Tutti i giorni, sui grandi mezzi di comunicazione, ci stanno ripetendo ossessivamente la stessa identica cosa: difendere l’Ucraina vuol dire difendere i “nostri valori”, in primis, la democrazia.
Eppure sono tantissimi i casi, nel nostro paese, in cui la volontà popolare è stata tradita dalle decisioni dei governi sia di centrodestra che di centrosinistra (un esempio per tutti: il referendum sull’acqua pubblica).
Ma quando c’è di mezzo la guerra e la spesa militare, il misconoscimento della volontà popolare è avvenuto e continua ancora ad avvenire alla velocità della luce.
Il 15 febbraio 2003 tre milioni di manifestanti invasero le strade del centro di Roma con le bandiere arcobaleno della pace, in una grande manifestazione accompagnata da musica per dire no alla guerra all’Iraq “senza se e senza ma”. Risultato? Il governo Berlusconi che contava su una folta maggioranza decise di inviare una Missione in Iraq dal luglio 2003.
Al Senato DS, Margherita, Sdi e Udeur si astennero e votarono contro soltanto i 17 deputati dei Verdi, del Prc e del Pdci. Dopo il voto di palazzo Madama nello stesso giorno il provvedimento passò alla Camera con 308 voti a favore, 31 contrari e 159 astenuti. DS, compresa la minoranza del Correntone, Margherita, Sdi e Udeur non partecipano al voto per marcare la loro astensione sul documento presentato dalla CdL ma anche dalla mozione contraria presentata da Prc, Pdci e Verdi.
La guerra (la seconda guerra del Golfo) iniziò il il 20 marzo 2003 con l’invasione dell’Iraq da parte di una coalizione multinazionale guidata dagli Stati Uniti d’America e terminò il 18 dicembre 2011 col passaggio definitivo di tutti i poteri alle autorità irachene insediate dall’esercito americano su delega governativa statunitense.
Le perdite fra la popolazione irachena causate della guerra, tra marzo 2003 ed agosto 2007, secondo l’Opinion Research Survey, furono 1.221.000. Nonostante la più grande manifestazione contro la guerra di tutti i tempi le camere avevano votato a maggioranza la partecipazione a quella carneficina.
Nella prima guerra del Golfo del 1991 (l’operazione “Desert storm”) le vittime di quei 40 giorni in cui caddero più bombe sull’Iraq che in tutta la Seconda Guerra Mondiale (90.000 tonnellate) furono almeno 200mila ma le conseguenze di lungo periodo ne avrebbero colpite molte di più.
Si stima che almeno 500.000 bambini abbiano perso la vita in seguito ai bombardamenti ma anche per le malattie causate dall’utilizzo di armi chimiche ed a causa delle durissime sanzioni economiche. Allora era al governo una coalizione politica DC – PSI – PSDI – PRI – PLI guidata da Giulio Andreotti (il suo sesto governo).
La già morente “sinistra”, anche in quella circostanza, non fece di certo le barricate. Se la posizione dei piccoli ma battaglieri gruppi politici di opposizione fu quella di coerente rifiuto della guerra e di richiamo agli ideali del pacifismo, diversa fu invece la linea di condotta scelta dal PCI, che destava la maggiore attenzione degli osservatori e dell’opinione pubblica in generale, per i riflessi immediati sull’imminente XX Congresso del Partito (che si tenne a Rimini dal 29 gennaio al 2 febbraio 1991).
Durante le operazioni di voto in Parlamento, per l’invio del contingente militare nel Golfo, i gruppi del PCI si divisero sull’atteggiamento da tenere, decidendo infine di astenersi dal voto, comportamento che equivalse ad un sostanziale allineamento con la posizione del Governo. Soltanto Pietro Ingrao ed i parlamentari del fronte minoritario si dissociarono.
Ieri su La7 un sondaggio ha rivelato che il 69% degli italiani “vuole una soluzione negoziata con la Russia” che non può che interpretarli come una volontà che l’Italia si adoperi attivamente per una soluzione di pace, invece di inviare armi. Un sondaggio precedente aveva segnalato che il 55% non vuole la guerra.
Tuttavia, sette giorni fa, le Camere, anche stavolta, totalmente incuranti dell’opinione e della volontà del “popolo” di cui i politicanti di professione si riempiono continuamente la bocca, hanno votato l’aumento delle spese militari al 2% del PIL, aggiungendo altri 13 miliardi ai 25,6 già stanziati per il 2022.
Risorse che, per effetto della legge costituzionale 1/2012 approvata dal Parlamento italiano nel 2012, che ha inserito nella Costituzione il principio del pareggio di bilancio, saranno sottratte a sanità, scuola, servizi, salari e pensioni.
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