Le guerre cambiano la scala dei valori, si dice. Di sicuro acuiscono la normale capacità di ognuno di “avvertire” – magari in modo confuso, non sistematico, quasi “animalesco” – il pericolo. E di distinguere, perciò, le chiacchiere dalle cose serie.
Vedere decine di paesi europei e la vecchia superpotenza Usa in crisi di identità – anche economica – mentre cercano un via per esercitare l’antico dominio, ma senza rischiare la guerra nucleare, è già una fonte di generale preoccupazione, confermata persino dai sondaggi (che in genere precostituiscono il risultato, ma stavolta non ci riescono).
Lo capisce anche un bambino che in una situazione del genere “l’incidente” che scatena l’inferno è dietro ogni angolo. Ergo, sarebbe logico e razionale fermare le macchine, cambiare atteggiamento – è risaputo che “noi occidentali” non stiamo simpatici al resto del mondo, dopo una plurisecolare storia da colonialisti guerrafondai – e mettersi dunque al tavolo con “il nemico” (oggi i russi, dopo decine di altri) per ridisegnare un nuovo ordine internazionale. Meno a senso unico.
E invece no. Li vediamo cercare un modo di estendere la guerra in Ucraina – a spese degli ucraini, naturalmente – finanziando, inviando armamenti sempre più “letali” (come se ne esistessero di “curativi”).
Possiamo guardarli in faccia e capirli, perché li conosciamo. Non ce n’è uno che abbia la statura per stare al livello dei problemi. Cresciuti a iattanza e pensiero unico si mostrano indignati – sempre, lo hanno fatto anche con personaggi e paesi assai meno potenti – che ci sia qualcuno che non obbedisca a comando. Mostrandosi magari anche contento di obbedire.
Non distinguono più nemmeno tra fronte esterno e fronte interno, vanno a caccia di “nemici” e “quinte colonne” con l’elmetto calato sugli occhi.
Se in Occidente è in fondo facile indicare Putin come unico responsabile della guerra (basta eliminare ogni ricordo storico degli ultimi venti anni), è più difficile impedire che qualche cervello provi a pensare. Magari anche solo per avvertire i “decisori” che stanno sottovalutando, o ignorando, una serie di problemi strategicamente rilevanti.
Guardando la velocità con cui una serie di personaggi magari conservatori o neoliberisti passano in pochi giorni dal ruolo di rispettabili “esperti” a demoni filo-putiniani (un esempio per tutti, il prof. Orsini) si coglie con precisione la ventata di follia che attraversa l’establishment.
Dio confonde coloro che vuol perdere, si dice quando si vede qualcuno correre verso l’abisso. Ma se quel qualcuno sono i primi ministri e presidenti, beh, il problema è tutto nostro. Sono loro che stanno alla guida del nostro treno.
È qui che si vede all’opera la catastrofe intellettuale dell’ideologia. Ovvero di quel sistema integrato di convinzioni, assiomi, abitudini, luoghi comuni, che ha costruito e costituisce il pensiero unico neoliberista. Una serie di automatismi piccoli e grandi, per cervelli piccoli e mass media, che hanno nel “pilota automatico” di Mario Draghi – i trattati europei e la loro burocratica applicazione – il punto più alto. Si fa per dire...
L’ideologia è quell’abito mentale che consente a chiunque – davanti a un problema, per quanto complicato e nuovo sia – di enumerare una serie di “soluzioni” già pronte, utilizzate in casi simili o del tutto diversi. “Si fa così, no?”...
L’ideologia neoliberista ha tutto un casellario di soluzioni simili. Hanno funzionato contro Saddam, il movimento operaio, Gheddafi e via contando. Perché non possiamo fare altrettanto con la Russia?
Perché ha il secondo arsenale nucleare del pianeta. Oltre al gas che ci serve per avere elettricità e cucine funzionanti.
Ma l’ideologia non ammette limitazioni. Insiste e costringe ad insistere per la rimozione dell’ostacolo. Più ne incontra più si imbestialisce, vaneggia, minaccia, scheda, mette all’indice. Basta un nome russo (Dostoevskij o Gagarin, per esempio) e parte la vena. Basta un “sì, però...” per individuare “il servo di Putin” pure in un pacifico e pacifista prete di Pax Christi. Non lo dicono ancora al Papa per pudore e consuetudini antiche.
L’ideologia neoliberista ha fatto stragi anche “a sinistra”, va detto. Veniamo da trent’anni di individualismo esasperato e spensierato, malamente mascherato da “progressismo”. Da una “cultura dei diritti” che ha cancellato l’origine storica ed empirica di ogni diritto: il conflitto. Sociale e politico, naturalmente. Perché nessun diritto è stato regalato dal potere, ma strappato a carissimo prezzo. È un risultato, non uno “stato naturale”.
Ma una cultura dei diritti che ignora il conflitto – l’antagonismo tra interessi sociali opposti – è un brodo di chiacchiere senza costrutto. Un maledire (educato, ci mancherebbe...) il mondo perché non corrisponde ai propri sogni o desideri. Senza più sapere da dove partire per modificare il mondo che c’è.
Inutile stupirsi che questa “sinistra” abbia perso appeal sociale. Chi fatica per mettere insieme il pranzo con la cena capisce per istinto cosa aiuta a migliorare la propria condizione e cosa, invece, serve solo a scaldare il cuoricino dei buoni sentimenti.
Ma è quando la guerra bussa alla porta che, improvvisamente e per tutti, si vede senza sforzo alcuno la differenza tra ideologia-fede e soluzioni concrete, faticose, rischiose, costose.
È a questo punto che le chiacchiere stanno davvero a zero.
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