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05/05/2021

Madrid a tutta destra, Iglesias si ritira

Le elezioni della “città metropolitana” di Madrid fotografano un terremoto politico che non riguarda solo la Spagna. Perché arriva al termine di una lunga crisi della “politica”, lì ed altrove, che la pandemia ha fatto esplodere in maniera incontrollata.

Partiamo dai dati. La partecipazione è stata record (+11% rispetto al 2019), segno di una volontà generale di “cambiamento” (una delle parole più vuote di contenuto che si conoscano, in politica, al pari di “riforme”).

E ha trionfato la vecchia destra, quella post-franchista del Partito Popolare (che in Europa sta con Merkel, Berlusconi, ecc.). Un successo arrivato però adottando tutti i tic della destra fascista vera e propria – dal rifiuto dei lockdown all’esaltazione di una idea individualistica e irresponsabile di “libertà”, con più di un occhio strizzato ai “no vax” – e scegliendo una front runner da manuale della comunicazione politica: donna, giovane, priva di scrupoli, “che parla come mangia”. Anzi, come parla “il popolo”.

Isabel Diaz Ayuso, potrebbe addirittura tornare a governare Madrid da sola e avrebbe bisogno solo dell’astensione di neo-vetero-fascisti di Vox per rimanere in sella. Come se avesse vinto un Salvini spalleggiato da Meloni...

Il Pp, che ha raddoppiato i consensi, ottiene infatti fino a 65 seggi, più della somma di tutti i partiti di sinistra (tra 62 e 65 seggi), a soli quattro seggi della maggioranza assoluta (69), più del doppio delle elezioni del 2019.

Tutta la campagna elettorale della Ayuso ha avuto come cuore la critica feroce della gestione della pandemia da parte del governo centrale (Partito Socialista e Unidos Podemos, con poco più del 40% dei voti), formato “per obbligo” dopo due elezioni politiche a distanza di sei mesi che non avevano permesso di individuare una maggioranza politica stabile.

In pratica, la destra – che già governava la città metropolitana – era riuscita a fare di Madrid l’unica grande capitale europea che ha tenuto aperti bar, ristoranti e teatri dal giugno 2020. Nei mesi della pandemia, la Ayuso ha guidato il fronte delle regioni che hanno contestato la linea dura sulle chiusure voluta dal governo. Chiedeva infatti di riaprire tutte le attività, eliminare ogni lockdown e restrizione alla circolazione (neanche in Spagna sono state mai fermate le attività economiche principali, ma solo quelle legate a ristorazione, turismo, tempo libero).

La Ayuso aveva giocato una carta rischiosa, con un coprifuoco fissato prima alle 21 e poi spostato alle 23, ma è stata baciata dalla fortuna (e dall’osservanza spontanea di molte procedure di sicurezza). Madrid è stata così la regione spagnola con meno restrizioni, ma l’incidenza del contagio non è ora il più alto del paese (lo era stato a lungo) e il numero di nuovi casi e decessi è lontano dal picco di gennaio.

Una dinamica politica nazionale simil-italiana, che ha portato la Spagna pagare un prezzo altissimo (3,5 milioni di contagiati e quasi 80.000 morti per Covid) e a perdere comunque una quota rilevante di Pil (11%).

Il Psoe di Pedro Sanchez incassa il peggior risultato di sempre, scendendo al 17% dei voti. Alla pari con Mas Madrid (la scissione ultramoderata di Podemos guidata da Errejon, che nella capitale ha il suo punto di forza). Seguono Vox (9%) e Podemos (7,25). Scompare la meteora “populista di centro” di Ciudadanos, che con poco più del 3% non raggiunge il limite per entrare nel consiglio comunale.

Due sono però le conseguenze rilevanti di questo voto.

La prima e più certa il ritiro del fondatore di Unidas Podemos, Pablo Iglesias. Nella notte ha annunciato che lascerà tutti i suoi incarichi istituzionali e l’attività politica.

Iglesias, come si dice, su queste elezioni “ci aveva messo la faccia”. Aveva infatti lasciato la vicepresidenza del governo per candidarsi a presidente della comunità autonoma di Madrid e rivitalizzare la sezione regionale del partito, molto in sofferenza. Ma non è riuscito nello scopo. Ha aumentato un po’ i voti del movimento, ma molto al di sotto dello sperato.

Il suo ritiro, comunque, non è semplicemente la presa d’atto di una sconfitta “tattica”, ma del fallimento di un progetto, di un’idea di “riforma della politica” che non faceva i conti con la realtà.

Questa decisione segna la crisi probabilmente definitiva del “populismo di sinistra”, caratterizzato da grandi “innovazioni di linguaggio”, priorità alla “comunicazione”, assoluta vaghezza programmatica, grande risalto ai temi dei diritti civili e silenziamento sulle questioni più “classiche” della sinistra (lavoro, occupazione, welfare, ecc.).

Sembrava la mossa decisiva per rivitalizzare una “sinistra” che in tutta Europa è stata divorata dal “riformismo senza progetto”, praticando un frenetico attivismo tattico mai supportato da progetti certi. E una volta arrivato a co-governare il Paese, tutto quel castello “discorsivo” e agitatorio si è tradotto in poco o nulla.

Da questa angolatura, insomma, Podemos ha replicato in Spagna la parabola dei Cinque Stelle in Italia. Con la differenza che Iglesias e il suo movimento sono comunque esplicitamente una “novità di sinistra”, mentre i grillini, come ben sappiamo, certamente no.

L’altro elemento evidenziato da queste elezioni, per i temi posti al centro, è l’irrazionalità elevata a fenomeno di massa. Quella sul lockdown, il rifiuto delle vaccinazioni e delle misure di prevenzione, è una patologia grave, dimostrata dalle statistiche mostruose dei Paesi in cui la “sottovalutazione” della pandemia ha moltiplicato le dimensioni della strage.

Gli Usa di Trump, il Brasile di Bolsonaro, la Gran Bretagna del “Johnson primo” (quello che ancora non era finito intubato per il Covid), l’India di Modi e tanti altri esempi stanno lì, davanti agli occhi di tutti.

Ma nella testa della “gente” vivono e si ingigantiscono spezzoni di menzogne ben cucinate, un’idea folle e irresponsabile di “libertà individuale” che somiglia da vicino a certi stati di coscienza procurati dagli allucinogeni. Come se la realtà fisica non potesse e soprattutto non dovesse costituire un limite ai comportamenti individuali “desideranti”.

Un esempio può aiutare. Si può essere convinti, se molto ubriachi e gonfi di pasticche di ogni tipo, di poter volare. Ma la legge di gravitazione universale, proprio come i virus, se ne fotte delle nostre convinzioni temporanee. Vi sembra assurdo? Chiedete a Robert Wyatt, ex batterista dei Soft Machine, che il 1° giugno 1973, in piena notte, si mise a camminare nell’aria fuori dal balcone dell’albergo...

Se quello stato di allucinazione riguarda un individuo, si fa male lui. Ma se una società intera viene “drogata” intenzionalmente per oltre un trentennio, allora si preparano disastri pesanti.

L’uscita a destra dalla pandemia – volendo mantenere la finzione “democratica” delle elezioni – non sarà, come con il fascismo “storico” di un secolo fa, una “modernizzazione reazionaria” guidata dal capitale trionfante, che riprende ad accumulare profitti e a dare forma al mondo.

La barbarie è dietro l’angolo, come accade quando gli imperi vanno in sfacelo... Ci sarà tempo per approfondire...

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