A leggere Il Messaggero di oggi e il piano di politica economica di Draghi – a meno che non venga smentito – pare che l’ex Presidente della Bce voglia dare corso pratico a quanto descritto nel suo famoso editoriale sul Financial Times di marzo 2020, in cui sosteneva che in piena pandemia gli Stati debbano spendere.
A quanto pare nel Piano ci sarebbero il rafforzamento della medicina territoriale, una sorta di centralizzazione della sanità – per superare la follia del “federalismo sanitario” degli ultimi 25 anni – investimenti e assunzioni nella sanità ecc.
Poi vi sarebbe un piano di assunzioni nel pubblico impiego per 500 mila unità, la “no tax area” per redditi medi per le rette dei figli all’università, il modello tedesco di prelievo fiscale per i redditi medio bassi, l’aumento del contributo delle spese pubbliche nella scuola dal 3,6% ad almeno il 5%.
Draghi punterebbe dopo 30 anni alla qualificazione della forza lavoro in vista di un necessario salto teconologico delle imprese industriali (ieri Bombassei, su Milano Finanza, invitava gli industriali a darsi una mossa negli investimenti, pena la morte), reso necessario dal contesto fortemente competitivo del mercato mondiale.
Con l’aiuto fiscale ai redditi medio-bassi si sostengono gli industriali che possono, nelle tornate contrattuali, dare quattro lire ai lavoratori; e si è visto con quello dei metalmeccanici, peraltro molto negativo sugli aspetti normativi.
Per il resto, con Draghi, ci penserà il fisco a sostenerli, una sorta di “fiscalizzazione degli aumenti contrattuali”, proprio come chiedono da anni i confederali per mantenere la “pace sociale”.
In ogni caso, secondo questo schema, come nella Prima Repubblica, Draghi punterebbe al “salario sociale” per sostenere le trasformazioni industriali necessarie a promuovere la parte più avanzata del sistema italiano. Si può dire tutto, ma dopo 30 anni tornerebbe centrale il rapporto capitale-lavoro.
A maggior ragione se nel Piano di Draghi – secondo le indiscrezioni riportate da Il Messaggero – si colpissero i piccoli pescecani della rendita a favore di profitti industriali e grande rendita.
La rendita, nella Seconda Repubblica, costituisce ormai il 20% del Pil ed è una zavorra ai fini dell’accumulazione capitalistica. I ceti sociali che negli ultimi 40 anni, dopo la sconfitta del movimento operaio, hanno prosperato sulla rendita, spesso frutto di evasione fiscale, verrebbero sbattuti storicamente fuori dai giochi.
E se si ritorna al rapporto capitale-lavoro, spetta a noi controbattere.
Qui di seguito l’articolo del Il Messaggero.
A quanto pare nel Piano ci sarebbero il rafforzamento della medicina territoriale, una sorta di centralizzazione della sanità – per superare la follia del “federalismo sanitario” degli ultimi 25 anni – investimenti e assunzioni nella sanità ecc.
Poi vi sarebbe un piano di assunzioni nel pubblico impiego per 500 mila unità, la “no tax area” per redditi medi per le rette dei figli all’università, il modello tedesco di prelievo fiscale per i redditi medio bassi, l’aumento del contributo delle spese pubbliche nella scuola dal 3,6% ad almeno il 5%.
Draghi punterebbe dopo 30 anni alla qualificazione della forza lavoro in vista di un necessario salto teconologico delle imprese industriali (ieri Bombassei, su Milano Finanza, invitava gli industriali a darsi una mossa negli investimenti, pena la morte), reso necessario dal contesto fortemente competitivo del mercato mondiale.
Con l’aiuto fiscale ai redditi medio-bassi si sostengono gli industriali che possono, nelle tornate contrattuali, dare quattro lire ai lavoratori; e si è visto con quello dei metalmeccanici, peraltro molto negativo sugli aspetti normativi.
Per il resto, con Draghi, ci penserà il fisco a sostenerli, una sorta di “fiscalizzazione degli aumenti contrattuali”, proprio come chiedono da anni i confederali per mantenere la “pace sociale”.
In ogni caso, secondo questo schema, come nella Prima Repubblica, Draghi punterebbe al “salario sociale” per sostenere le trasformazioni industriali necessarie a promuovere la parte più avanzata del sistema italiano. Si può dire tutto, ma dopo 30 anni tornerebbe centrale il rapporto capitale-lavoro.
A maggior ragione se nel Piano di Draghi – secondo le indiscrezioni riportate da Il Messaggero – si colpissero i piccoli pescecani della rendita a favore di profitti industriali e grande rendita.
La rendita, nella Seconda Repubblica, costituisce ormai il 20% del Pil ed è una zavorra ai fini dell’accumulazione capitalistica. I ceti sociali che negli ultimi 40 anni, dopo la sconfitta del movimento operaio, hanno prosperato sulla rendita, spesso frutto di evasione fiscale, verrebbero sbattuti storicamente fuori dai giochi.
E se si ritorna al rapporto capitale-lavoro, spetta a noi controbattere.
Qui di seguito l’articolo del Il Messaggero.
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Governo Draghi, meno tasse ai ceti medi e pensioni flessibili: ecco le prime bozze del piano
Sedici pagine organizzate in una ventina di paragrafi con altrettanti titolini in nero. Non è ancora il programma del governo Draghi, ma una bozza di lavoro nella quale vengono focalizzati i temi che il nuovo esecutivo si troverà davanti, con le soluzioni abbozzate a grandi linee.
Soluzioni che riflettono le discussioni di questi giorni, ma naturalmente dovranno passare ancora per la complessa mediazione con i partiti; e che quindi sono del tutto aperte a correzioni e integrazioni, anche molto rilevanti.
I capitoli però ci sono tutti, dalla salute al fisco, dall’istruzione alle politiche industriali e all’innovazione. Quella sanitaria è naturalmente la prima emergenza da affrontare: alla piena attuazione del piano vaccinale si accompagna la conferma di alcuni interventi già delineati negli ultimi tempi, ma ancora tutti da concretizzare: il rafforzamento della medicina territoriale, la digitalizzazione del sistema, l’aumento degli investimenti e delle assunzioni, il contrasto ai divari territoriali.
E proprio su quest’ultimo punto la via indicata è quella del superamento dell’attuale federalismo sanitario, con la possibilità di inserire la “clausola di supremazia” per quanto riguarda il ripartimento delle competenze.
APPROFONDIMENTI
Il dossier licenziamenti
Un altro dossier caldo che il prossimo governo dovrà prendere in mano è quello del lavoro, con la scadenza del blocco dei licenziamenti fissata al 31 marzo. Per affrontare questa situazione si ipotizza nell’immediato la differenziazione per settori delle forme di protezione e poi una riforma degli ammortizzatori sociali per garantire una copertura universale e formazione adeguata.
Vengono menzionate esplicitamente anche leggi da approvare sia in tema di parità retributiva tra uomini e donne, sia di salario minimo legale, di equo compenso e di rappresentatività delle organizzazioni sindacali e di quelle datoriali.
Connesso al tema del lavoro è quello della previdenza: l’idea è lasciar scadere Quota 100 al termine naturale, la fine del 2021, introducendo però flessibilità di uscita nel sistema attraverso il rafforzamento dei altri istituti, tra cui Opzione donna (il pensionamento anticipato con calcolo contributivo dell’assegno) e Ape social per le categorie disagiate o impegnate in occupazioni più pesanti.
Per quanto riguarda invece il reddito di cittadinanza, dal testo emerge la volontà di rivedere tutto il campo delle politiche attive, facendo interconnettere Anpal, centri per l’impiego e navigator. Allo stesso tempo andrà rafforzata la rete del contrasto alla povertà e all’esclusione sociale.
Grande spazio è dedicato a scuola e ricerca: viene menzionato l’obiettivo di portare il livello complessivo di spesa per l’istruzione dal 3,6 per cento del Pil ad almeno il 5%. In particolare andrebbe potenziata l’offerta degli asili nido e dovranno essere aumentate le risorse per il sostegno e la disabilità, così come il Fondo ordinario per l’università. Per garantire il diritto allo studio negli atenei italiani viene proposta l’estensione della no tax area a beneficio dei nuclei familiari con redditi medio-bassi.
Il capitolo fiscale punta ad un alleggerimento dell’imposizione sui redditi medi e medio-bassi. Concretamente per quanto riguarda l’Irpef il modello da adottare dovrebbe essere quello tedesco, caratterizzato da aliquote continue e da una crescita più graduale del prelievo.
Ma ci sono anche altre correzioni da fare, in direzione di una maggiore progressività effettiva: ad esempio il parziale ritorno dei redditi da capitale nella base imponibile dell’imposta sul reddito, con alcune esclusioni, il riordino delle tax expenditures (ed anche dei sussidi ambientali), la razionalizzazione delle imposte indirette e l’ulteriore spinta sul fisco telematico.
La riforma complessiva dovrà essere finanziata, oltre che con le risorse già rese disponibili nella legge di Bilancio, con il proseguimento della lotta all’evasione. La web tax andrà implementata in linea con il quadro europeo.
La riforma della pubblica amministrazione punta a sfruttare l’occasione offerta dallo sblocco del turnover e dalla prevista assunzione di 500 mila persone per svecchiare gli uffici e procedere con la digitalizzazione.
Tutti i progetti ruotano intorno ad una piena attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, che dovrà essere attuato con un percorso di coinvolgimento del Paese. Ma su questo Draghi si riserva con tutta probabilità di essere ancora più esplicito.
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