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29/11/2021

Meno democrazia, please, ce lo chiede l’Europa

Neanche il tempo di registrare la confessione “sovranista” di Mario Draghi. Neanche il tempo di cogliere in quel “passaggio della sovranità all’Europa” un processo forzatamente antidemocratico, che un altro pezzo da novanta dell’establishment alto-capitalistico europeo si precipita a confermare che – sì – un po’ di democrazia in meno non può che essere “salutare”.

Mario Monti – ex presidente dell’Università Bocconi dal 1994, commissario europeo per il mercato interno tra il 1995 e il 1999; nella Commissione Prodi ha rivestito il ruolo di commissario europeo per la concorrenza fino al 2004, poi nominato senatore a vita e presidente del consiglio nel giro di 24 ore (da Giorgio Napolitano) – se ne è bellamente uscito con una “raccomandazione” da brividi: “Bisogna trovare delle modalità meno democratiche nella somministrazione dell’informazione, in una situazione di guerra si devono accettare delle limitazioni alle libertà”.

Il contesto è determinante, come sempre. Stava parlando di come l’informazione-comunicazione sta affrontando da due anni la pandemia, e la “guerra” che nomina è contro il virus. Ma i concetti hanno la nota caratteristica per cui, una volta enunciati, possono essere applicati a contesti diversi. Se ce n’è l’opportunità, la possibilità, la convenienza, ecc.

Come accade sempre più spesso, un’uscita così infame ha richiesto una rettifica e una puntualizzazione. Ma il proverbio che recita “la toppa è peggio del buco” mai come in questo caso si è rivelato di saggezza assoluta.

Ha “precisato” infatti l’ex premier della “riforma Fornero”: “Ho usato un’espressione infelice e impropria. Però, al di là del termine infelice, il tema esiste”.

Ovvero: “è come se fossimo in guerra. Ma nessuno si è posto il problema di adeguare la comunicazione a una situazione di guerra. Credo che, andando avanti la pandemia o in futuri disastri per la salute, bisognerà trovare un sistema che dosi dall’alto l’informazione”. Comunicazione, badate bene, non “informazione”. Propaganda, insomma.

E chi dovrebbe decidere questo dosaggio di informazioni, da “somministrare” come una medicina pericolosa? Nessun dubbio, “Il governo, ispirato e istruito dalle autorità sanitarie”. O da quelle militari ed economiche, in altri tipi di guerra.

I no vax lo eleggeranno a loro nume tutelare, non c’è dubbio...

In due o tre frasi appena, questo tecnocrate che ha peggiorato la vita a decine di milioni di persone, quando ne ha avuto il potere, è riuscito a distruggere un paio di secoli di retorica democratica, compreso il pilastro liberale del “quarto potere”, la stampa.

Nel far questo è stato però non paradossalmente favorito da un sistema mediatico decerebrato e ossessionato esclusivamente dall’audience (l’equivalente del profitto, in questo ambito). E che dunque ci somministra – è il caso di dirlo – decine di ore al giorno su statistiche, varianti, vaccini e campagne vaccinali, no vax e no green pass (come “colpevoli” predestinati), virologi ed epidemiologi spesso non in grado di esprimersi in tv in modo differente da come farebbero in un convegno (luogo in cui la “problematicità” di ogni scoperta è altamente apprezzabile, visto che si parla tra pari livelli di conoscenza). Eccetera.

Un’informazione intossicata dalla ricerca dell’audience ha una caratteristica fondamentale: non può e non vuole “arrivare alla verità”.

Per un motivo banale: scoprire la verità è un atto definitivo, che chiude una discussione e apre ad altre ricerche, a problemi nuovi.

Ma se si stanno facendo i soldi – per l’editore – pestando sempre sullo stesso tema, allora “la parola definitiva” non deve arrivare mai.

Un esempio storico è quello della “dietrologia sul caso Moro”, sui cui si sono s-formati centinaia di gazzettieri italici. Il “mistero”, in quel caso, era la molla del business e dunque doveva restare in piedi a tutti i costi.

Con l’epidemia da Covid il problema è stato impostato in modo simile. “Tira”, e dunque si deve dare spazio più o meno a tutti, perché meno si arriva a una conclusione certa, più si continua a far girare la macchina, i soldi arrivano, l’editore è contento e “noi” (i giornalisti mainstream, non certo noialtri che lavoriamo volontariamente) siamo sull’onda.

La “libertà di stampa” è un concetto da sbandierare, nelle redazioni “professionali”, ma non da praticare. Avete mai letto su La Stampa una recensione critica nei confronti di un’auto Fiat o – sacrilegio! – contro la famiglia Agnelli? Idem in Rai o a Mediaset verso “l’editore di riferimento”, ovvio.

In questo caos informativo Mario Monti e quelli del suo livello ravvisano un “problema”, che identificano con “la democrazia”. Va bene che gli editori facciano i soldi con questa merda, ma se poi i governi – e le altre imprese che contano – non riescono ad esercitare una governance efficace, allora bisogna cambiare registro.

E “somministrare i giusti dosaggi di informazione”: quelli decisi dal governo.

Passi avanti in questa direzione erano già stati fatti – con il consenso degli stessi giornalisti mainstream – con le campagne in favore dell’”informazione docg” (la loro, ça va sans dire), per “combattere le fake news” (che sono un problema oggettivo, come i no vax). Ora Monti & co. invitano a fare il salto decisivo verso l’informazione di regime.

Ok, questo è chiaro. Monti lo dice esplicitamente.

Ma perché? Per quale motivo la “libertà di stampa”, e le libertà in generale, sono diventate un intralcio? Non avevano costituito fin qui la “vera differenza” del capitalismo neoliberista rispetto alle esecrate “dittature”?

La ragione è che “siamo già in guerra”, e non contro un virus.

Lo ha spiegato – con meno chiarezza, con molti veli in più – il più esperto Mario Draghi, durante la firma del Trattato del Quirinale: “Sovranità europea significa disegnare il futuro come lo vogliamo noi europei, non come lo vogliono gli altri. Per questo serve controllare i confini, gettare le basi per una difesa europea“.

La fase che è iniziata è di “competizione internazionale”, anzi di “iper-competizione”. Con la Cina e la Russia, certo, ma smarcandosi quanto basta dagli Stati Uniti, perché ci sono “interessi strategici europei” – per esempio in Africa – che debbono essere difesi anche da loro.

E “per fare la guerra”, come chiosa Monti, non c’è bisogno di “Nessuna censura, piuttosto un nuovo ruolo dell’informazione in una situazione di emergenza. Noi abbiamo già accettato di buon grado limitazioni mai immaginate alla nostra libertà di movimento. Diciamo di stare in guerra, ma appunto c’è da chiedersi in questa guerra, in un sistema democratico, come si affronta l’emergenza?”

Non dubitiamo che i “liberi professionisti” dell’informazione mainstream sapranno raccogliere immediatamente questo invito. Infondo, c’è solo da ricordarsi che devono tener conto di un secondo editore, che sta più in alto di chi paga loro lo stipendio a fine mese.

Il problema vero, comunque, è l’altro: siamo già in una guerra. E la vostra nuova “patria” si chiama Unione Europea. L’Italia o la Francia vanno bene allo stadio, come l’Inter o la Scafatese.

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