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06/05/2021

Tassi negativi, profitti positivi

Da qualche mese a questa parte, la lettura di un estratto conto o dei documenti che periodicamente riceviamo dalle banche dove teniamo i nostri esigui risparmi può riservare sorprese poco piacevoli, con un aumento generalizzato di balzelli e tariffe vari. Per capire che cosa sta succedendo, è necessario allargare la prospettiva.

Come le persone hanno un conto corrente presso le banche commerciali, così le banche commerciali hanno un conto corrente presso la Banca centrale europea (BCE), dove detengono le loro riserve di liquidità. Dal 2014, il tasso su questi fondi è negativo, cioè una banca che deposita un euro presso la BCE deve pagare un prezzo per poterlo fare. Inoltre, i tassi di rifinanziamento delle banche, cioè il tasso a cui le varie banche possono prendere in prestito liquidità dalla banca centrale, sono stati fissati dalla BCE a zero dal 2016. Lo scopo di questa manovra è quello di abbassare, a cascata, i tassi praticati dalle banche sui prestiti che esse concedono, principalmente alle imprese e al sistema produttivo, e fornire al sistema finanziario la liquidità per rimanere a galla nel pieno della crisi. Questo, da un lato, dovrebbe contribuire a garantire la tenuta del sistema finanziario; dall’altro, nel mondo ideale immaginato dalla teoria economica dominante, dovrebbe fornire uno stimolo agli investimenti privati e dunque contribuire al rilancio dell’economia reale. Una politica di tassi d’interesse bassi può, in linea di principio, risultare positiva per il prestito alle famiglie, comportando tassi sui mutui vantaggiosi. Al contempo, può rappresentare un problema per le banche, le quali si trovano così a dover sostenere delle perdite sulle riserve di liquidità – accumulate nei loro conti presso la BCE – di cui fanno incetta per tappare i molti buchi, tra fallimenti di imprese e debitori che smettono di rimborsare i prestiti, che ogni giorno la crisi economica apre. Se, in tempi ‘normali’, la BCE remunererebbe questi eccessi di liquidità con tassi positivi, una politica di tassi negativi implica esattamente il contrario.

Mentre le banche tedesche e di altri paesi europei hanno cominciato a imporre a loro volta tassi negativi sui depositi della clientela per rifarsi, in altri paesi, tra cui l’Italia, si è optato per un aumento del costo di gestione dei depositi. In Germania, però, i tassi negativi sono applicati solamente ai depositi oltre i 100.000 euro, anche in virtù di una forte componente pubblica nel comparto bancario, che contribuisce verosimilmente ad una maggiore capacità del sistema finanziario tedesco di assorbire l’impatto dei tassi negativi praticati dalla BCE. In Italia l’aumento dei costi di gestione riguarda invece tutti i depositanti! Com’è facile prevedere, l’opzione scelta dalle banche italiane è anche peggiore di quella delle banche tedesche, essendo l’aumento dei costi regressivo: in parole povere, in proporzione, colpisce più i depositanti di piccole somme rispetto a quelli di grosse somme.

In un sistema capitalista, purtroppo, non stupisce che ogni settore produttivo cerchi di difendere il proprio profitto a scapito degli altri, facendo ricadere le perdite su altre categorie. E sappiamo bene che le banche sono tra le componenti più predatorie e spregiudicate del capitale. C’è però un altro attore coinvolto nella questione, un attore che, nonostante le apparenze, sta giocando un ruolo attivo. Gestire i costi della crisi e le conseguenze di manovre di politica monetaria ad opera della Banca centrale è compito dello Stato, che può scegliere di intervenire oppure può scegliere di lasciare che le banche si rifacciano e scarichino i costi su correntisti e risparmiatori. In maniera non sorprendente, il Governo italiano ha optato decisamente per questa seconda possibilità.

Negli ultimi anni ha preso piede nel dibattito pubblico una narrazione, mendace e senza alcun fondamento, che ci racconta di una BCE baluardo solitario contro la recessione economica e unico argine al tracollo delle economie dell’area euro. Una narrazione che, disgraziatamente, ha una sua declinazione anche, diciamo così, di centro-sinistra: l’austerità vincola i Governi dei Paesi membri, impedendo loro di mettere in campo i necessari interventi di massiccia spesa pubblica. Ciò depotenzia, prosegue la narrazione, anche il meritevole intervento della BCE.

Insomma, una dicotomia che vedrebbe l’austerità brutta e cattiva da un lato e la BCE come qualcosa d’altro, di esterno al progetto politico dell’austerità. Grattando la patina della propaganda, tuttavia, non è difficile mettere a fuoco il vero ruolo giocato dalla BCE come guardiano ultimo del dogma dell’austerità, un ruolo giocato in maniera spregiudicata a colpi di spread e di paesi gettati in pasto alla speculazione finanziaria a scopo disciplinante. La natura di classe dell’operato della BCE è evidente ed esplicito e la storia che abbiamo provato a raccontare qui ne rappresenta un tassello ulteriore. Una politica di tassi negativi serve a garantire credito a buon mercato alle imprese e liquidità a un sistema finanziario che traballa. Non deve però poter servire al piccolo risparmiatore, che deve pagare un tasso di interesse positivo pensato appositamente per lui e determinato dai costi di gestione, fissati dalle banche in totale libertà per difendere i loro margini di profitto sulle spalle di lavoratrici e lavoratori.

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