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02/02/2021

Paesi Baschi - La repressione spagnola si accanisce su Nekane Txapartegi

“Mi chiamo Nekane Txapartegi: perseguitata, fuggitiva, rifugiata politica basca. E anche mamma e femminista”.

La storia di questa donna è la testimonianza viva di un’esistenza nel fervore dell’attivismo per l’indipendenza basca, destinata a dover fare i conti con la prigione e l’esilio. E, soprattutto, con la tortura.

Nel 1999 l’allora 26enne #NekaneTxapartegi, a quel tempo giornalista e consigliera comunale del paesino di Asteasu, viene arrestata dalla Guardia Civil, per sospetta partecipazione all’ETA e, come a tutti i prigionieri accusati di “terrorismo”, le fu applicato il regime di “Incomunicación”, cioè un periodo di 5 giorni in cui il detenuto sparisce a tutti gli effetti dalla società, vedendosi negato ogni contatto con l’esterno, anche con gli avvocati.

Nekane fu sottoposta sia a tortura fisica che psicologica: dai pestaggi fino all’applicazione di un sacchetto in testa, passando per le minacce di vendetta trasversale. E, soprattutto, la violenza sessuale da parte di 4 agenti della Guardia Civil. In queste condizioni, Nekane fu costretta a firmare una dichiarazione in cui ammetteva di aver fornito documenti falsi a due militanti di ETA nel quadro di una riunione tenutasi a Parigi.

Uscita da questa sua prima incarcerazione dopo 9 mesi dall’arresto previo pagamento di una cauzione, nel 2007 arrivò il Maxi Processo Sommario 18/98, in cui ad essere condannate furono 75 persone appartenenti a varie realtà indipendentiste.

«Sapevamo che era un processo politico e che avrebbe emesso delle sentenze politiche. Non si stavano perseguendo dei delitti, ma delle idee, dei progetti. Io sapevo che la mia difesa sarebbe stata la mia testimonianza sulle torture subite e i protocolli che lo attestavano. Fu molto duro, ma ne uscii rafforzata, perché portai la voce dei torturati e delle torturate proprio all’interno dell’Audiencia Nacional, quel tribunale di tradizione franchista che in quel momento stava processando il popolo basco. Riuscii a raccontare quello che avevo passato, e addirittura riconobbi alcuni degli agenti presenti».

Non venne creduta, Nekane, e nemmeno i protocolli che attestavano le torture furono presi in considerazione. La condanna, basata sulle stesse imputazioni che l’avevano portata all’arresto nel 1999 e che si costruivano su documenti firmati sotto tortura, fu un castigo anche per aver denunciato quanto le era successo: oltre 11 anni, poi ridotti a 6 anni e 9 mesi in un secondo momento.

Decise così di fuggire, scelse l’esilio per sottrarsi alla sorte di quelli che oggigiorno sono ancora più di 250 prigionieri baschi che si rivendicano “politici”.

Ma lo Stato spagnolo continuò a darle la caccia fino a quando, nell’aprile 2016, a Zurigo i servizi segreti spagnoli la localizzarono e ne ordinarono l’arresto.

Nella primavera del 2016 si aprirono così le porte della prigione in Svizzera per Nekane, nell’attesa che venisse soddisfatta la richiesta di estradizione dello Stato spagnolo.

Racconta che “nel processo di richiesta di asilo che avviai, mi trovai a dover raccontare di nuovo tutte le torture e le violazioni sessuali subite, sapendo che la persona che mi stava ascoltando non mi voleva credere e che stava soltanto cercando delle possibili contraddizioni".

Nekane uscì dal carcere nel settembre 2017, dopo un anno e mezzo nell’atroce attesa dell’estradizione. La motivazione fu che la sua condanna era caduta in prescrizione e che quindi non era più valida. Nel frattempo, le autorità elvetiche le negarono l’asilo politico – lasciandola così esposta a ulteriori accanimenti giudiziari – nonostante ad attestare la validità delle sue testimonianze vi era il Protocollo di Istanbul, mentre già in altre 8 occasioni il Tribunale di Strasburgo aveva condannato lo Stato spagnolo per tortura o per non aver indagato a sufficienza sulle accuse di tortura; l’ultima nel 2016.

Nel maggio 2019, lo Stato spagnolo ha formalizzato una nuova richiesta di collaborazione giudiziaria alle autorità svizzere per il caso Nekane Txapartegi, e in novembre 2019 ha emesso un mandato di arresto internazionale per l’attivista basca, con conseguente richiesta di estradizione.

È dunque molto alto il rischio che Nekane sia costretta a tornare in prigione e debba riaffrontare i fantasmi del passato: primo fra tutti la tortura.

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