Circola un numero talmente spropositato di menzogne, sulla guerra in Ucraina, che pare di assistere a un contagio virale. I ragionamenti freddi (o realisti) vengono sistematicamente inondati da passioni bellicose e molto calde.
L’onda travolge le ricostruzioni del conflitto, e anche i fatti elencati dagli esperti militari.
Perché ripercorrere la storia dei rapporti russo-ucraini, o ricordare le tante guerre Nato, quando il dualismo teologico-politico è così favolosamente chiaro: lì il Male, qui il Bene – lì Satana, qui arcangeli in tute mimetiche – lì il “dittatore sanguinario” e “criminale guerra” (epiteti escogitati da Biden), qui i combattenti della civiltà.
In genere si replica che in guerra è sempre così: propaganda e controverità imperversano in tutti i campi – si ripete – e già è una prima menzogna perché gli italiani e l’UE non sono in guerra, non vogliono andarci e potrebbero dunque concedersi il lusso di analisi più vicine alla realtà, meno interessate al proselitismo bellico, tendenti più all’asciutto che all’umido.
Gli Stati Uniti invece vogliono che la guerra continui, anche se per procura. D’altronde è questo lo scopo di Biden: “Far sì che l’America, ancora una volta, guidi il mondo” (4-2-21).
Ne consegue che gli interessi europei e americani divergono, coincidendo solo nella retorica.
Per l’Europa e l’Italia il proseguimento bellico è una sciagura, sia che Putin perda sia che vinca.
Avranno un caos che durerà decenni ai confini orientali.
E se l’Ucraina entra nell’Unione gli equilibri si sbilanceranno a Est ancor più di quanto già lo siano, da quando l’UE ha incorporato Paesi più interessati alla Nato che all’Europa (soprattutto Polonia e Baltici).
L’egemonia nell’Unione sarà esercitata dall’Est, con Berlino che fungerà da arbitro avendo deciso di ergersi a potenza militare di primissimo piano. Parigi per ora si limita a commentare.
Il Sud è muto. Solo i produttori di armi guadagneranno.
Di qui la menzogna più vistosa: ovunque vengono aumentate a dismisura le spese militari, si intensifica il riarmo dell’Ucraina (Biden promette 1 miliardo di dollari), e l’Unione europea si trasforma in patto bellico, proclamando però che mai invierà soldati e mai chiuderà i cieli agli aerei (no-fly zone), affinché non scoppi l’Armageddon nucleare.
Dai nostri paesi non partono soldati ma mercenari e contractor sì, molti: almeno 20.000 occidentali di cui 4.000 nordamericani, secondo fonti ucraine.
Un guazzabuglio di guerra-non guerra insomma, che resuscita la Nato e abbassa l’Europa potenza pacifica.
Il contagio genera altre controverità, come fossero varianti virali. Tra le più fuorvianti: la supposta condanna del Cremlino espressa “quasi all’unanimità” dall’assemblea Onu, il 2 marzo, e l’esistenza di una “comunità internazionale compatta” nel penalizzare Putin.
Più che una menzogna è un’impostura.
Dalla “quasi unanimità” vengono esclusi Cina, India, Iran, Pakistan, parte dell’America Latina, parecchi paesi arabi, che si sono astenuti.
Si tratta di più di 3 miliardi di persone, quasi la metà della popolazione terrestre. Segno che la “comunità internazionale” e l’“ordine mondiale” minacciato da Mosca sono pure invenzioni.
Quel che esiste è un disordine globale che il potere unipolare statunitense ha propagato aprendo più scenari di guerra (Afghanistan, Libia, Siria, Somalia, ecc.) e spostando la Nato fino alle porte della Russia, per volontà dei Presidenti Usa a partire da Clinton.
Quel che esiste è la volontà statunitense di perpetuare l’ordine unipolare creatosi dopo la fine della guerra fredda, fallito miseramente in Iraq e Afghanistan. Un ordine che Biden vorrebbe resuscitare usando l’Ucraina, per meglio sfidare Russia e poi Cina.
All’Europa converrebbe aprire con la Russia una trattativa che preveda la fine delle guerre in Ucraina e la costruzione nel medio termine di un sistema comune di sicurezza, indipendente dalla Nato e dalle strategie Usa.
Dire che “Putin non vuole la pace”, come annunciato da Draghi, senza offrire la fine delle sanzioni in cambio della cessazione delle ostilità, rispecchia la teologia politica della Nato, non i nostri interessi.
Ormai dovrebbe essere chiaro che l’identificazione dell’UE con l’Alleanza atlantica e con le aspirazioni unipolari statunitensi produce guerre e caos ovunque. La terra è abitata da una moltitudine di potenze e paesi con aspirazioni e visioni contrastanti, che devono imparare a coesistere senza scannarsi e concentrandosi sul punto essenziale che è la sopravvivenza del pianeta.
L’ordine futuro non potrà che essere multipolare: qualcosa di ben più complesso del multilateralismo praticato da Stati che già possiedono comuni obiettivi.
La genealogia della guerra ucraina non è ignota. Comincia quando la Nato promette di accogliere Kiev, nel 2008 a Bucarest; continua con la destituzione nel 2014 del Presidente Janukovyc, colpevole di aver ribadito la neutralità scelta dopo la fine dell’Urss; prosegue nel 2019 con l’adesione della Nato iscritta nella Costituzione.
Sempre nel 2014 scoppia la guerra nel Donbass, e il neonazista battaglione Azov viene inserito nell’esercito regolare ucraino. Gli accordi di Minsk-2 chiedevano che venissero concesse vere autonomie al Donbass, anche linguistiche, ma Kiev si opponeva.
A questi eventi si aggiungano le manovre Nato sul territorio ucraino. Nel centro di addestramento di Yavoriv, ai confini della Polonia presso Leopoli, la Nato addestra da anni l’esercito ucraino, fornisce armi e know how.
È partita da qui l’ultima esercitazione – la più intensa – nel settembre 2021 (“Rapid Trident”). Hanno partecipato 15 paesi tra cui l’Italia. Nel giugno-luglio 2021 si era svolta un’esercitazione nel Mar Nero guidata da USA e Ucraina, di fronte alla Crimea (nome in codice ”Brezza di Mare”).
Con questo non neghiamo che Mosca sia l’aggressore. Non supponiamo nemmeno che Putin faccia i propri interessi.
Per ora è riuscito a resuscitare la Nato, a incollare UE e amministrazione Usa, a spostare a Est il baricentro dell’Unione, a creare nel centro Europa una potenza tedesca super-armata, più legata di prima al fronte Est.
E come potrà nascere un’Ucraina pacifica, dopo simile guerra?
Come finanziare la ricostruzione delle sue città, della sua economia, dello stesso Donbass, dopo tanta devastazione?
Come evitare una dipendenza da Pechino che rischia di seppellire l’idea russa di un’alleanza tra pari?
Sono domande cui Putin e i suoi successori faticheranno a rispondere, quali che siano le genealogie della guerra in corso.
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