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21/03/2022

Il Sud “geografico” non sempre proietta una politica di solidarietà internazionale

Oggi una crescente disuguaglianza, insieme ad altri processi come la distruzione dell’ambiente, l’aumento dei livelli di povertà, la disoccupazione, la precarietà del lavoro e la crisi dei ceti politici tradizionali, tra gli altri, generano il “Sud” anche in quello che tradizionalmente consideriamo Nord, con un portato di movimenti di opposizione di sistema che si articolano con rivendicazioni e ideologie emerse fino ad oggi negli stessi paesi del Sud.

Le riflessioni più profonde, a livello organizzativo, della teoria delle relazioni iniziano con l’inizio dell’età moderna, cioè con la comparsa dello Stato e la strutturazione di un sistema di Stati europei. Ma quali sono i fattori che costituiscono concretamente queste relazioni internazionali? In primo luogo, si collocano in un contesto geografico, sociale ed economico ben definito.

Il concetto di società internazionale rappresenta la combinazione di società e stati che sono collegati tra loro e, quindi, agiscono come attori principali. Le prime società apparvero in Medio Oriente, prima di tutto nell’Egitto dei faraoni e in Mesopotamia, intorno all’anno 3000 o 2800 aC, per poi spostarsi in Estremo Oriente, nelle aree geografiche dell’attuale India e Cina.

La politica delle potenze occidentali, volta a creare poli di sviluppo capitalistico al di fuori dell’Occidente, ha dato i suoi frutti nel tempo, dando luogo al consolidamento delle élites di potere nei cosiddetti paesi sottosviluppati, che rispondono agli interessi delle politiche imperialiste.

D’altra parte, a livello internazionale, la forma di riproduzione predominante è quella del capitale e le relazioni che questa forma genera, quindi i rapporti di produzione alternativi che si svolgono possono occupare solo spazi limitati e far fronte a grandi ostilità, che limitano la sua capacità di essere implementato su larga scala e le sue reali possibilità di cambiare radicalmente le “regole del gioco”.

Una società rappresenta un insieme di elementi con un’organizzazione interna ben definita, cioè una struttura che differisce da altri elementi di altri sistemi, di cui il sistema internazionale è costituito da un insieme di Stati interconnessi con le seguenti caratteristiche.

Il colonialismo trova il suo posto non solo nelle teorie di Marx, ma anche nelle teorie del capitalismo di Smith. Verranno mostrate le elaborazioni di Smith della teoria del valore, il lavoro che gli ha permesso di intendere l’accumulazione come un processo globale, assumendo colonialismo e imperialismo come costitutivi.

Questa teoria fornì così la base per concettualizzare l’interconnessione storica, contraddicendo i presupposti della teoria della proprietà che Smith stesso sviluppò e che era strettamente legata alla dottrina del libero scambio di Smith e agli interessi della borghesia britannica all’alba della Rivoluzione Industriale.

Ma fu la Rivoluzione Taiping (1850-1864) a rappresentare una vera svolta nel pensiero di Marx; sebbene molto meno controverso dei suoi articoli problematici sull’India, nei suoi scritti sulla Cina difese per la prima volta le lotte popolari in Asia contro il dominio coloniale.

L’“apprendistato dal sud” di Marx – nelle parole di Santos – lo ha portato a rompere radicalmente con le concezioni borghesi del capitalismo e della storia mondiale. La sua critica al capitale come sistema imperialista si basa fondamentalmente su questo riconoscimento dell’interconnessione dei diversi modi di trasformazione sociale.

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