Tra i numerosi accordi bilaterali e multilaterali sottoscritti dal Regno Unito sulla scorta dell’uscita dall’Unione Europea spicca quello firmato con la Turchia:
un accordo di libero scambio tra le cui maglie traspare il
rafforzamento della strategia antirussa, anti-iraniana e anticinese
post-Brexit di Londra.
Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan
ha descritto l’accordo come il «il più importante accordo commerciale»
dopo quello firmato tra la Turchia e l’Unione Europea nel 1995. Dalla
prospettiva turca esso incentiverà l’esportazione di prodotti
alimentari, meccanici – specie per l’indotto automobilistico – chimici e
tessili verso la Gran Bretagna. Per la Turchia, Londra rappresenta
infatti il secondo principale sbocco commerciale per le proprie
esportazioni dopo la Germania. Stando alle stime inglesi, il volume
d’affari tra Gran Bretagna e Turchia del 2019 ha superato il valore di
25 miliardi di sterline. Alcuni mesi fa, inoltre, Gran Bretagna e
Turchia hanno svolto le prime esercitazioni aeree congiunte della loro
storia e a distanza di poche settimane hanno reso operativa un’unione doganale.
Le
pulsioni della Gran Bretagna post-Brexit sembrano ambire al
rinnovamento del proprio protagonismo nello scenario internazionale e
militare: così suggerisce, del resto, il cospicuo aumento della spesa
militare voluto dal primo ministro Boris Johnson,
pari a circa 20 miliardi di euro. Oltre a ciò, dalle prime mosse
britanniche traspare chiaramente l’intento di realizzare un
riposizionamento strategico a fianco di Washington. Certamente le
turbolenze che stanno attraversando gli Stati Uniti potrebbero
complicare la realizzazione di questo processo, ma paradossalmente
potrebbero anche favorirlo.
Se l’arrivo di Joe Biden
alla Casa Bianca potrà avere un effetto ‒ almeno formale ‒ sui rapporti
tra Stati Uniti e Turchia, la costruzione di un’intesa strategica tra
Londra e Ankara crea i presupposti per surrogare il ‒ parziale ‒
ripiegamento strategico di Washington dal Vicino Oriente. Nella pratica,
eventuali sanzioni ‒ simboliche – mosse dagli Stati Uniti nei confronti
di Ankara o – altrettanto simboliche – sospensioni di forniture
militari provenienti da Washington sarebbero ampiamente compensate dalle
forniture britanniche, esistenti o futuribili.
Le sanzioni verso la Turchia formalmente paventate dalla Gran Bretagna
per le trivellazioni di Ankara in acque territoriali cipriote, d’altro
canto, consistono per il momento in un pacato invito ad abbassare i
toni. In questo quadro, dove sono almeno 3.500 i militari nelle basi
militari britanniche di Akrotiri e Dhekelia (Cipro), la Turchia diviene
uno degli assi portanti della strategia britannica nel Vicino Oriente:
una strategia che in ogni caso dovrà avere cura di non compromettere
l’asse con Atene.
Quello che l’atteggiamento della Gran
Bretagna lascia per il momento presumere è l’embrione di una strategia
volta a rinnovare il ruolo britannico nel Mediterraneo orientale e nel
Vicino Oriente basata sulla mediazione dei contrasti di alcuni attori
fondamentali dell’area ‒ come quelli greco-turchi e turco-egiziani – e
sul contenimento di Teheran.
Londra ed Ankara hanno già in programma una “fase due” che prevede “un’area di libero scambio più comprensiva ed ambiziosa”. A
chiarire il risvolto strategico dell’accordo di libero scambio tra Gran
Bretagna e Turchia è stato lo stesso l’ambasciatore britannico ad
Ankara Dominick Chilcott,
il quale ha anche confermato la valenza anticinese dell’intesa
turco-britannica: «Uno dei grandi problemi strategici dei nostri tempi
riguarda la necessità di calibrare le relazioni con la Cina. La
pandemia, nei suoi primi mesi, ha fatto emergere la vulnerabilità di
essere dipendenti dalla manifattura cinese per alcuni prodotti chiave,
come i dispositivi di protezione. La Gran Bretagna, come molti altri
Paesi, ha bisogno di individuare altri Paesi da cui approvvigionarsi, e
questo, insieme alla nuova area di libero scambio [con la Turchia] crea
un’opportunità per la Turchia e per il commercio turco-britannico. Spero
anche che nel settore della difesa la collaborazione tra aziende
britanniche e turche possa crescere: si tratterebbe di un fatto naturale
per due Paesi NATO, ed ovviamente con un significato strategico». A questo l’ambasciatore britannico ha aggiunto di considerare quella di Ankara «l’unica democrazia stabile del Vicino Oriente».
Dalla
prospettiva britannica l’area di libero scambio con la Turchia
permetterà di contenere la dipendenza di Londra dalle merci cinesi, che
attualmente corrispondono a circa il 10% dell’intero valore annuale delle importazioni britanniche
‒ circa 60 miliardi di euro su un totale di quasi 600 – con un
interscambio complessivo che nel 2020 ha superato gli 85 miliardi di
euro ed una bilancia commerciale nettamente favorevole a Pechino. Pur
risultando evidentemente incompatibile con la strategia anticinese
adottata da Londra, nel passato recente, l’idea di un’area di libero
scambio commerciale tra Londra e Pechino godeva in Gran Bretagna di una
certa attenzione. Nel 2018 era stato lo stesso ministro degli Esteri
cinese Wang Yi a proporre al suo omologo britannico Jeremy Hunt l’idea
di un’area di libero scambio tra Londra e Pechino: malgrado ciò,
l’atteggiamento britannico del presente sembra non tollerare una Cina
prospera e in forze.
Oltre che nel Vicino Oriente, l’intesa strategica tra Gran Bretagna e Turchia non mancherà di avere importanti risvolti anche in Africa,
dove la tradizionale presenza britannica si trova a fare i conti con il
protagonismo russo e cinese: un protagonismo che Londra punta
evidentemente a contrastare facendo leva sulla presenza turca nel
continente africano.
Rispetto a Mosca, infine, la
“scommessa turca” della Gran Bretagna sembra volersi ispirare alla larga
coalizione che affrontò l’Impero zarista nella guerra di Crimea
combattuta tra il 1853 ed il 1856. Nel presente, del resto, Ankara e
Londra si trovano spalla a spalla anche in Ucraina, fornendo da sette
anni assistenza ‒ istruttori, mercenari, armi e droni ‒ all’esercito di
Kiev contro gli insorti del Donbass sostenuti da Mosca. Malgrado tutte le azioni messe in campo e le ambizioni di Lord Johnson, la gloria di Lord Palmerston potrebbe di per sé non garantire i fasti del passato alla nuova Gran Bretagna post-Brexit.
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