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11/11/2021

Don Camillo, Peppone e il silenzio degli innocenti

di Sandro Moiso

No, non si tratta del titolo di un inedito di Giovanni Guareschi e nemmeno di quello di un nuovo sceneggiato televisivo con Terence Hill. Entrambi non sarebbero all’altezza dell’orrore di cui si è tornato a parlare in questi giorni: quello degli abusi perpetrati da decenni, e in tutto il mondo, dai rappresentanti della Chiesa, di ogni ordine e grado, in tonaca oppure laici, nei confronti di minori di ogni sesso ed età.

I numeri parlano chiaro, anche se sono ancora, in generale, sicuramente inferiori a quelli reali. Numeri che, nonostante tutto, sono utilizzati anche per “limitare” le responsabilità specifiche di Santa Madre Chiesa. Come succede in Francia in cui si fa ben attenzione a distinguere le responsabilità tra i 330.000 casi che potrebbero dover essere risarciti, con il susseguente e gravissimo danno economico per la chiesa francese. 216.000 episodi di pedocriminalità sarebbero infatti attribuibili direttamente a rappresentanti del clero, mentre altri 114.000 a non meglio identificati “laici” (Diaconi? Semplici “fedeli”? Altri figuri? Boy Scouts?).

Ma se il caso francese scuote le casse più che le coscienze della Chiesa, è da anni ormai che si parla dei crimini perpetrati nei confronti dei minori dal Canada agli Stati Uniti, dall’Australia al Messico, dalla Germania alla Polonia e all’Irlanda. Anche se è chiaro che i numeri sono ancora circoscritti alle inchieste che hanno effettivamente rilevato le responsabilità penali di vescovi, cardinali, preti e altri chierici di ogni ordine e grado[1].

Senza contare, come dimostra l’autentica strage di bambini nativi messa in opera nel corso di alcuni secoli in Canada dai rappresentanti dei gesuiti e di altri ordini della Chiesa, che sarebbe ancora più difficile contabilizzare con esattezza le vittime “sacrificali” imposte dall’azione di cristianizzazione dei “selvaggi”, che come ben si sa doveva dominare sui corpi oltre che sulle menti. Opera che la Chiesa ha saputo condurre ormai da almeno quindici secoli, prima sul territorio europeo, come si è già scritto più volte proprio qui su Carmilla, e poi nel resto del mondo.

Spesso il linguaggio ecclesiastico si è ammantato di termini come fede, appartenenza, gerarchia, comunione, spirito santo: ma quante volte queste parole saranno state usate per piegare, convincere, sedurre e costringere, per scopi che definire ignobili sarebbe ancora troppo poco? E quante volte l’inossidabile rete delle parrocchie, vero punto di forza del clero cattolico e dell’autorità papale fin dal Medio Evo, è stata testimone e luogo di tali violenze sugli unici e veri “agnelli di Dio”?

Soprattutto qui in Italia, dove sembrano essere assenti dati reali su un fenomeno così diffuso nel resto del mondo da essere ormai inseparabile dagli atti e dalla vita “sociale” della Chiesa cattolica, “santa”, apostolica e romana.

Eppure, eppure...

Nell’italietta sempre democristiana e sempre fascista, almeno fino a quando i rappresentanti politici, di destra o sinistra fa lo stesso, continueranno a rinnovare il Concordato, soltanto lievemente modificato rispetto a quello firmato con i Patti Lateranensi dl 1929, si fa finta di nulla, come al solito.

Le “cose brutte” accadono sempre altrove, perché, in fin dei conti, noi italiani, siamo “brava gente”. E quindi anche i nostri preti. Quindi gli oratori sono luoghi di socializzazione e il catechismo per i bimbi serve ad inserirli nella “comunità”, non importa se di uno dei più mostruosi apparati repressivi che la storia abbia mai visto in atto.

Basta, al solerte popolo italiano, avere un “papa buono”, come Giovanni XXIII, per dimenticare che quel Vaticano di cui fu sommo rappresentante era stato precedentemente retto da un Papa che aveva dato più di un aiutino ai gerarchi fascisti e nazisti in fuga oppure a mantenere la continuità, “senza rotture” come voleva anche Confindustria, tra regime e repubblica.

Che laica non è mai stata, se si considerano le continue interferenze della santa sede non solo in materia politica ed elettorale fin dal 1948, ma anche nelle scelte di semplice civiltà liberale (matrimonio, divorzio, diritti civili, aborto, quest’ultimo ancora definito omicidio da un altro e contemporaneo “papa buono” e “progressista”) che hanno contraddistinto altri paesi, non soltanto di segno protestante, e facendo sì che oggi, nella nazione che ha dato i natali a Mussolini e a una valanga di altri impostori di sinistra, si ritenga di sinistra ciò che appartiene semplicemente e naturalmente al liberalismo.

Un paese culturalmente arretrato, dove si urla ogni quarto d’ora al “lupo fascista”, ma che dell’autoritarismo religioso e patriarcale non sa fare a meno. In cui sia Matteo Salvini che il leader No Green Pass Stefano Puzzer possono impugnare il rosario come simbolo identitario, oppure Chiesa e Partito Comunista hanno potuto tranquillamente farsi piedino sotto il tavolo di ogni trattativa, come alcune positive valutazioni del Concordato, in occasione del Convegno “Problemi e prospettive dei Patti Lateranensi a 25 anni dalla revisione”, organizzato dalla Fondazione della Camera dei Deputati, dell’allora presidente Napolitano (sì, proprio lui, l’uomo del PCI che brindò alla repressione, ad opera dei carri armati sovietici, della rivolta operaia ungherese del 1956) sembrano ancora confermare:
“Solo pochi giorni or sono sono stati ricordati gli ottant’anni dalla firma dei Patti Lateranensi, che hanno posto fine ad un’epoca segnata da profonde lacerazioni fra lo Stato italiano e la Chiesa; oggi ricorrono i venticinque anni trascorsi dalla conclusione dell’Accordo di modificazione del Concordato, che ha consentito di consolidare le relazioni e di arricchirle di sempre nuovi contenuti anche a seguito dell’entrata in vigore della Costituzione. È pertanto quanto mai opportuna l’occasione di riflessione offerta dall’importante convegno di studi promosso dalla Fondazione Camera dei Deputati. Dall’insieme degli accordi del 1929 e del 1984 e dei principi enunciati nella Carta Costituzionale, che all’articolo 7 sancisce il principio secondo il quale “Chiesa e Stato sono ciascuno nel proprio ordine indipendenti e sovrani”, si è andata sviluppando una collaborazione feconda fra lo Stato e la Santa Sede. Tale rapporto, ispirato al rispetto reciproco, si traduce in un’operosa convergenza di sforzi volti al bene comune, nel pieno riconoscimento della dimensione sociale e pubblica del fatto religioso. Sono certo che il fruttuoso dialogo esistente tra le istituzioni italiane e la Chiesa, ribadito in occasione della visita ufficiale di Sua Santità Benedetto XVI al Quirinale il 4 ottobre scorso, potrà ulteriormente intensificarsi consentendo alla comunità nazionale di affrontare le sfide del XXI secolo forte della condivisione dei principi e dei valori che sono alla base della nostra identità culturale e spirituale” (qui).
Don Camillo e Peppone, nonostante le critiche da “sinistra” all’opera di Guareschi confermano la loro validità rimanendo sulla breccia, in un profluvio di ignoranza e arretratezza culturale che, qui al centro dell’impero ecclesiastico delle gerarchie nere e bianche e delle “eminenze grigie”, non ha nulla da invidiare ad altre esperienze sociali e religiose che ogni giorno ci vengono indicate come nemiche e arretrate. Madrase (madāris), scuole coraniche, studenti coranici (talebani), in cui, ad esempio, viene individuato ipocritamente l’inizio e la continuazione di una condizione femminile subordinata, repressa e brutalizzata (non soltanto nel corpo).

Dimenticando la “lunga” caccia alle streghe e, in tempi a noi più vicini, le donne (per loro fortuna e merito, a giudizio di chi scrive) scomunicate per il giro tondo in Duomo a Milano nel 1976[2], oltre tutte le altre amenità costruite intorno alla figura sacrificale della donna madre, sposa e, possibilmente, “madonna” oppure torturata, repressa e uccisa, in un paese, sempre il nostro, in cui, dopo l’abrogazione del reato di adulterio nel 1968, dopo l’introduzione del divorzio nel 1970 (legge 898), dopo la riforma del diritto di famiglia nel 1975 (legge 151), dopo l’introduzione dell’aborto nel 1978 (legge 194), le disposizioni sul delitto d’onore sono state abrogate soltanto il 5 agosto 1981 (legge 442).

Un paese dove lo “scandalo” del femminicidio è sempre poco collegato alla concezione della sacralità del matrimonio e del ruolo sottomesso della donna, “sposa” o “fidanzata” che sia. Una mentalità arcaica in cui il ruolo della Chiesa nella sua diffusione, nonostante i piagnistei papali alla finestra affacciantesi su Piazza San Pietro, non ha eguali e in cui l’istruzione impartita ai minori nei catechistici corsi, così simili all’indottrinamento mussoliniano (Chi è Dio? Chi è il Duce?), ha ancora una funzione socio-culturale importantissima e altrettanto negativa. Motivo per cui se, come affermava Marx, “la religione è l’oppio dei popoli”, lo stivale al centro del Mediterraneo è la patria dei bigotti oppiomani.

Forse proprio per tutti questi motivi, in Italia, non esiste ancora un’associazione per la denuncia dei crimini della Chiesa contro i minori che abbia la forza di quello francese, La Parole liberée, nata a Lione nel 2015 per opera delle vittime delle violenze perpetrate in ambiente ecclesiastico e neppure una commissione indipendente come quella denominata Sauvé che ha indagato per tre anni sullo stesso tema, portando, il 5 ottobre di quest’anno, alla presentazione di un rapporto che, di fatto, ha già messo in ginocchio la chiesa non solo francese, aprendo prospettive disastrose per la stessa in tutto il mondo.

La fede in unico Dio, non solo costituisce una menzogna e una violenza fatta alla Natura e alla specie umana, ma è anche la fonte di odi e violenze giustificate soltanto dall’idea del popolo eletto e della crociata per imporre un unica verità[3]. Forse sarebbe ora di superare il provincialismo, i timori, il perbenismo marcio di cui è permeato questo avanzo di paese, prima che sia dato libero sfogo all’ira, come nella Barcellona del luglio 1909[4] o nella Spagna del guerra civile (per non parlare delle rivolte medievali e moderne contro la corruzione della Chiesa e del papato).

Note:

1) Si veda: Domenico Agasso, Lo tsunami della vergogna sull’Europa pioggia di denunce per 60 anni di abusi, «La Stampa», 9 novembre 2021

2) Si veda qui un interessante articolo dell’epoca

3) Come ha dimostrato Jan Assmann in due splendide ricerche storico- antropologiche: Non avrai altro dio ( il Mulino, Bologna 2007) e La distinzione mosaica (Adelphi, Milano 2011)

4) Si veda: Escuela Moderna / Ateneo Libertario ( a cura di), Chiese in fiamme, Milieu edizioni 2019, recensito su Carmilla il 1° luglio 2020

Fonte

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