di Alberto Negri - il manifesto
La visita del presidente Sergio Mattarella ad Algeri ha toccato i nervi scoperti del Nordafrica e del Medio Oriente. La competizione con la Francia e non solo.
Dal Marocco a Israele, dalla Libia al Sahara, dal Sahel alle migrazioni, compresa la mai sopita competizione con la Francia con l’omaggio ad Algeri a Enrico Mattei, il fondatore dell’Eni – pilastro strategico dell’energia e della politica estera – scomodo attore negli anni ‘50-60 del petrolio e del gas, ben poco amato dalle potenze e dalle Sette Sorelle dell’oro nero, e soprattutto sponsor dell’indipendenza algerina da Parigi.
Caduto Gheddafi nel 2011, l’Algeria è il nostro maggiore alleato sulla Sponda Sud, il primo partner commerciale dell’Italia in Africa e nell’area Medio Oriente: certo non può sostituire il raìs libico ma senza dubbio è il Paese con cui abbiamo le maggiori assonanze, oltre che essere il secondo fornitore di gas dopo la Russia. Non è un alleato facile: l’Algeria è in rotta di collisione con il Marocco ma anche con la Francia di Macron, come ha dichiarato lo stesso presidente algerino Tabboune.
Algeri rimane comunque un attore importante anche per la Libia, dove in Tripolitania c’è la Turchia di Erdogan e dall’altra parte il generale Khalifa Haftar – sostenuto da Russia, Emirati, Egitto e Francia – che l’altro giorno ha mandato in Israele il figlio Saddam con l’intenzione di negoziare, nel caso fosse eletto presidente, l’adesione della Libia al patto di Abramo.
Insomma nella campagna elettorale libica – dove il 24 dicembre si dovrebbe votare per le presidenziali e le legislative (come annunciato dal capo del parlamento di Tobruk, Aguila Saleh) – entra pure Israele che assistenza militare alla Cirenaica di Haftar l’ha già fornita in chiave anti-turca (gli accordi sul gas di Israele, Cipro e Grecia per il gasdotto EastMed si contrappongo a quelli tra Turchia e Tripoli).
Ma il patto di Abramo voluto da Trump per allacciare relazioni diplomatiche ufficiali tra Israele, Bahrein Marocco, Sudan, forse sta portando più destabilizzazione che governabilità in Africa. Basta vedere l’enigmatico colpo di stato sudanese, gli effetti sulla guerra civile in Etiopia e le pesantissime tensioni tra Algeria e Marocco per la questione del Sahara occidentale dove il popolo saharawi aspetta ancora invano un referendum sull’indipendenza.
Era stato proprio Trump nel dicembre 2020 a riconoscere la sovranità del Marocco sul Sahara occidentale, conteso tra Rabat e il Fronte Polisario, in cambio della normalizzazione delle relazioni di Rabat con Israele. Ecco che cosa significa toccare i nervi scoperti del Sahara e del Sahel dove l’Unione Europea agisce con i suoi contingenti militari in Niger e Mali contro le forze jihadiste. Ci attendono forse sorprese, e non tutte piacevoli.
E ora queste grandi manovre – da cui non è escluso il Libano, sull’orlo del collasso e nel mirino dell’Arabia Saudita – potrebbero far sentire i loro effetti anche in quella Libia che in vista delle elezioni si sta dibattendo con i fantasmi di Gheddafi e l’ancora incerta (e contestata) candidatura presidenziale del figlio del raìs, Saif Islam.
In questo quadro va visto l’annuncio del Consiglio presidenziale di sospendere per due settimane la ministra degli Esteri Najla Mangoush, poco gradita ai Fratelli Musulmani, dopo che parlando alla BBC si era detta disponibile a considerare l’estradizione negli Usa dell’ex dirigente dei servizi segreti di Gheddafi, Abu-Aqila Mohammed Massoud, accusato di avere organizzato l’attentato contro il Boeing 747 Pan Am che nel dicembre 1988 esplose nei cieli scozzesi di Lockerbie con oltre 270 morti. Vicenda chiusa dai libici con il risarcimento delle famiglie.
Eppure il premier ad interim Abdul Hamid Dabaibah ha confermano che Mangoush sarà alla conferenza di Parigi del 12 novembre dove Macron vuole rilanciare il ruolo libico della Francia, che nel 2011 volle la caduta di Gheddafi trascinandosi dietro Usa, Gran Bretagna e Nato, Italia compresa, poi precipitata nella crisi dei migranti e nei rapporti ambigui, riconfermati anche dal governo Draghi, con la criminale guardia costiera libica.
Non è un caso che il presidente algerino, in contemporanea con la visita di Mattarella, abbia attaccato Macron in un’intervista al settimanale tedesco Der Spiegel.
«Non sarò certo io a fare il primo passo per normalizzare le relazioni con la Francia», ha dichiarato Abdelmajid Tabboune dopo che Macron aveva affermato che «prima dell’arrivo della Francia, l’Algeria non aveva un’identità nazionale». E ha confermato le ritorsioni: gli aerei militari francesi diretti in Niger e Mali non potranno sorvolare i cieli algerini, portando cosi i tempi di volo da quattro a nove ore.
A nessuno è sfuggito che il momento centrale della visita di Mattarella sia stata ad Algeri l’inaugurazione dei giardini e del busto dedicati a Enrico Mattei, rimasto ucciso in un sospetto incidente aereo a Bascapé nel 1962. Mattei sostenne e finanziò il Fronte di liberazione nazionale algerino (Fln) nella lotta anti-francese.
Si è quindi dovuti andare ad Algeri per parlare dell’ex partigiano che fondò l’Eni, nonostante gli americani e gli inglesi nel dopoguerra avessero chiesto con insistenza la liquidazione dell’Agip e dei nostri asset energetici. Ecco perché il passato è vicino alle vicende di oggi, ecco perché Mattei è ancora così scomodo. Nervi scoperti.
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