La crisi politica che si svolge sotto i
nostri occhi appare difficile da decifrare se ci limitiamo alle
dinamiche partitiche e personali. Sicuramente c’è stato un duello tra
Conte e Renzi, sicuramente Italia Viva vorrebbe avere più peso nel
governo e, soprattutto, nella spartizione delle risorse pubbliche che
sarà definita nel Recovery Plan.
Eppure, ci sembra impossibile comprendere quello che sta succedendo se
non si allarga lo sguardo al contesto economico e sociale entro cui si
svolge il teatrino dei tavoli di trattativa, del toto-ministri e delle
conferenze stampa. Il contesto è quel piano inclinato che determina le
tendenze di fondo, ovvero le dinamiche principali, più importanti, che
trascinano dietro di sé tutti gli altri eventi, le carriere politiche
dei singoli, le fortune dei partiti.
La più efficace fotografia del contesto ce la offre, su un piatto d’argento, una figura chiave dell’establishment europeo,
Marco Buti, il capo di gabinetto (ruolo tecnico-politico) del
Commissario Europeo agli Affari Economici e Finanziari Paolo Gentiloni.
In una lectio magistralis all’Università di Firenze del 29
gennaio, Buti sintetizza i possibili scenari che aspettano l’Italia
dietro l’angolo della crisi politica, attraverso l’immagine di una
“trilogia impossibile”. Lo scenario A, per Buti indubbiamente il
migliore, è quello che vede un popolo italiano coscienzioso scegliere
una guida illuminata che provveda immediatamente – cioè mentre la
società corre verso i 100.000 morti per Covid e la crisi economica
inizia a bruciare – a varare quelle importanti riforme che “servono” al
Paese: taglio delle pensioni e dello stato sociale, stop al reddito di
cittadinanza, sblocco dei licenziamenti, liberalizzazioni,
privatizzazioni e tutto l’armamentario di misure lacrime e sangue che da
trent’anni è usato contro i lavoratori per piegarli e costringerli alla
povertà e alla precarietà, a salvaguardia del profitto di pochi.
Secondo Buti, dunque, nello scenario A un governo saggio dovrebbe
sfruttare il Recovery Plan per varare queste riforme: ogni euro prestato
dall’Europa porterebbe con sé un carico di sacrifici che però, ci dice
Buti, sono resi necessari dai peccati originali e dai mali strutturali
che affliggerebbero l’Italia da decenni. Una cura dura ma necessaria! La
convocazione di Mario Draghi al Quirinale per ricevere l’incarico di
formare un governo sarebbe, in questo senso, il sogno di Buti che si
realizza.
Ma, ci dice Buti, c’è anche uno
scenario B: si continua a tamponare la crisi con “bonus e piccoli
progetti a pioggia” senza affrontare il nodo – impopolare – delle
riforme strutturali. Notiamo subito che questo scenario rappresenta bene
l’azione, fino ad oggi, del governo cosiddetto “giallorosso”, che nel
2020 – tra cassa integrazione straordinaria, bonus vari, ristori e
l’esplosione del reddito di cittadinanza – ha provato a mitigare gli
effetti sociali della pandemia aumentando il deficit pubblico di oltre
100 miliardi in pochi mesi. Ciò che Buti ci sta dicendo è: avete speso e
spanso nei mesi più duri, per carità, avete fatto bene. Ora però serve
il cambio di passo, perché la pazienza dell’establishment europeo
nei confronti di questa maniera tutta italiana di affrontare la crisi
sta per finire. Il tempo dei bonus a pioggia deve finire e lasciare il
campo all’azione della cosiddetta distruzione creatrice, ben
rappresentata dal recente report del Gruppo dei 30 redatto sotto la
supervisione di Mario Draghi: un approccio alla gestione della crisi che
dovrebbe sfruttare la violenza della pandemia per far cadere i rami
morti, le cosiddette “imprese zombie”, e lasciar fiorire solo quei
settori dell’economia che sono in grado di competere sui mercati
internazionali, facendo leva sulla crescente fragilità dei lavoratori,
spaventati dalla crescente disoccupazione e dunque sempre più disposti
ad accettare strette salariali e un generale peggioramento delle
condizioni di lavoro. Sotto ogni evidenza, l’approccio del governo Conte
bis è stato assolutamente insufficiente ad affrontare l’emergenza
pandemica, come abbiamo messo in luce in più occasioni.
La critica sottesa alla narrazione di Buti, tuttavia, è diametralmente
opposta alla nostra. Per noi servirebbe un governo capace di varare
misure strutturali di sostegno al lavoro e all’intervento pubblico in
economia, per Buti serve invece un governo capace di imporre ulteriori e
definitivi tagli allo stato sociale e alle retribuzioni. Questo dato è
il primo tassello utile a comprendere l’attuale crisi politica: l’azione
del governo ormai uscente è insufficiente agli occhi dell’establishment europeo.
Mentre preparano il prestito del Recovery Plan, le istituzioni europee
pretendono un interlocutore capace di imporre all’Italia quell’ulteriore
svolta neoliberista, quella stretta di austerità che serve a chiudere i
conti con il modello sociale europeo novecentesco. Ecco emergere il
contesto politico: il contesto naturale della pandemia rappresenta solo
una preziosa occasione per la classe dirigente, la possibilità di
rompere i ponti con una organizzazione sociale basata sul compromesso
tra Stato e mercato.
Ma la parte più interessante della
lezione di Buti è la sua conclusione, quella che lui chiama “soluzione
C”. Già, perché Buti ci avverte che l’opzione B non è affatto stabile,
bensì appare precaria e temporanea. Fuori dalla retorica della lectio magistralis,
uno scenario B di continuità con le misure tampone non sarebbe
consentito a lungo. Ed è lo stesso Buti a dirci chiaramente quali
sarebbero le forze che, qualora ci rifiutassimo di abbracciare l’opzione
A, ci richiamerebbero all’ordine e ci porterebbero a varare le
fatidiche riforme strutturali, che nello scenario C verrebbero “imposte
dai mercati finanziari”. È il ricatto dello spread,
che Buti ci propone con l’innocenza di un bambino: “fino ad ora il
potenziale effetto negativo del debito pubblico è stato neutralizzato
dagli interventi dell’UE e, soprattutto, della BCE – ma sarebbe un
errore fondamentale pensare che il vincolo di finanza pubblica non
esista più...”. Più chiaro di così si muore: Buti ammette apertamente che è
la BCE a governare gli spread, e dunque la minaccia dei mercati finanziari non è altro che la minaccia delle istituzioni europee a
qualsiasi governo che si dimostri incapace di sfruttare la pandemia per
distruggere gli ultimi residui di stato sociale sopravvissuti in
Europa.
Questo è il contesto politico ed
economico che spiega i movimenti di fondo che agitano la politica
nostrana. Una volta compresi, ci consentono, a prescindere da chi si
intesterà la vittoria politica di questa crisi, di trarre una
conclusione: il piano inclinato della crisi conduce inevitabilmente a
una stretta dell’austerità imposta dalle istituzioni europee. Il cerchio
tracciato da Buti nella sua lezione si chiude oggi con Draghi che sale al Quirinale:
dopo aver piegato il Paese sotto il ricatto dello spread attraverso le
leve della politica monetaria che manovrava da Presidente della BCE, ora
Draghi fa il suo ingresso trionfante sulla scena politica italiana
dalla porta principale. Contro questa nuova ondata di austerità occorre
iniziare ad organizzare una resistenza, e contro quelle istituzioni una
strategia di ampio respiro mirata a ricomporre la società intorno alla
centralità del lavoro e fuori dalle logiche del profitto.
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