Nelle comunicazioni di Draghi di mercoledì al Parlamento, alla vigilia del Consiglio europeo, c’è stato un passaggio che forse è sfuggito a molti e che invece merita di essere sottolineato e destare le dovute preoccupazioni, anche perché potrebbe allargare il fronte della contrapposizione tra Nato e Russia ai Balcani, cioè alle porte di casa.
“Dobbiamo seguire con attenzione quanto accade nei Balcani occidentali, per prevenire possibili azioni destabilizzatrici di Mosca. Nel Consiglio discuteremo della prolungata crisi politica in Bosnia-Erzegovina” ha annunciato Draghi nelle comunicazioni in Aula in vista del Consiglio Ue.
“Siamo impegnati per disinnescare le provocazioni secessioniste della Republika Srpska e per far rientrare la crisi politica e istituzionale che paralizza il Paese dallo scorso luglio. È fondamentale che la Bosnia-Erzegovina riprenda la strada delle riforme per avvicinarsi all’Unione europea. Il nostro obiettivo è assicurare l’organizzazione delle elezioni politiche in autunno, per evitare ulteriore incertezza nel Paese”, ha sottolineato Draghi. Un pessimo auspicio.
Peter Stano, portavoce dell’Alto rappresentante della Ue, Josep Borrell, rispondendo a una domanda sulla possibilità che l’Ue imponga delle sanzioni contro il leader serbo-bosniaco, Milorad Dodik aveva dichiarato pochi giorni fa che: “La situazione in Bosnia-Erzegovina è fonte di preoccupazione per l’Ue, siamo stati chiari al riguardo in varie occasioni, l’ultima delle quali al Consiglio Esteri a gennaio quando è stato ribadito che Bruxelles è pronta a impiegare tutti gli strumenti a disposizione, incluse le sanzioni. Così, sulla scorta di quanto deciso da Washington nei mesi scorsi e dell’allarme lanciato dallo stesso Borrell sul rischio di un’escalation di tensioni nel Paese come conseguenza dell’invasione russa in Ucraina”.
Ma il linguaggio usato, gli strumenti (le sanzioni) e le scelte militari adottate sulla Bosnia, sono tutt’altro che rassicuranti.
“In questa fase l’Ue è stata chiara ed esplicita nel chiedere a tutti gli attori in Bosnia-Erzegovina di mettere fine alla crisi politica” e nel “condannare tutti i passi secessionisti unilaterali che stanno mettendo in discussione l’unità, la sovranità e l’integrità territoriale” del Paese balcanico, ha detto il portavoce della politica estera e di sicurezza europea.
Va ricordato che il Consiglio di Sicurezza dell’Onu mercoledì 3 novembre – dopo un duro scontro – ha votato all’unanimità di rinnovare di un anno il mandato della missione militare in Bosnia ed Erzegovina, nonostante l’opposizione di Mosca. È stata infatti rafforzata l’operazione militare Eufor Althea in Bosnia-Erzegovina con l’invio di altri 500 soldati nel Paese, mentre la Francia ha iniziato ad effettuare voli di addestramento sul Paese.
A novembre L’Alto rappresentante internazionale, il tedesco Christian Schmidt, nel suo ultimo rapporto all’Onu avvertiva di un rischio di destabilizzazione e secessione del Paese balcanico. Secondo diverse fonti ufficiose, la Russia ha bloccato la partecipazione di Schmidt alla sessione del Consiglio di sicurezza dell’Onu, minacciando di porre il veto anche all’estensione della missione militare europea Eufor in Bosnia-Erzegovina, cosa invece avvenuta con l’invio di altri 500 militari europei.
Nel testo del rapporto Schmidt, parzialmente trapelato in vari media bosniaci, l’ex ministro dell’agricoltura tedesco, sottolineava che la Bosnia-Erzegovina deve affrontare “la più grande minaccia esistenziale del dopoguerra”. L’esperto richiama l’attenzione sul rischio reale che il leader politico serbo-bosniaco Milorad Dodik ritiri le truppe serbe dall’esercito “confederale” bosniaco per formare il proprio.
Secondo il famigerato accordo di Dayton del 1995 che, che pose fine a tre anni e mezzo di guerra civile tra bosniaci musulmani, serbi e croati, la Bosnia-Erzegovina è uno Stato composto da due entità autonome: quella serba e quella comune di musulmani e croati, con istituzioni di potere centrale.
Milorad Dodik,il membro serbo della dirigenza collegiale bosniaca, ha annunciato in diverse occasioni di voler recuperare alcuni poteri autonomi per l’entità serbo-bosniaca divenuti centrali, come le sue stesse truppe o la magistratura con la motivazione che si tratta di un ritorno all’originale accordo di Dayton. Dodik – bollato come filo-russo – nega che la sua intenzione sia quella di provocare conflitti, ma solo di riconquistare i poteri che l’entità serba ha perso a causa di decisioni imposte da Alti rappresentanti internazionali sbilanciate a favore dei musulmani bosniaci.
A partire da gennaio gli Stati Uniti hanno immediatamente imposto sanzioni a Dodik. “Le azioni di Dodik minacciano la stabilità, la sovranità e l’integrità territoriale della Bosnia e minano gli accordi di pace di Dayton, rischiando così una più ampia instabilità regionale”.
E così piano piano potremmo ritrovarci una nuova piccola Ucraina in guerra, ma stavolta molto più vicino ai nostri confini. Ma soprattutto in presenza di un clima bellicista nell’Unione Europea in cui sono ormai molti quelli che vorrebbero le capacità operative del futuro esercito europeo sul campo. Quale occasione migliore, di nuovo, nei martoriati Balcani considerati come “il cortile di casa”?
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