Da qualche settimana, governanti e rappresentanti delle istituzioni europee si divertono a raccontare favole sul gas. Dicono che stiamo lavorando per ridurre la dipendenza da quello russo, abbassando i consumi e trovando nuove forme di approvvigionamento. Peccato che nessuno abbia il coraggio di citare i veri numeri, né di raccontare la storia fino in fondo.
Secondo alcune anime candide, ad esempio, dovremmo addirittura essere grati agli Stati Uniti perché ci hanno assicurato che aumenteranno l’esportazione di gas liquefatto in Europa. Non è chiaro, esattamente, di cosa dovremmo essere grati. Le decisioni prese sul gas, semmai, sono l’esempio perfetto di come la crisi russa sia pilotata dalla spregiudicatezza affaristica di Washington, che i Paesi europei si limitano a subire passivamente, dediti all’obbedienza e all’autoflagellazione.
A ben vedere, infatti, quello che è accaduto si colloca agli antipodi rispetto a un atto di generosità. Gli Stati Uniti hanno imposto all’Unione europea una serie di sanzioni contro la Russia che danneggeranno senz’altro Mosca, ma faranno molto più male al Vecchio Continente e – al contempo – si riveleranno un grande affare per Washington.
La settimana scorsa abbiamo appreso che gli Usa aumenteranno l’export di gas verso l’Europa di circa 15 miliardi di metri cubi l’anno. Di certo non sarà un regalo, né una transazione a prezzo calmierato. Al contrario: il gas in arrivo dagli Stati Uniti è particolarmente caro (in media costa il 20% in più di quello russo), perché necessita di un trasporto transatlantico; non solo: è anche difficile da utilizzare, perché arriva qui in forma liquida e in Europa scarseggiano i rigassificatori, ossia le strutture necessarie a riportare il Gnl allo stato gassoso.
Inoltre, la quantità aggiuntiva garantita dagli Stati Uniti è a dir poco ridicola: basti pensare che il consumo di gas in Europa arriva a 430 miliardi di metri cubi l’anno, di cui ben 76 assorbiti dall’Italia. Fino a ieri l’altro, la Russia garantiva ben 150 miliardi, ovvero il decuplo dei 15 in più assicurati dal magnanimo Biden.
Sebbene i numeri parlino da soli, si possono prevedere almeno un paio di obiezioni da parte degli atlantisti fondamentalisti. La prima, piuttosto elementare, recita più o meno così: “ma davvero credi che gli Stati Uniti abbiano imposto le sanzioni alla Russia solo per vendere più gas all’Europa?”. La risposta è facile: ovviamente no. Non lo hanno fatto solo per questo, ma gli introiti aggiuntivi sul fronte del gas sono di sicuro un effetto collaterale che risulta gradito in quel di Washington. Uno dei tanti, visto che – sull’onda della guerra in Ucraina – nei prossimi anni gli Stati Uniti venderanno agli europei anche parecchie armi più del previsto, oltre a varie tecnologie da utilizzare nel settore della difesa.
La seconda possibile obiezione riguarda le quantità: “d’accordo, il gas in arrivo dagli Stati Uniti sarà solo una minima parte di quello necessario, ma al contempo stiamo cercando anche altre fonti di approvvigionamento per aumentare la diversificazione”. Già, peccato che comunque non basterà. Sempre la settimana scorsa, per citare un altro esempio, il Qatar ha fatto sapere che non è assolutamente in grado di soddisfare l’Europa in questo settore, perché il volume di gas richiesto è eccessivo.
Vale allora la pena di ricordare che, prima ancora della Russia, la principale fonte di gas per l’Italia dovrebbe essere un’altra: la Libia, collegata direttamente al nostro Paese da Greenstream, un gasdotto che attraversa tutto il Mediterraneo. La portata massima di questa infrastruttura è pari a 30 miliardi di metri cubi l’anno, ovvero più di un terzo dei nostri consumi, ma al momento viaggia intorno agli 8 miliardi. È il risultato del capolavoro orchestrato nel 2011 da Usa, Francia e Gran Bretagna per rovesciare Gheddafi e della successiva insipienza con cui abbiamo regalato la Tripolitania alla Turchia (e la Cirenaica agli egiziani e ai russi). Del disastro libico, però, non parla nessuno. E c’è un motivo: ricordare le scelleratezze di ieri rischia di smascherare quelle di oggi.
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