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24/11/2021

TIM - Dopo spagnoli e francesi arrivano gli Usa

È ormai un dato assodato che, dopo la stagione delle privatizzazioni degli anni Novanta, l’Italia sia diventato un grande supermercato dove multinazionali straniere agiscono acquisendo aziende grazie al ruolo passivo da parte del Governo il quale si limita tramite il MISE (Ministero Sviluppo Economico) a lunghe e inutili trattative, vere e proprie anticamere di una morte annunciata.

La manifestazione di interesse “amichevole” da parte del fondo americano KKR per l’acquisizione del 100% delle azioni ordinarie e di risparmio di TIM non è altro che l’ennesimo passaggio in mani straniere di un asset strategico come le infrastrutture di rete delle telecomunicazioni e non solo.

È del tutto evidente che non ci lascia spiazzati la tempistica dell’operazione, tenuto conto del Piano Strategico 2022-2024 in cui si prospettava un piano di rilancio infrastrutturale, grazie ai fondi europei del PNRR per la transizione digitale destinati alla rete in fibra che valgono 7 miliardi. Di fatto questo è il vero business per KKR, oltre a quello del progetto del Cloud di Stato, tramite la creazione di un’infrastruttura per la gestione in cloud di dati e applicazioni della Pubblica Amministrazione.

A 25 anni dalla nefasta privatizzazione, la gestione predatoria dei vari gruppi finanziari, prima che industriali, ha dilapidato un patrimonio tecnologico e professionale che aveva pochi pari in Europa.

I capitani di ventura che si sono susseguiti non hanno valorizzato un’infrastruttura essenziale per la gestione dei dati e delle comunicazioni.

Di certo chi ne ha pagato le conseguenze sono stati i lavoratori e i cittadini.

Oggi, indebolita, spartita tra interessi divergenti, senza un piano coerente con i bisogni generali del paese, TIM rischia di finire nel portafoglio dell’ennesimo fondo di speculazione finanziaria.

Come ciclicamente avviene, anche in questo caso viene rilanciata l’ipotesi dello spezzatino tra un’azienda in cui confluirebbero la rete, parte dei 21 miliardi di debito di TIM e di diverse migliaia di dipendenti e un’altra azienda di servizi commerciali alla clientela. Con una totale incertezza su TI Sparkle (la rete dei cavi internazionali) e sui Data center (Noovle), asset ormai essenziali che non possono essere lasciate alle multinazionali, per la loro strategicità devono essere pubbliche e sotto il controllo democratico.

Negli anni il management che si è avvicendato alla guida di TIM, si è caratterizzato solo per un aspetto comune: l’ossessivo obiettivo di ridurre costi, agendo sull’unica leva gestionale che concepiscono, la riduzione di personale, di salario e di diritti.

Per questo riteniamo che, come fatto dai precedenti management avvicendatisi alla guida di TIM, si voglia solo perseguire il miope obiettivo di ridurre costi, di frazionare e quindi diluire l’ingente debito che oggi grava su TIM e poter “snellire” il personale più agevolmente, agendo su perimetri societari più limitati.

Gli effetti indiretti sarebbero come è ovvio la perdita di migliaia posti di lavoro sull’intero comparto composto da una miriade di aziende che vivono degli appalti TIM: imprese di rete, dell’informatica, della logistica.

Inoltre, assisteremmo al notevole ridimensionamento del ruolo di TIM di guida nell’innovazione e nel salvaguardare dell’interesse nazionale, in un’ottica di sistema-Paese.

A completare il quadro, l’ulteriore apertura liberista in asservimento ai diktat dell’UE e del Governo Draghi che si è limitato a prendere atto della manifestazione d’interesse “amichevole”, in linea con il disegno di legge sulla concorrenza che prepara la privatizzazione di tutto ciò che resta ancora di pubblico nel nostro Paese.

Per questo invitiamo tutti i lavoratori e lavoratrici del Gruppo TIM alla mobilitazione nazionale del prossimo 4 dicembre “No Draghi Day” per dire NO alle privatizzazioni e ai licenziamenti.

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