La condanna è stata un terremoto. È importante conoscere e comprendere alcune parole chiave. Per facilitarvi la comprensione del processo e della sentenza, di cui tutti oggi vi parleranno, ecco qui un glossario.
Ci sono sette cose importanti da sapere per comprendere le sette novità di questo processo. Leggendo le carte processuali, ho avuto la conferma di aver dato l’impulso iniziale alle indagini nel 2008 scrivendo di mio pugno, a nome di PeaceLink, l’esposto sulla diossina da cui è partito tutto.
Ma la carta decisiva del processo è stata la perizia epidemiologica richiesta dal GIP Patrizia Todisco. Ne parleremo nel settimo punto di questo articolo.
Oggi il processo, lungo e tortuoso, è approdato alla sentenza di primo grado.
Leggerete tanti commenti. È una vicenda scomoda perché toccava i peccati siderurgici della sinistra. Una vicenda che è stata messa a tacere e derubricata da tutti gli schieramenti a questione locale, nonostante le terribili implicazioni sanitarie, salvo poi diventare d’improvviso – di tanto in tanto – questione strategica nazionale quanto si parlava di economia.
Tuttavia una delle ragioni oggettive della scarsa attenzione è purtroppo dovuta ad una certa complessità della vicenda. Bisogna conoscere e comprendere alcune parole chiave. Per facilitarvi la comprensione del processo, di cui tutti oggi vi parleranno, proverò a scrivere un glossario.
È stato un processo diverso, qualitativamente diverso dai precedenti processi all’ILVA dei Riva, già condotti da Franco Sebastio, un procuratore molto determinato. Sebastio ha avviato le indagini nel 2008 e messo un paio di anni dopo sotto controllo le telefonate dell’ILVA.
Ma non ha potuto seguire il processo perché, guarda caso, lo hanno mandato anticipatamente in pensione in virtù di un’apposita norma ad hoc. Da Roma confidavano in un successore meno “spigoloso”.
Questo processo è sicuramente uno dei più imponenti mai celebrati fra quelli che si occupano di ambiente. Ed è quello più delicato in assoluto.
Riassumerò pertanto la vicenda evidenziando le cose importanti da sapere con sette parole chiave, sperando di fare cosa utile a tutti i lettori.
1. DIOSSINA. Le indagini nascono dopo un esposto sulla diossina presentato alla Procura della Repubblica nel febbraio del 2008 da PeaceLink. Nell’esposto si allegano le analisi di un pezzo di pecorino di pecore e capre che avevano pascolato attorno all’ILVA. Il pecorino mi era stato consegnato da Piero Mottolese, un ex operaio ILVA. Il pastore del pecorino è morto per un tumore.
La diossina è cancerogena (IARC classe I) ed entra nella catena alimentare. Questo processo per la prima volta si è occupato a Taranto della contaminazione siderurgica della catena alimentare, puntando su un reato di particolare gravità: avvelenamento di acque o di sostanze alimentari (art. 439 del codice penale).
La diossina è industrialmente connessa a un impianto che tecnicamente è definito “impianto di sinterizzazione”, anche detto di “agglomerazione”. L’ILVA di Taranto è dotata del più grande impianto di agglomerazione d’Europa, con un camino alto 212 metri (il camino E-312).
La diossina è fuoriuscita, determinando una grave contaminazione dei terreni circostanti, anche dagli elettrofiltri di questo camino. Le “polveri alla diossina” degli elettrofiltri sono state trasportate dal vento sul territorio circostante, anche sui pascoli dove brucavano le capre e le pecore delle storiche masserie locali.
Un dettaglio di non poco conto: la diossina fino al 2005 (anno della rivelazione fatta da PeaceLink) è stata trattata come una sorta di segreto industriale. Pensate che a Genova non ne hanno mai saputo nulla della diossina. Gli ambientalisti, i chimici e i giudici del processo genovese per inquinamento non hanno mai cercato la diossina perché neppure sospettavano che l’ILVA fosse una fonte di diossina.
La diossina è stata casualmente scoperta in seguito, nel 2005, da PeaceLink curiosando sui database online INES ed EPER, sui quali era classificata come PCDD e PCDF. Google era appena nato. Quei dati non entravano nei motori di ricerca. E da quella scoperta è partita la decisione di andare a fondo, fino a verificare se la diossina fosse entrata nella catena alimentare.
2. BENZO(A)PIRENE. Anche il benzo(a)pirene è un cancerogeno (IARC classe I) ma proviene dalla cokeria dell’ILVA. Nel 2009 e 2010, superando i limiti di legge, è stata al centro del processo, assieme alla diossina.
L’ARPA Puglia, diretta da Giorgio Assennato, porta alla luce i dati dello sforamento. L’ILVA entra in un report ARPA che le addebita il 98% delle emissioni di benzo(a)pirene a Taranto.
È il putiferio. La politica di governo si era dimenticata che per il benzo(a)pirene era scattato il limite di 1 nanogrammo a metro cubo a partire dal 1999. PeaceLink ha dovuto ingaggiare un contenzioso con la Regione Puglia per far applicare il limite.
C’è un’intercettazione bollente in cui i Riva si lamentano dei comunicati di PeaceLink sul benzo(a)pirene: “Questi per tre giorni ci fanno un culo così!” () Anche Vendola è preoccupato. La calda estate pugliese del 2010 diventa incandescente per il benzo(a)pirene.
Finché il governo Berlusconi, il 13 agosto 2010, cambia la legge. Sospende quel limite e toglie le castagne dal fuoco a tutti. L’ILVA può continuare a inquinare. Ma la magistratura riesce a intercettare telefonate molto particolari sul benzo(a)pirene che imbarazzano il PD.
3. COZZE. Nel 2011 le associazioni Fondo Antidiossina e PeaceLink denunciano il superamento dei limiti di legge delle diossine in quello che è il simbolo e il vanto gastronomico della città di Taranto: la cozza. Scoppia la protesta dei mitilicoltori. Il sindaco di Taranto va in piazza a mangiare le cozze tarantine.
Anche Legambiente aderisce pubblicamente alle degustazioni di cozze locali. Ma quelle cozze, nonostante i tentativi di esorcizzare pubblicamente lo spettro della diossina, risultano realmente e gravemente contaminate. Come per il pecorino, anche per le cozze i controlli della ASL – certificati da laboratori specializzati – danno ragione al Fondo Antidiossina e a PeaceLink, confermando i superamenti dei limiti di legge. Anche questo filone di indagini è entrato nel processo all’ILVA.
4. AIA. L’AIA è l’Autorizzazione Integrata Ambientale che avrebbe dovuto imporre prescrizioni severe all’ILVA e l’adozione delle migliori tecnologie disponibili. E invece nel 2011 l’AIA viene rilasciata dalla ministra Stefania Prestigiacomo con prescrizioni così blande che l’anno successivo, alla luce delle indagini di “Ambiente Svenduto”, viene riscritta e resa più stringente per gli impianti dell’area a caldo.
5. AREA A CALDO. L’Ilva si compone di due parti: l’area a caldo e l’area a freddo. La prima comprende le fasi di “cottura” del minerale di ferro (impianto di sinterizzazione) e di trasformazione del carbone in carbon coke (cokeria); la successiva fase è quella della produzione della ghisa negli altoforni a cui segue con i convertitori la trasformazione in acciaio e il confezionamento delle bramme (grandi “lingotti” di acciaio).
Qui finisce l’area a caldo (la più inquinante) e da qui comincia l’area a freddo che trasforma l’acciaio nei prodotti finiti (come coils e tubi). L’ILVA di Genova ha solo l’area a freddo. L’ILVA di Taranto ha l’area a caldo e l’area a freddo. L’area a caldo è stata al centro dei provvedimenti “Salva-ILVA”. La magistratura ne ha chiesto in passato il sequestro senza facoltà d’uso in quanto pericolosa. I pm ne hanno chiesto la confisca.
6. POLITICA. La grande novità di questo processo è che ha toccato anche la politica. E in particolare la sinistra. Senza entrare nel merito delle singole situazioni, è ragionevole chiedersi come mai sia stata la magistratura a mettere sotto accusa l’ILVA e non la sinistra. La risposta è purtroppo questa: all’interno della sinistra si erano coltivati buoni rapporti, persino di stima, con Riva.
7. INDAGINE EPIDEMIOLOGICA. La novità qualitativa di questo processo sta nell’indagine epidemiologica richiesta dal GIP Patrizia Todisco all’epidemiologo Francesco Forastiere. Tale indagine ha non solo descritto l’eccesso di malattie e di morti ma ha creato un modello per verificare se tali eventi fossero riconducibili alle emissioni dell’ILVA. E anche qui c’è da chiedersi come mai la sinistra – allora al governo di Regione Puglia, Provincia e Comune di Taranto – non abbia voluto commissionare una tale indagine epidemiologica, neppure quando gli è stato richiesto.
Infine va detto che questo processo è da collocare all’interno di una storia molto complessa, cominciata nel 2005 e che continua ancora oggi. Una cronistoria di cui ho cercato di sintetizzare i tratti salienti.
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