“Come Biden ha perso l’Arabia Saudita” titolava il Wall Street Journal del 18 marzo.
Un recente servizio del Wall Street Journal ha infatti lasciato trapelare che l’Arabia Saudita è in trattative con la Cina per valutare e ricevere pagamenti sulle vendite di petrolio in yuan invece che in dollari Usa.
Amin Nasser, il Ceo della Aramco, la compagna petrolifera saudita, ha dichiarato che queste sono speculazioni ma non ha voluto commentare le voci né le speculazioni. L’Arabia Saudita è uno dei pochi paesi al mondo ad avere un surplus commerciale con la Cina, pari a 24 miliardi di dollari.
L’agenzia economica Bloomberg riferisce che lo yuan cinese è salito mercoledì dopo che Dow Jones ha riferito che l’Arabia Saudita era in trattative con Pechino per prezzare alcune delle sue vendite di petrolio in quella valuta, invece del biglietto verde.
“In un momento in cui il mondo sembra dividersi in blocchi democratici e autoritari rivali, è inevitabile che le chiacchiere perenni sullo yuan che sfida lo status del dollaro come valuta di riserva del mondo siano ravvivate. Tali chiacchiere sono sempre state fantasiose, ma ora sono ancora più improbabili”, scrive la più importante agenzia stampa economica mondiale.
“Mettiamo da parte, per il momento, il fatto che non c’è nessun segno che lo yuan raggiunga lo status del franco svizzero come mezzo di scambio, per non parlare del potente biglietto verde. Il dollaro è stato usato per l’88% delle transazioni in valuta estera nel 2019, contro appena il 4,3% dello yuan” – scrive Bloomberg – “Lo yuan fa a pugni molto al di sotto del suo peso in termini di transazioni in valuta estera, e il dollaro fa a pugni sopra il suo peso”.
Eppure, qualcosa è certamente cambiato nelle ultime settimane, sottolinea Bloomberg. L’Arabia Saudita riceve dollari in cambio dei suoi barili di petrolio e prodotti raffinati, che vengono a loro volta scambiati con titoli denominati in dollari, come i titoli di stato statunitensi.
Il valore strategico a lungo termine di questo tipo di beni – specialmente per gli esportatori di petrolio che fanno la guerra ai paesi vicini – sembra molto più traballante da quando la Casa Bianca ha imposto sanzioni alla banca centrale russa il mese scorso.
Un governo cauto che non pensa di poter contare su relazioni amichevoli con Washington in perpetuo, potrebbe ritenere saggio diversificare le sue partecipazioni estere in una valuta meno sotto il tallone della Federal Reserve.
Ma l’onda lunga di due avvenimenti – la fuga di Usa e Nato dall’Afghanistan e l’attacco della Russia all’Ucraina – ha provocato profondi scrolloni al vecchio sistema delle relazioni internazionali fondato sulla centralità egemonica degli Usa. In tale contesto il Medio Oriente continua a riservare sorprese rilevanti sul piano del cambiamento nelle relazioni internazionali.
Se qualche settimana fa aveva suscitato scalpore il rifiuto dei principi ereditari di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Unite di rispondere ad una telefonata della Casa Bianca, e poi c’era stata l‘astensione degli EAU al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, sempre nell’area del Golfo si segnala una ulteriore novità.
Bashar al-Assad ha visitato gli Emirati Arabi Uniti venerdì per la sua prima visita in un paese arabo dall’inizio del conflitto nel suo paese, la Siria, nel 2011. Assad ha discusso con il principe ereditario Abu Dhabi Mohammed bin Zayed di “cooperazione e il coordinamento tra i due paesi fratelli” per “contribuire alla sicurezza, alla stabilità e alla pace nel mondo arabo e nel Medio Oriente”.
La Siria era stata esclusa dalla Lega Araba dalla fine del 2011. Dopo dieci anni di isolamento della Siria, i due capi di stato hanno discusso “la cooperazione e il coordinamento tra i due paesi fratelli” al fine di “contribuire alla sicurezza, alla stabilità e alla pace nel mondo arabo e nel Medio Oriente”, ha aggiunto l’agenzia ufficiale emiratina ripresa da France 24.
Ma alla fine del 2018, Abu Dhabi, che assume sempre più posizioni divergenti sulla scena diplomatica (vedi il voto dissonante al Consiglio di Sicurezza dell’Onu rispetto ai diktat Usa, ndr) aveva riaperto la propria ambasciata a Damasco, mentre la questione del ritorno della Siria nella Lega Araba continua a dividere.
Inoltre il ministro degli Esteri degli Emirati Arabi Uniti Sheikh Abdullah bin Zayed Al-Nahyane aveva già incontrato il presidente siriano a Damasco lo scorso novembre nella prima visita di un alto funzionario della monarchia del Golfo dall’inizio della guerra in Siria nel 2011.
Assad, ha completato la sua visita nei paesi del Golfo venerdì scorso, dopo aver incontrato anche Mohammed bin Rashid al-Maktoum, il sovrano di Dubai.
Infine occorre ricordare che un altro paese importante della regione, il Pakistan, il 6 marzo scorso aveva “mandato a bagno” i rappresentanti delle potenze occidentali sulle misure contro la Russia.
“Il Pakistan non è schiavo dei Paesi occidentali” aveva dichiarato il primo ministro, Imran Khan, rispondendo agli ambasciatori dei Paesi occidentali che gli chiedevano di condannare l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.
“Che cosa pensate di noi? Che siamo vostri schiavi e che faremo tutto quello che ci chiedete?”, ha affermato Khan nel corso di un comizio rivolgendosi direttamente ai diplomatici.
Il primo marzo scorso, infatti, i capi di 22 missioni diplomatiche a Islamabad, incluse quelle dell’Unione europea, avevano reso pubblica una lettera nella quale invitavano il Pakistan ad appoggiare la risoluzione di condanna dell’invasione russa all’Assemblea generale delle Nazioni Unite.
Il governo pachistano ha infatti ignorato l’appello di Usa ed Unione Europea e si è astenuto nella votazione sulla risoluzione che condannava l’invasione russa dell’Ucraina.
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