La passione di Renzi per le relazioni “particolari” con il mondo dei servizi segreti, è tornata in auge per il servizio di Report sul suo incontro in un autogrill con un noto dirigente dei servizi di intelligence dalla carriera piuttosto movimentata.
Replicando alle domande di Sigfrido Ranucci, Renzi ha detto un paio di cose che meritano qualche domande e, da parte sua, qualche risposta. Anzi, non sarebbe male se qualche interrogazione parlamentare chiedesse conto al senatore Renzi di questa sua particolare passione.
Il leader di Italia Viva ha affermato: “Io sulle nomine dei servizi non ho mai messo bocca da un giorno specifico, che è il giorno 4 dicembre 2016”, ossia dal giorno delle sue dimissioni da premier dopo la sconfitta nel referendum costituzionale.
In realtà a gennaio del 2021 nella lettera pubblica inviata all’allora premier Conte, Renzi scriveva: “L’intelligence appartiene a tutti, non è la struttura privata di qualcuno: per questo Ti chiediamo di indicare un nome autorevole per gestire questo settore. Io mi sono avvalso della collaborazione istituzionale di Minniti, Monti ha lavorato con De Gennaro, Berlusconi con Letta: tu non puoi lavorare con te stesso anche in questo settore”.
In una intervista al Corriere della Sera, proprio sul tema della nomina alla delega di Palazzo Chigi sui servizi segreti Renzi ha affermato: “La situazione internazionale richiederebbe ben altra professionalità rispetto a chi invia la geolocalizzazione degli incontri segreti in Libia come ha fatto per mera visibilità il portavoce di Palazzo Chigi o passerelle mediatiche quando si liberano – con metodi notoriamente non convenzionali – ostaggi provati da lunghe prigionie”.
Insomma nelle settimane di tiro al bersaglio contro Conte e il suo governo, Renzi ha sempre tirato dentro la questione di chi avrebbe dovuto controllare i servizi segreti per conto di Palazzo Chigi.
È bene ricordare che quando Renzi era Presidente del Consiglio, il progetto di metterci un suo amico – quel Carrai con le mani in pasta nelle società di cybersicurezza ed ottime relazioni nel Mossad israeliano – vide proprio i vertici dei servizi segreti insorgere per sbarrargli la strada.
Ma nella trasmissione Report Renzi ha detto testualmente anche un’altra cosa, piuttosto inquietante e che meriterebbe una risposta pubblica:
“Marco Mancini è uno dei dirigenti dei servizi segreti con cui ho avuto incontri riservati. Penso di averlo visto anche all’autogrill, quindi figuriamoci. Se lei fa riferimento al fatto che io l’ho incontrato nel mese di dicembre all’Autogrill, assolutamente sì, l’ho incontrato qui”, ha detto Renzi intervenendo nella trasmissione e indicando il suo studio da senatore a Palazzo Giustiniani, “come ho incontrato tanti altri dirigenti”.
La nostra domanda è semplice: perché mai un uomo politico che dal 2016 non ha incarichi di governo dovrebbe incontrare tanti dirigenti dei servizi segreti nel suo studio da senatore o in altri luoghi riservati?
Sarebbe interessante a questo punto verificare il via via di “barbe finte” nello studio di Renzi a Palazzo Giustiniani. E non dovrebbe essere neanche troppo difficile, visto che è uno dei luoghi istituzionali più discretamente ma intensamente controllato di cui si abbia conoscenza.
Ma ci ha colpito anche l’interlocutore dell’incontro galeotto di Renzi all’autogrill di Fiano. Si tratta infatti di Marco Mancini, dirigente dei servizi segreti e con almeno due incidenti di percorso noti nella sua carriera in cui è stato salvato dall’imposizione del segreto di Stato.
La foto pubblica di Mancini più nota è quella che lo vede accogliere all’aeroporto la giornalista Giuliana Sgrena, ferita e di ritorno in Italia dopo il suo sequestro in Iraq che costò la vita al dirigente dei servizi segreti Nicola Calipari (ucciso da un marines statunitense ad un check point).
I guai pubblici di Mancini iniziano poco dopo. Al processo di Milano per il sequestro dell’imam Abu Omar – un caso di sequestro illegale di un presunto terrorista islamico nelle strade di Milano che vide accusati 26 agenti della Cia e alcuni dirigenti dei servizi segreti italiani –il pm Spataro chiese una condanna a 10 anni per Mancini. La sentenza di primo grado (4 novembre 2009) deciderà invece il non luogo a procedere, invocando il segreto di Stato, per il capo del Sismi Niccolò Pollari e per il dirigente del Sismi Marco Mancini. In appello (15 dicembre 2010) viene confermato il proscioglimento per segreto di Stato dei due dirigenti dei servizi segreti italiani.
Ma in Cassazione (19 settembre 2012) il proscioglimento viene annullato, perché il segreto di Stato non può mai coprire un fatto-reato. Così si arriva ad nuovo processo d’appello (13 febbraio 2013) che condanna Mancini a 9 anni di reclusione e Pollari a 10.
Il segreto di Stato sul caso Abu Omar sarà confermato da tutti i governi che si succedono dal 2009 in poi (Prodi, Berlusconi, Monti, Letta, Renzi), aprendo conflitti d’attribuzione tra i vari poteri dello Stato, anche ricorrendo alla Corte Costituzionale contro i pm e giudici dei processi per il sequestro di Abu Omar. Quindi i dirigenti dei servizi segreti processati e condannati si salvano.
Ma per Marco Mancini le disavventure giudiziarie non sono affatto finite. Il 12 dicembre 2006, viene arrestato con l’accusa di essere coinvolto nei dossieraggi illegali realizzati dalla struttura di security della Pirelli-Telecom Italia, diretta da Giuliano Tavaroli, un collega di Mancini ai tempi dell’antiterrorismo. Secondo i pm, i due avevano messo in piedi una sorta di servizio segreto parallelo, pubblico-privato, che spiava e raccoglieva materiale riservato su centinaia di persone, imprenditori, politici, calciatori.
All’udienza preliminare (ottobre 2009), Mancini invoca di nuovo il segreto di Stato sui rapporti tra Sismi e Telecom. Il gup accoglie la sua richiesta e lo proscioglie, in parte per non aver commesso il fatto, in parte dichiarando di non doversi procedere per segreto di Stato. La Cassazione nel 2013 conferma le motivazioni del proscioglimento, ma in questo modo conferma che dentro la vicenda dello spionaggio Telecom a danno di cittadini agivano anche “interessi dello Stato”.
La vicenda della joint venture spionistica tra Telecom e servizi segreti, vedrà il 13 febbraio del 2013, la Corte d’Assise di Milano condannare l’ex collaboratore del Sisde, Marco Bernardini, a 7 anni e mezzo di reclusione, l’ex investigatore privato Emanuele Cipriani a 5 anni e mezzo, il giornalista Guglielmo Sasinini a 3 anni e mezzo. Gli altri protagonisti della vicenda se l’erano invece cavata giocandosi la causa in proprio. Il capo del security della Telecom Giuliano Tavaroli aveva patteggiato 4 anni e 6 mesi. Mentre l’ex numero due del Sismi, Marco Mancini come abbiamo visto se l’era cavata grazie al “segreto di Stato”.
Sullo sfondo della vicenda dello spionaggio/dossieraggio tramite le utenze Telecom, si apre però una partita strategica: quella del cyberspionaggio e della cybersicurezza. Su questo capitolo vengono ormai stanziati finanziamenti rilevanti e, se andate a vedere, il tema della cybersecurity è ormai prevalente e dominante anche nella relazione annuale che i servizi segreti consegnano al Parlamento. Sulla destinazione dei fondi e sulle gerarchie di comando e controllo del settore si consumano, dentro i servizi segreti e tra i terminali politici delle varie componenti, scontri durissimi e assai poco visibili all’opinione pubblica e allo stesso Parlamento.
Lo stesso Copasir (il comitato di controllo parlamentare sui servizi) sembra più impegnato a fungere da ring per schermaglie parlamentari che a istituzione chiamata proprio a rendere trasparenti e costituzionali attività necessariamente riservate per natura della loro dimensione operativa, ma che devono comunque corrispondere agli assetti democratici di una repubblica costituzionale.
E forse questa mission è l’unica che non interessa veramente a Renzi, che appare appassionato al mondo delle “barbe finte” perché da lì pervengono informazioni riservate e utili alle sue ambizioni politiche.
Ormai sono in tanti a chiedersi come possa essere così influente e potente il leader di un partito piccolissimo. E non c’è solo la spregiudicatezza personale che lo rende inviso alla gran parte del paese. Insomma, almeno in Senato qualche domanda a Renzi su questa sua particolare passione andrebbe posta.
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