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29/03/2022

L’ironia delle sanzioni contro la Russia

Le giocolerie che l’imperialismo statunitense deve fare per mantenere la propria egemonia diventano ogni giorno più bizzarre. In primo luogo, ha continuato a provocare la Russia (“provocare l’orso”) “per conto dell’alleanza occidentale” espandendo la NATO fino alle sue frontiere, sapendo bene che l’adesione dell’Ucraina alla NATO sarebbe stata totalmente inaccettabile per la Russia.

Il suo obiettivo era quello di impedire l’avvicinamento tra la Russia e l’Europa occidentale, che sarebbe avvenuto a causa della dipendenza di quest’ultima dalla prima per l’energia; si dice addirittura che per mantenere le ostilità tra Russia e Ucraina, abbia sabotato un accordo tra i due, a cui avevano assistito Francia e Germania.

Quando questo scontro ha portato la Russia ad invadere l’Ucraina, ha imposto sanzioni economiche alla Russia, in modo che la Russia non potesse avere accesso ai propri guadagni in dollari ottenuti dalle esportazioni.

Ma non ha imposto sanzioni sull’importazione di petrolio e gas russo (tranne che negli stessi Stati Uniti, dove tale importazione soddisfa circa l’8% del fabbisogno energetico totale); la ragione è che ben il 40% del fabbisogno energetico dell’Unione Europea è soddisfatto dalle importazioni dalla Russia, e le sanzioni contro il petrolio russo avrebbero colpito duramente la popolazione europea, portando ad una possibile rottura dell’“alleanza occidentale”.

Ma il fatto di non imporre sanzioni sull’importazione di petrolio, di cui la Russia è un grande produttore ed esportatore – per circa 5 milioni di barili al giorno – ha l’effetto di rendere queste sanzioni un po’ inefficaci. Dopotutto, che senso ha imporre sanzioni con l’obiettivo di mettere in ginocchio un paese se la sua più importante voce di esportazione non è coperta dalle sanzioni?

Così ora gli Stati Uniti stanno cercando di convincere gli altri produttori di petrolio ad aumentare la loro produzione e le loro esportazioni, in modo da creare una situazione in cui il mondo possa fare a meno del greggio russo. Sta facendo pressione sull’Arabia Saudita per aumentare la sua produzione; inoltre sta parlando anche con l’Iran e il Venezuela, per vendere più petrolio sul mercato internazionale in modo che il mondo non senta la mancanza del petrolio russo.

L’Iran e il Venezuela erano però due paesi contro i quali gli Stati Uniti avevano imposto, e lo fanno ancora oggi, severe sanzioni che hanno paralizzato le loro economie, negato loro medicinali essenziali, causando la morte di migliaia di persone, tra cui bambini. In effetti il suo “regime di sanzioni” è stato sperimentato prima contro questi due paesi e poi contro la Russia.

Ma tale è l’ironia della situazione che ora gli Stati Uniti si stanno avvicinando con rami d’ulivo proprio a questi paesi per indurli a produrre ed esportare di più, in modo che il più grande nemico del momento, la Russia, sia adeguatamente umiliato.

L’ostilità americana verso il regime bolivariano del Venezuela è stata così grande che fino ad oggi ha cercato di rovesciare questo regime promuovendo un oscuro pretendente, Juan Guaidò, al posto del presidente eletto, Nicolas Maduro. Gli Stati Uniti e i loro partner dell’alleanza non solo hanno riconosciuto Guaidò come presidente del Venezuela, ma hanno anche fatto pressione su tutti gli altri paesi perché seguissero il proprio esempio.

Eppure, quando si è trattato di negoziare la produzione di petrolio, non sono andati dal loro protetto Guaidò, il cui mandato non va da nessuna parte; sono andati invece dove sanno che il potere si trova veramente in Venezuela, cioè dal governo Maduro. E il governo ha giustamente posto una condizione all’amministrazione statunitense: deve riconoscere il governo Maduro se vuole ottenere il petrolio dal Venezuela.

L’imperialismo si trova così a fare i conti con il suo stesso petardo; uscire da questa situazione non sarà facile.

Contro l’Iran, naturalmente, le sanzioni sono state imposte, con intensità variabile, da molto tempo. Sono state imposte per la prima volta nel 1979 a causa della crisi degli ostaggi; nel 1981, quando gli ostaggi sono stati liberati, queste sanzioni sono state revocate, ma sono state reimposte dagli Stati Uniti nel 1984 e rafforzate nel 1987 e nel 1995.

Le Nazioni Unite hanno imposto sanzioni contro l’Iran nel 2006 a causa del programma nucleare del paese, ma queste sono state revocate nel 2016 quando è stato negoziato l’accordo sul nucleare iraniano. Nel 2019 però gli Stati Uniti sotto Donald Trump si sono ritirati unilateralmente dall’accordo nucleare e hanno reimposto le sanzioni contro l’Iran.

Joe Biden, dopo essere diventato presidente, aveva annunciato nel febbraio 2021 che le sanzioni contro l’Iran sarebbero continuate sotto la sua presidenza; è particolarmente ironico in questo contesto che la stessa amministrazione Biden stia ora dialogando con l’Iran come mezzo per isolare la Russia.

Sia il Venezuela che l’Iran hanno sofferto delle sanzioni a causa delle minori esportazioni di petrolio. L’Iran per un certo periodo ha mantenuto la sua produzione di petrolio e ha immagazzinato all’interno del paese il petrolio che non poteva esportare, poiché riaprire i pozzi di petrolio se vengono chiusi a causa dei tagli alla produzione, è difficile e costoso; ma ultimamente sembra che anche la sua produzione di petrolio sia scesa, come quella del Venezuela.

Anche se l’Iran e il Venezuela accettano di aumentare le loro esportazioni di petrolio in risposta alle richieste degli Stati Uniti, rimarranno due problemi quando si tratterà di sostituire la Russia come fornitore di petrolio.

In primo luogo, la quantità di petrolio che questi paesi possono esportare non sarà ancora abbastanza grande per sostituire le esportazioni russe. La produzione di petrolio dell’Iran si è quasi dimezzata dal livello pre-sanzioni di circa 4 milioni di barili al giorno e la produzione del Venezuela è scesa a solo circa 1 milione di barili al giorno da un picco di 4 milioni prima delle sanzioni, che sono state esse stesse responsabili della perdita di produzione in tale paese.

La ripresa della produzione da livelli così ridotti in questi due paesi non sarà facile e non sarà sufficiente a sostituire le esportazioni di petrolio russo di circa 5 milioni di barili al giorno. In secondo luogo, e più importante, il prezzo al quale il petrolio russo viene venduto è di 25-30 dollari al barile più basso di qualsiasi petrolio sostitutivo che potrebbe diventare disponibile sul mercato mondiale.

Quindi, anche se il petrolio aggiuntivo per sostituire le esportazioni russe diventa fisicamente disponibile, sarà molto più costoso, ed è per questo che i paesi, soprattutto nell’Unione Europea, saranno molto riluttanti ad abbandonare il petrolio russo.

Il prezzo più basso del petrolio russo ha portato anche l’India ad aumentare le sue importazioni di greggio da questo paese. Sembra che negli ultimi giorni le importazioni giornaliere di petrolio dell’India dalla Russia siano quadruplicate a circa 360.000 barili al giorno. Importare petrolio dalla Russia anche su questa scala significherebbe quindi una “bolletta” d’importazione più bassa di almeno 200 milioni di dollari al mese.

Per qualsiasi paese non usare una tale opportunità per tagliare la bolletta delle importazioni sarà semplicemente stupido. E gli Stati Uniti, anche se convincono alcuni paesi produttori di petrolio ad aumentare la produzione e le esportazioni di petrolio per sostituire le esportazioni russe, difficilmente possono andare in giro a sovvenzionare i prezzi mondiali del petrolio per renderli competitivi con quelli russi.

Se persiste nel suo sforzo di sostituire le esportazioni di petrolio russo, gli USA dovranno poi costringere i paesi a pagare di più per la loro bolletta di importazione di greggio; il che, nel caso di grandi potenze come la Germania e la Francia, sarà quasi impossibile; anche altri resisteranno a tale coercizione.

Ci sono già voci nell’UE che vogliono una fine della guerra attraverso negoziati piuttosto che un suo prolungamento armando l’Ucraina, come vorrebbero gli USA.

In un significativo episodio recente, i lavoratori italiani all’aeroporto di Pisa si sono rifiutati di caricare un carico destinato all’Ucraina come “aiuto umanitario”, quando hanno scoperto che conteneva armi di vario tipo fornite surrettiziamente come “aiuto”. Questo caso di intervento dei lavoratori in un grande paese dell’Unione Europea può trovare un’eco in altri paesi se la guerra si prolunga.

Siamo molto lontani dai vecchi tempi coloniali, quando i governanti coloniali prendevano decisioni che non venivano mai spiegate, estraevano dal popolo prezzi che non venivano nemmeno capiti, e imponevano i loro diktat al popolo che non venivano mai messi immediatamente in discussione.

Gli Stati Uniti oggi non hanno l’egemonia assoluta che avevano le potenze coloniali. I loro sforzi disperati per mantenere l’egemonia di cui dispongono, fallirebbero proprio perché questa egemonia non è né assoluta né indiscussa.

Ciò a cui stiamo assistendo oggi è un processo di graduale declino dell’egemonia dell’imperialismo statunitense nel mondo in generale.

di Prabhat Patnaik, economista marxista indiano e commentatore politico; tra i suoi libri segnaliamo: “Accumulation and Stability Under Capitalism” (1997), “The Value of Money” (2008), e “A Theory of Imperialism” (2016). Traduzione dell’articolo pubblicato su “People’s Democracy”, giornale settimanale del Partito Comunista d’India (Marxista).

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