Lo stato dei negoziati a Istanbul
Kiev sarebbe pronta ad accettare lo status di Paese neutrale e chiede che ci siano “Stati garanti”, in primis la Turchia. Sul futuro della Crimea, invece, si deciderà entro 15 anni. Questi sono i primi spiragli che emergono dopo gli ultimi tavoli di confronto tra le parti. Mosca per ora si mostra cauta parlando di “Strada ancora lunga”. L’esito dei colloqui di pace fra Ucraina e Russia avvenuti ieri a Istanbul non segna però la fine del conflitto. Quanto accaduto sembrerebbe mostrare, tuttavia, che le parti hanno continuato a parlarsi, anche non ufficialmente o sotto i riflettori, con l’intento di presentarsi all’appuntamento in Turchia con dei risultati, seppure parziali.
La delegazione ucraina ha proposto una lista di otto potenze garanti – fra cui anche l’Italia – che dovranno monitorare le attività militari della Russia, oltre a un processo “separato” per la penisola di Crimea: si tratterebbe di negoziati a parte, di una durata di massimo 15 anni, e che dovrebbero prevedere una “tabella di marcia” in cui includere anche un nuovo referendum che, rispetto a quello del 2014, sarebbe ufficialmente riconosciuto dalle autorità di Kiev. Le aperture di Mosca sull’adesione dell’Ucraina all’Ue – non nuove, visto che lo stesso Putin ha spesso affermato che la Russia non avrebbe nulla in contrario – e la posizione ribadita da Kiev sulla neutralità militare hanno sbloccato un meccanismo che si era inceppato nella prima fase a causa, ovviamente, della scarsa fiducia fra le parti.
A remare contro, oltre Zelenski, è il governo Usa, il quale si mostra scettico sugli impegni assunti dopo i colloqui in Turchia. “Dovremmo avere una visione lucida di ciò che sta accadendo sul terreno e nessuno dovrebbe lasciarsi ingannare dagli annunci della Russia”, ha detto il direttore delle comunicazioni della Casa Bianca, Kate Bedingfield.
La Repubblica Popolare di Donetsk prenderà in considerazione la questione dell’adesione alla Federazione Russa dopo la completa liberazione del suo territorio, ha detto il leader della repubblica Denis Pushilin ieri in una conferenza stampa. ”Per quanto riguarda l’adesione alla Federazione Russa, questo desiderio e questa spinta, sono stati evidenti sin dal 2014" ha detto Pushilin. “Tuttavia, il compito principale oggi è quello di riconquistare i confini costituzionali della Repubblica. Poi decideremo”.
La Russia ha riconosciuto l’indipendenza delle repubbliche del Donbass il 21 febbraio. L’attacco all’Ucraina è iniziato tre giorni dopo. Le forze armate delle Repubbliche hanno lanciato l’offensiva dai loro territori fino ai confini costituzionali della regione, cioè gli ex confini amministrativi delle regioni di Donetsk e Lugansk dal 2014.
Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov intanto è in Cina. Si tratta della prima missione da parte del capo della diplomazia russa in Cina da quando è cominciata l’invasione dell’Ucraina.
Corridoi umanitari
Tre corridoi umanitari saranno aperti in Ucraina oggi ha annunciato la vice premier ucraina Iryna Vereshchuk. “Tre corridoi umanitari sono stati approvati: quelli per l’evacuazione dei residenti di Mariupol e la consegna di aiuti umanitari a Berdyansk; la consegna di aiuti umanitari e l’evacuazione da Melitopol, e un convoglio di veicoli personali per lasciare Enerhodar per Zaporizhzhya”. Gli autobus per l’evacuazione e i camion che trasportano aiuti umanitari sono partiti da Zaporizhzhya, ha aggiunto, mentre i veicoli personali possono unirsi ai convogli umanitari sulla via del ritorno da Berdyansk e Melitopol.
Fronte militare
Nella notte si segnalano scontri nella periferia nord occidentale di Kiev, mentre i servizi di intelligence occidentali si alambiccano sul parziale ritiro delle forze armate russe dalla capitale ucraina. Secondo alcuni osservatori il ritiro da Kiev sembra propedeutico ad un altro obiettivo prioritario delle forze armate di Mosca: rientrare in Russia e Bielorussia per riorganizzarsi e rifornire le truppe e, successivamente, concentrare gli sforzi sulle regioni orientali di Donetsk e Luhansk. Proprio in quest’ultima regione si segnala questa mattina un bombardamento sulle le città di Lysychansk, Kreminna, oltre che Popasna, Severodonetsk e Rubizhne.
I raid russi hanno distrutto due grandi depositi di armi missilistiche e di artiglieria delle forze armate ucraine nel villaggio di Kamianka, nella regione di Donetsk. Risultano distrutti due grandi depositi di carburante nelle zone di Starokonstantinov e Khmelnytskyy, da cui veniva fornito il carburante per i veicoli corazzati delle forze ucraine nel Donbass.
Nella notte, ci sono stati raid aerei praticamente in tutta l’Ucraina e ci sono stati bombardamenti a Chernikiv e nella regione di Khmelnytsky: lo ha reso noto un consigliere del ministero dell’Interno ucraino, Vadim Denisenko. Denisenko ha detto che quasi tutta la notte nella regione di Kiev sul territorio vicino a Irpen ci sono state operazioni militari. “Pertanto, per il momento, non è possibile dire che i russi stanno riducendo l’intensità delle ostilità nelle direzioni di Kiev e Chernikiv”.
Anche la città di Chernihiv, nel Nord dell’Ucraina, è stata sottoposta “tutta la notte” a bombardamenti russi ha denunciato su Telegram il governatore della regione, Viatcheslav Tchaous.
Russia risponde alle sanzioni chiedendo il pagamento in rubli
In Russia, il presidente della Duma di Stato, Vyacheslav Volodin, ha proposto di ampliare l’elenco delle merci esportate in rubli, ovvero grano, petrolio e legname, tutto da pagare con la valuta russa.
“Sarebbe giusto, laddove vantaggioso per il nostro Paese, ampliare l’elenco delle merci esportate in rubli: fertilizzanti, grano, petrolio, petrolio, carbone, metalli, legname”.
E poi più in generale ha aggiunto: “I Paesi europei hanno tutte le possibilità di mercato per pagare in rubli. Non è una tragedia. La situazione è molto peggiore quando ci sono i soldi, ma non le merci. Gli europei dovrebbero smettere di parlare e cercare scuse per non pagare in rubli. Se vuoi il gas, cerca i rubli” ha scritto nel suo canale Telegram.
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