L’approvazione da parte dell’Ema del vaccino Pfizer per i bambini tra i 6 e i 11 anni certamente non mette la parola fine ad un acceso dibattito che divide il mondo scientifico e i motivi di perplessità non mancano.
Prima di decidere un intervento di sanità pubblica è necessario valutare il rapporto rischi/benefici rispetto alla singola popolazione.
Nel caso dei bambini è ampiamente documentato che: si infettano meno facilmente degli adulti, solo in casi rarissimi l’infezione evolve verso la malattia, i decessi dall’inizio dell’epidemia ad oggi nell’età 6-11 anni sono stati 9 (fonte: Istituto Superiore di Sanità, dati aggiornati al 17 novembre 2021) su oltre 132.000 decessi totali, hanno riguardato quasi sempre bambini che presentavano altre patologie, inoltre i più volte citati casi di sindrome infiammatoria multisistemica sono rarissimi e sono curabili.
È bene ricordare che i bambini quando si infettano nella grande maggioranza dei casi o sono asintomatici o sviluppano i sintomi di una comune influenza, guariti dalla quale sviluppano una immunità molto più forte di quella suscitata dal vaccino.
D’altra parte, la sperimentazione presentata da Pfizer ha coinvolto un numero estremamente limitato di bambini, poco più di 2.000, ed è durato pochi mesi ed infatti la stessa Pfizer in un suo documento afferma:
“Il numero di partecipanti all’attuale programma di sviluppo clinico è troppo piccolo per rilevare eventuali rischi potenziali di miocardite associati alla vaccinazione. La sicurezza a lungo termine del vaccino COVID-19 nei partecipanti da 5-12 anni di età sarà studiato in 5 studi sulla sicurezza dopo l’autorizzazione, compreso uno studio di follow-up di 5 anni per valutare a lungo termine sequele di miocardite/pericardite post-vaccinazione”.
Di fronte a queste affermazioni ogni pronunciamento pubblico richiederebbe la massima cautela, considerando che si tratta di esseri umani in una fase di forte sviluppo e crescita, situazione che implica un’analisi attenta dei possibili effetti collaterali anche a medio e lungo termine.
Da più parti si dice: vaccinare i bambini per evitare che trasmettano l’infezione agli adulti; ma la priorità dovrebbe essere quella di contattare i circa due milioni di ultrasessantenni che non hanno ancora fatto la prima dose e certamente non sono tutti no vax.
Il sistema politico-mediatico sembra, nella sua maggioranza, non porsi simili domande e spingere verso la vaccinazione di massa anche in età pediatrica; dimenticandosi troppo presto le nefaste conseguenze degli open day rivolti agli adolescenti realizzati con AstraZeneca, vaccino poi dimostratosi non adatto a quell’età.
D’altra parte, la pressione di Big Pharma è fortissima e si realizza anche sul mondo medico e su diverse società scientifiche.
In attesa di ulteriori studi una soluzione possibile sarebbe rendere disponibile il vaccino per quei bambini che hanno una situazione di fragilità o che vivono in famiglie dove i genitori, per motivi clinici, non hanno potuto vaccinarsi.
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