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28/03/2022

A pensar male si fa peccato...

Dal giorno dell’invasione e l’inizio della guerra il sistema mediatico italiano si è immediatamente compattato, allineato e uniformato in un’unica voce bellicista. Fatta eccezione per qualche rara voce dissonante la richiesta di una maggiore partecipazione negli aiuti allo sforzo militare che proveniva da Kiev ha così trovato una vasta eco nelle redazioni dei maggiori giornali nazionali.

Sappiamo bene come funziona l’informazione mainstream e come obbedisca ad alcune “leggi” che per certi aspetti prescindono anche dalle linee editoriali. Così come sappiamo altrettanto bene come proprio tali leggi tendano spesso ad innescare reazioni e comportamenti che potremmo quasi definire “automatici”.

L’orrore della guerra, soprattutto quando è “lontana da noi”, alla lunga tende a stancare il lettore o lo spettatore, di questa cosa se ne crucciava pubblicamente pochi giorni fa Concita De Gregorio, quando lamentava in diretta televisiva un calo generalizzato degli ascolti dei talkshow dedicati al conflitto. Potrà pure suonare cinico, ma la guerra produce assuefazione, e per mantenere alta l’attenzione del pubblico pagante è necessario fornirgli dosi sempre più forti di orrore.

L’entourage che cura la comunicazione di Zelenskij, provenendo dal mondo delle fiction televisive, questa legge non scritta la conosce perfettamente, e non a caso periodicamente provvede ad alzare l’asticella dell’allarme mediatico lanciando “notizie” di stragi efferate che, per fortuna, e sottolineiamo per fortuna, almeno per il momento non hanno mai trovato riscontro.

I marinai schiacciati vivi sull’isola dei serpenti che in realtà erano incolumi, il “bombardamento” della centrale nucleare che avrebbe messo a rischio l’intera Europa quando in realtà si trattava di bengala traccianti; le migliaia di morti sotto le macerie nell’ospedale di Mariupol poi ridottesi a 3 vittime e 17 feriti; le altrettanta migliaia di presunte vittime nel bombardamento del teatro, sempre a Mariupol; le donne stuprate ed impiccate di cui però non si è trovata traccia, l’uso di bombe al fosforo successivamente smentito dalle stesse autorità ucraine, ecc. ecc.

Tutte “notizie” la cui veridicità non ha alcuna importanza per i nostri giornali, basta solo che siano “verosimili” e che quindi possano essere utilizzate per vendere copie, ottenere visualizzazioni o far alzare lo share. Proprio come dei tossici ne hanno un bisogno continuo e chi gliele spaccia lo sa bene.

Probabilmente su questo si innesta poi anche un problema generalizzato di “qualità professionale” legata al fatto che da anni le redazioni si reggono sul lavoro editoriale di stagisti, giovani giornalisti o aspiranti tali che vengono pagati una miseria a pezzo, e che dunque il più delle volte si limitano a riprendere le agenzie di stampa e colorirle un po’ e a trasformarle in un articolo, senza nemmeno prendersi la briga di verificarne l’attendibilità. Mettendo così in pratica, probabilmente senza nemmeno averne coscienza, quel vecchio slogan degli anni Settanta che sosteneva che a un salario di merda andasse fatto corrispondere un lavoro di merda, in questo caso più propriamente un prodotto di merda. Che poi questo accada in un campo delicatissimo come quello dell’informazione, e durante un conflitto che potrebbe tracimare in una guerra globale, è solo un ulteriore segnale dei tempi che viviamo.

Oltre a questo c’è poi, però, e forte, l’adesione ideologica al conflitto da parte di chi quelle redazioni le controlla professionalmente, nonché, altrettanto forti, gli interessi materiali di chi invece quelle redazioni le controlla economicamente. D’altronde, come sottolineò acutamente qualche anno fa Raul Castro: da quando è stata inventata la stampa, la libertà di stampa è la volontà del padrone della stampa. Quindi, visto che usando come giustificazione la paura che i cavalli dei cosacchi possano arrivare ad abbeverarsi alle fontane del Vaticano l’Italia si sta apprestando ad alzare le spese militari al 2% del Pil, forse non sarebbe poi così peregrino domandarsi chi ci guadagnerà da questo extrabudget di 10 miliardi di euro all’anno.

A tal proposito è stato molto interessante, quindi, leggere una breve inchiesta pubblicata nei giorni scorsi dai tipi di Radio Città Fujiko 103.1 fm sugli “interessi materiali” della proprietà a cui fa riferimento il Gruppo Gedi.

Tra le 24 testate controllate dal gruppo di cui è presidente John Elkann ritroviamo infatti alcune di quelle più apertamente sbilanciate per un coinvolgimento militare dell’Italia nella fornitura di armi e nel sostegno economico al governo Zelenskij. Su tutte indubbiamente spiccano La Repubblica e La Stampa, i cui direttori “embedded” non solo hanno indossato fin da subito l’elmetto, ma presidiano quotidianamente talkshow e trasmissioni tv, bastonando dialetticamente chiunque venga ritenuto in odore di “criptoputinismo”. Ebbene, come dicevamo e come ricordava l’inchiesta, tutti questi giornali fanno capo a John Elkann e ad una holding, la Exor, di cui lo stesso Elkann è il Ceo.

Tra le società controllate da questa holding figura anche la Cnh che ha come principali marchi la Iveco Defence Vehicle. “Insieme a Leonardo, la principale società italiana a partecipazione pubblica nel settore militare, la Cnh (quindi la Exor, cioè Elkann) ha partecipazioni nel Consorzio Iveco Oto Melara (Cio), capofila dell’industria nazionale degli armamenti terrestri. (…) Basterebbe questo per testimoniare l’interesse e gli affari di Elkann nel settore militare, che ai maliziosi basterebbero a spiegare l’interventismo di molti giornali italiani, ma l’appetito di Elkann per il settore difesa non è terminato. Nel 2020, in seguito alla crisi causata dal Covid, Rolls Royce mostrò gravi problemi di bilancio. Oltre alle celebri auto di lusso, Rolls Royce è attiva nel settore dell’aviazione civile, ma anche nel settore della Difesa. Si calcola che il 25% dei veicoli militari di tutto il mondo abbia motori Rolls Royce e lo stesso bilancio della società è composto per il 28% dai proventi del settore Difesa. Nell’aprile del 2021, in una lettera agli azionisti disponibile sul sito di Exor, John Elkann li informava che «Nel corso dell’anno abbiamo anche aperto una nuova posizione in Rolls-Royce. È il secondo produttore mondiale di motori per aerei civili (dopo GE) ed ha anche grandi imprese nei sistemi di difesa e potenza». Nel corso del 2020 la stessa Rolls Royce ha ricevuto commesse militari da Paesi come Germania, Corea del Sud e Gran Bretagna. (…) Ma non è finita. Il nome di Rolls Royce lo ritroviamo insieme ad un altro nome che abbiamo già visto, Leonardo, all’interno del programma Tempest per la produzione di aerei caccia di nuova generazione da sviluppare entro il 2035.”

Proprio il riferimento alla Leonardo permette di fare un ulteriore link, che forse non prova nulla, o forse invece spiega gli interessi materiali che muovono le scelte del soggetto politico in questo momento più attivo sul fronte della guerra a livello nazionale, il PD. Dal 2017 l’amministratore delegato del gruppo che deve al settore della difesa il 68% del suo fatturato (13,4 mld di euro nel 2020) è infatti Alessandro Profumo (ex Mps), uno che pur non avendone mai avuto la tessera in tasca è da sempre considerato più che organico al Partito Democratico. Un fortunata coincidenza poi vuole che nel 2021 la Leonardo abbia partorito la “Fondazione Med-Or”, con cui promuove un attività di lobbing nel Mediterrano e in Medio Oriente per allargare i propri affari, sempre nel campo della difesa, e che ne abbia affidato la presidenza all’ex ministro dell’interno Marco Minniti, che per ricoprire tale ruolo si dimise da deputato del PD. E sempre allo stesso partito fa riferimento anche il Presidente dell’altra fondazione creata dall’azienda nel 2019, l’omonima Fondazione Leonardo, e in questo caso a ricoprirne il ruolo apicale è invece stato chiamato l’ex ministro Luciano Violante.

Che la Leonardo sarà una dei maggiori beneficiari di questa generalizzata corsa al riarmo è indubbio. Oggi ad esempio il Fatto Quotidiano pubblica un interessante articolo sulla fabbrica di Cameri (Novara), di proprietà dell’Aeronautica militare, ma gestita proprio dalla Leonardo, in cui verranno prodotti i cacciabombardieri F35 destinati non solo all’Italia ma al mercato europeo. Proprio in virtù di questo clima belligerante si stima che la fabbrica, che adesso occupa circa 1100 addetti, verrà fortemente ampliata con stime che parlano di un ritorno industriale di almeno 30 mld di euro. Si tratta ovviamente solo di un esempio, ma che da l’idea della grandezza degli interessi in campo. Alla luce di ciò, e riguardando la postura guerrafondaia del PD e dei media, viene il sospetto che più che la sorte degli ucraini a lorsignori interessino i profitti delle multinazionali del settore militare. Come ebbe a dire Andreotti con un battuta diventata famosa: a pensar male si fa peccato, ma il più delle volte ci si indovina.

Collettivo Militant

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