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06/02/2021

Londra e Ankara: un’intesa commerciale e strategica

Tra i numerosi accordi bilaterali e multilaterali sottoscritti dal Regno Unito sulla scorta dell’uscita dall’Unione Europea spicca quello firmato con la Turchia: un accordo di libero scambio tra le cui maglie traspare il rafforzamento della strategia antirussa, anti-iraniana e anticinese post-Brexit di Londra.

Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha descritto l’accordo come il «il più importante accordo commerciale» dopo quello firmato tra la Turchia e l’Unione Europea nel 1995. Dalla prospettiva turca esso incentiverà l’esportazione di prodotti alimentari, meccanici – specie per l’indotto automobilistico – chimici e tessili verso la Gran Bretagna. Per la Turchia, Londra rappresenta infatti il secondo principale sbocco commerciale per le proprie esportazioni dopo la Germania. Stando alle stime inglesi, il volume d’affari tra Gran Bretagna e Turchia del 2019 ha superato il valore di 25 miliardi di sterline. Alcuni mesi fa, inoltre, Gran Bretagna e Turchia hanno svolto le prime esercitazioni aeree congiunte della loro storia e a distanza di poche settimane hanno reso operativa un’unione doganale.

Le pulsioni della Gran Bretagna post-Brexit sembrano ambire al rinnovamento del proprio protagonismo nello scenario internazionale e militare: così suggerisce, del resto, il cospicuo aumento della spesa militare voluto dal primo ministro Boris Johnson, pari a circa 20 miliardi di euro. Oltre a ciò, dalle prime mosse britanniche traspare chiaramente l’intento di realizzare un riposizionamento strategico a fianco di Washington. Certamente le turbolenze che stanno attraversando gli Stati Uniti potrebbero complicare la realizzazione di questo processo, ma paradossalmente potrebbero anche favorirlo.

Se l’arrivo di Joe Biden alla Casa Bianca potrà avere un effetto ‒ almeno formale ‒ sui rapporti tra Stati Uniti e Turchia, la costruzione di un’intesa strategica tra Londra e Ankara crea i presupposti per surrogare il ‒ parziale ‒ ripiegamento strategico di Washington dal Vicino Oriente. Nella pratica, eventuali sanzioni ‒ simboliche – mosse dagli Stati Uniti nei confronti di Ankara o – altrettanto simboliche – sospensioni di forniture militari provenienti da Washington sarebbero ampiamente compensate dalle forniture britanniche, esistenti o futuribili.

Le sanzioni verso la Turchia formalmente paventate dalla Gran Bretagna per le trivellazioni di Ankara in acque territoriali cipriote, d’altro canto, consistono per il momento in un pacato invito ad abbassare i toni. In questo quadro, dove sono almeno 3.500 i militari nelle basi militari britanniche di Akrotiri e Dhekelia (Cipro), la Turchia diviene uno degli assi portanti della strategia britannica nel Vicino Oriente: una strategia che in ogni caso dovrà avere cura di non compromettere l’asse con Atene.

Quello che l’atteggiamento della Gran Bretagna lascia per il momento presumere è l’embrione di una strategia volta a rinnovare il ruolo britannico nel Mediterraneo orientale e nel Vicino Oriente basata sulla mediazione dei contrasti di alcuni attori fondamentali dell’area ‒ come quelli greco-turchi e turco-egiziani – e sul contenimento di Teheran.

Londra ed Ankara hanno già in programma una “fase due” che prevede “un’area di libero scambio più comprensiva ed ambiziosa”. A chiarire il risvolto strategico dell’accordo di libero scambio tra Gran Bretagna e Turchia è stato lo stesso l’ambasciatore britannico ad Ankara Dominick Chilcott, il quale ha anche confermato la valenza anticinese dell’intesa turco-britannica: «Uno dei grandi problemi strategici dei nostri tempi riguarda la necessità di calibrare le relazioni con la Cina. La pandemia, nei suoi primi mesi, ha fatto emergere la vulnerabilità di essere dipendenti dalla manifattura cinese per alcuni prodotti chiave, come i dispositivi di protezione. La Gran Bretagna, come molti altri Paesi, ha bisogno di individuare altri Paesi da cui approvvigionarsi, e questo, insieme alla nuova area di libero scambio [con la Turchia] crea un’opportunità per la Turchia e per il commercio turco-britannico. Spero anche che nel settore della difesa la collaborazione tra aziende britanniche e turche possa crescere: si tratterebbe di un fatto naturale per due Paesi NATO, ed ovviamente con un significato strategico». A questo l’ambasciatore britannico ha aggiunto di considerare quella di Ankara «l’unica democrazia stabile del Vicino Oriente».

Dalla prospettiva britannica l’area di libero scambio con la Turchia permetterà di contenere la dipendenza di Londra dalle merci cinesi, che attualmente corrispondono a circa il 10% dell’intero valore annuale delle importazioni britanniche ‒ circa 60 miliardi di euro su un totale di quasi 600 – con un interscambio complessivo che nel 2020 ha superato gli 85 miliardi di euro ed una bilancia commerciale nettamente favorevole a Pechino. Pur risultando evidentemente incompatibile con la strategia anticinese adottata da Londra, nel passato recente, l’idea di un’area di libero scambio commerciale tra Londra e Pechino godeva in Gran Bretagna di una certa attenzione. Nel 2018 era stato lo stesso ministro degli Esteri cinese Wang Yi a proporre al suo omologo britannico Jeremy Hunt l’idea di un’area di libero scambio tra Londra e Pechino: malgrado ciò, l’atteggiamento britannico del presente sembra non tollerare una Cina prospera e in forze.

Oltre che nel Vicino Oriente, l’intesa strategica tra Gran Bretagna e Turchia non mancherà di avere importanti risvolti anche in Africa, dove la tradizionale presenza britannica si trova a fare i conti con il protagonismo russo e cinese: un protagonismo che Londra punta evidentemente a contrastare facendo leva sulla presenza turca nel continente africano.

Rispetto a Mosca, infine, la “scommessa turca” della Gran Bretagna sembra volersi ispirare alla larga coalizione che affrontò l’Impero zarista nella guerra di Crimea combattuta tra il 1853 ed il 1856. Nel presente, del resto, Ankara e Londra si trovano spalla a spalla anche in Ucraina, fornendo da sette anni assistenza ‒ istruttori, mercenari, armi e droni ‒ all’esercito di Kiev contro gli insorti del Donbass sostenuti da Mosca. Malgrado tutte le azioni messe in campo e le ambizioni di Lord Johnson, la gloria di Lord Palmerston potrebbe di per sé non garantire i fasti del passato alla nuova Gran Bretagna post-Brexit.

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