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11/11/2021

La Costituzione rovesciata del prefetto Lamorgese

Un prefetto – ossia un rappresentante del governo in una provincia, incaricato soprattutto dell’ordine pubblico e inserito nei ruoli “civili” del ministero dell’interno – possiede in genere nozioni approssimative dei diritti politici e civili. O quantomeno nozioni “deformate” dall’esercizio quotidiano di una autorità costitutivamente limitativa dei diritti, secondo opportunità e interessi mutevoli del governo di turno.

Insomma, è un funzionario che deve tradurre gli ordini del governo in provvedimenti che assicurino che quegli ordini siano eseguiti, ma senza dare l’impressione di una “dittatura”. Poliziesca, non “sanitaria”.

Se un prefetto diventa ministro il cortocircuito è assicurato, perché la “funzione tecnica” diventa scelta politica, e una violazione occasionale dei diritti politici – un singolo prefetto che prende una decisione anti-costituzionale in un singolo territorio – può diventare un linea politica governativa. Dittatoriale e poliziesca, comunque travestita.

Il prefetto Luciana Lamorgese, intervenendo all’Assemblea nazionale dell’Anci a Parma, ha provato a motivare in punta di Costituzione e diritto la decisione del governo di vietare i cortei e confinare le manifestazioni – ridotte a presìdi statici – in aree delle città in cui non ci siano “punti sensibili” (istituzionali e non), attività commerciali, snodi logistici, ecc.

In pratica si potrà “manifestare il dissenso politico” solo in aperta campagna, gridando slogan alla Luna e ai merli.

Ma è analizzando le “argomentazioni” del ministro che si capisce fino in fondo la filosofia di questo governo, improntata alla tipica governance aziendale, dove il proprietario comanda, la gerarchia esegue e “le maestranze” obbediscono, con libertà di “mugugnare” solo fuori dal lavoro (ma senza farsi intercettare...).

“Il diritto di manifestare è costituzionalmente garantito ma esiste anche un bilanciamento dei diritti: si può manifestare ma servono regole che proteggano gli altri cittadini, il diritto al lavoro e il diritto alla salute“.

Sembra di ascoltare un fascioleghista qualsiasi che comincia dicendo “non sono razzista, ma...”.

Ma è soprattutto quel “bilanciamento dei diritti” che dovrebbe far sobbalzare qualsiasi “sincero democratico”. Quel “bilanciamento” è infatti il motivo per cui esiste una Costituzione. La quale sovrintende anche alla formulazione di leggi, regolamenti, decreti, ecc., che necessariamente debbono essere elaborate dai governi e dai Parlamenti, ma che non sempre sono concepite secondo lo “spirito della Costituzione”.

E infatti è prevista ovunque – nelle democrazie liberali – una speciale Corte Costituzionale che può annullare o chiedere di rivedere singole leggi o singoli paragrafi di una legge.

Quel “bilanciamento”, insomma, non è nelle disponibilità di un governo o di un ministro. Perché “bilanciare” significa ridurre l’esigibilità di un diritto qualsiasi contrapponendogli altri diritti. Che non è detto siano della stessa rilevanza.

E infatti l’”argomentazione” successiva fa cadere la foglia di fico.

“Tante giornate prefestive che hanno messo a dura prova non solo i cittadini, ma anche le attività commerciali che si trovano in un momento positivo per la ripresa. E non si può pensare che a fronte di un’economia in rialzo, la penalizziamo con tutte queste manifestazioni“.

Il diritto di fare impresa e profitti è anch’esso previsto dalla Costituzione, che però si preoccupa anche di limitarne l’ambito, a scanso di interpretazioni “padronali”: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.

Il diritto delle attività economiche, insomma, non è un diritto assoluto come quello di poter manifestare il dissenso – che sarebbe poi l’elemento centrale di un assetto liberal-democratico, che non a caso viene sempre richiamato quando in paesi non occidentale si verifica qualche repressione del dissenso.

Quindi pensare di “bilanciare” autoritariamente questi due diritti, per un governo liberista, implica necessariamente il limitare fortemente il primo per non disturbare l’attività economica privata.

Detta così, però sarebbe eccessiva anche per un governo che prende le direttive da Bruxelles (e dalla testa di Mario Draghi), anziché da un mandato programmatico e politico legittimato dal voto popolare.

E quindi si passa subito all’argomentazione “finto-buonista”: “C’è l’esigenza di tanta parte dei cittadini, che hanno fatto la vaccinazione, osservano le regole e hanno diritto ad avere spazi di vita sicuri”.

Finta, perché se esiste una minoranza di “cittadini” che non sono vaccinati è per scelta irresponsabile di un governo che non ha voluto rendere obbligatorio il vaccino – una scelta sanitaria applicata per almeno altri dieci casi – rendendo possibile una “libertà di scelta” su questioni che non possono esserlo (c’è una pandemia mondiale, ma non tutti hanno gli strumenti culturali per sapere da soli qual’è la cosa più giusta da fare).

È vero che anche in altri paesi, con altri sistemi economico-politici (Cuba e Cina su tutti), non è stata resa obbligatoria la vaccinazione. Ma quei governi sono evidentemente abbastanza autorevoli (significa credibili, non “autoritari”) per quelle popolazioni da potersi permettere che un “consiglio” sia seguito da quasi tutti (tranne i casi che lo sconsigliano, ovvio).

Qui invece abbiamo da sempre governi venduti agli interessi delle grandi imprese private (e anche dei piccoli bottegai, come ammesso dalla stessa Lamorgese) e quindi i suoi “consigli” vengono spesso giustamente letti come “fregature” ideate per favorire questa o quella multinazionale. Lo spettro di Big Pharma o delle Sette Sorelle non è nato mica oggi.

È in questa diffidenza che affonda come un coltello nel burro la dietrologia “no vax”, rendendo possibile una disponibilità alla mobilitazione che non è per ora altrettanto forte in campi ben più decisivi per le condizioni di vita e lavoro, e molto più chiaramente deformati secondo gli interessi del capitale industriale o finanziario.

Parliamo spesso di pensioni, salario, scuola, aliquote fiscali per lavoratori dipendenti, contratti precari, ecc. E soltanto ora – con la mobilitazione finalmente unitaria dei sindacati di base – si comincia a vedere un’inversione di tendenza.

E qui casca l’asino delle “argomentazioni” del ministro Lamorgese.

Se l’obbiettivo del governo fosse stato davvero quello di “limitare i contagi verificatisi in alcune manifestazioni” – no vax e no green pass, ormai largamente sovrapponibili nei fatti – non avrebbe diramato una direttiva che vieta TUTTE le manifestazioni.

Né avrebbe stabilito che sono permesse quelle “statiche”, ma non i cortei. Chiunque può constatare come fisicamente si stia molto più “assembrati” nei presìdi che non nei cortei, quando – se non altro per apparire più numerosi – è sempre stato normale “stare distanziati”, senza neanche le raccomandazioni del Cts.

Anche a Trieste – riguardando le immagini – si vede bene che gli “assembramenti” sono avvenuti all’ingresso del porto (“presidio statico”, peraltro “stretto” con gli idranti e le cariche della polizia), oppure nella piazza centrale.

Dunque le argomentazioni del ministro e del governo non stanno in piedi, oltre ad essere ovviamente anti-costituzionali.

La preoccupazione è solo una: le “riforme” che stanno preparando sono così infami e antipopolari che danno per scontato un aumento della conflittualità sociale. Meglio impedire che la gente possa scendere in strada, o comunque avvicinarsi troppo alla cattedrali del potere.

E si preparano per tempo.

P.s. È evidente che i “no vax” sono stati ultra-mediatizzati proprio a questo scopo. Con una popolazione completamente vaccinata all’80%, e ben oltre questa soglia con almeno una dose, la “caciara” sollevata da un minoranza rumorosa e “complottista” non può che sollevare molto fastidio e scarsa solidarietà sociale.

Reprimere loro consente perciò al governo di ottenere facili consensi. Basterebbe guardare a quanti “bravi cittadini democratici” dichiarano – da veri coglioni suicidi – che “non bisognerebbe curare chi non si vaccina” o che almeno “bisognerebbe far pagare loro le cure” (come hanno deciso a Singapore, peraltro). Se la sanità pubblica dovesse essere riservata soltanto a chi ha sempre tenuto un “corretto stile di vita”, probabilmente non dovrebbe curare più nessuno.

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