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22/03/2022

La “cancel culture” di regime (USA) ora va contro Marx


Il bello degli imbecilli è che vogliono sempre apparire fighi e trendy. E quale occasione è migliore di una guerra per improvvisare “alzate di ingegno” che normalmente verrebbero rubricate tra le cazzate senza senso?

In Italia ne abbiamo viste molte, e pensavano fossero quasi insuperabili, a partire dal “niet” opposto allo scrittore Paolo Nori, che doveva tenere un corso su Dostoevskij all’università Bicocca di Milano.

La cosa grave, secondo noi ma anche secondo molti docenti universitari, stava nel fatto che un’idiozia del genere fosse venuta in mente a “amministratori” dell’accademia, non a qualche oscuro consigliere comunale leghista o meloniano.

Mettere il divieto di insegnamento su uno scrittore, tra i più importanti degli ultimi secoli, solo perché di nazionalità russa, addirittura nonostante sia morto da oltre 140 anni (senza possibile responsabilità nelle vicende presenti), sembrava il massimo che si potesse fare, nella scala del ridicolo.

E invece si può fare di più, e sentendosi quasi eroi...

L’università della Florida (Usa, non proprio il tempio della cultura...) ha deciso che l’aula studio numero 229 non si chiamerà più “aula Karl Marx” e non avrà più l’effige del filosofo.

L’iniziativa avviene su segnalazione di un sito ultra-conservatore e trumpiano, CampusReform, che si autodefinisce si autodefinisce il “cane da guardia” conservatore di tutto ciò che accade di illiberale nei college statunitensi.

“Dati gli eventi attuali in Ucraina e in altre parti del mondo, abbiamo deciso che fosse appropriato rimuovere il nome di Karl Marx che era stato collocato in una stanza di studio di gruppo presso l’Università della Florida nel 2014”, ha spiegato Hessy Fernandez, direttore delle comunicazioni strategiche dell’ateneo.

In effetti, qui si supera di gran lunga anche i “pensatori” della Bicocca.

Come si sa, il buon Marx era tedesco, oltretutto di famiglia ebraica (ma convertita al cristianesimo), contemporaneo di Dostoevskij e sicuramente estraneo alle vicende attuali. In fondo la Russia di Putin nasce proprio dalla cancellazione del sistema sovietico, che in qualche modo – non sempre accettabile – manteneva un legame cultural-ideologico con l’opera di Marx.

Dunque, semmai gli “strateghi culturali” dell’università della Florida avessero voluto “fare un dispetto a Putin”, avrebbero dovuto intitolare altri spazi di studio al Moro di Treviri.

E invece, come a tutti gli ignoranti miserabili elevati in qualche posizione di potere grazie a una appartenenza politica (“raccomandazione” o “clientela”, diciamo in Italia), a questi geni deve essere sembrato che Putin – in quanto indubitabilmente russo – potesse essere considerato anche un “sovietico”, ossia un seguace di Marx.

A chiarir loro la differenza basterebbe la visione di un film decisamente ammericano: Danko, dove un Arnold Schwarzenegger in versione “poliziotto sovietico” spiega a Jim Belushi la differenza tra i due termini.

Ma forse si tratta di un livello teorico troppo alto, per certa gente...

La cancel culture è un’aberrazione anche in versione “progressista”, ma è nelle mani dei reazionari che si può misurare per intero la sua follia.

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