi di governo). Ci sarà il problema di come giustificarne la sopravvivenza formale – continueremo a votare, ma conterà ancor meno di prima – e come costruire una nuova classe politica.

In questo momento può sembrare quasi superfluo, ma sul medio-lungo periodo non è possibile governare un paese senza “collettori di consenso”, senza “corpi intermedi” tra popolazione e Stato. Specie se “lo Stato” che governa davvero non è più “nazionale” (e tantomeno “popolare”).

In terzo luogo, finisce qui la lunga stagione della “comunicazione al posto della politica”, fatta dai cetto laqualunque – tanto a destra quanto, o soprattutto, “a sinistra” – ossia da personaggi improvvisati, aspiranti esperti del galleggiamento, ologrammi che sparano promesse e “soluzioni” immaginarie, che schivano i problemi invece di affrontarli.

Con l’“era Draghi” si vedrà fisicamente chi comanda, ossia quali forze hanno da sempre il potere ed ora hanno deciso che non potevano più delegare a una banda di scimuniti il governo. E dunque lo prendono in mano direttamente.

Nessuno si potrà più illudere di “cambiare le cose dal di dentro” a questi assetti di potere.

Finisce la stagione dei pupazzi. Ora, chi vuol “cambiare il mondo” farà bene a ricordare che “quando il gioco si fa duro...”

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