di Sandro Moiso
Lucio Caracciolo, La pace è finita. Così ricomincia la storia in Europa, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano 2022, pp. 144, euro 16,00.
È un agile libricino, ma c’è da augurarsi che la Befana in persona oppure qualche amico premuroso o caro parente l’abbia fatto pervenire nella tradizionale calza appesa al camino (o dove diavolo si voglia) dei lettori. Soprattutto di coloro che, ancora infatuati di filo-sovietismo e vetero-stalinismo d’antan, credono e affermano, senza mai averne letto una parola o un rigo, lo scarso interesse che rivestirebbero i saggi e gli studi di Caracciolo per i “compagni”. Spesso accusandolo di un filo-atlantismo ad oltranza che stride in maniera evidente con tutto ciò che l’autore va dicendo e scrivendo da anni.
Anche quelli che si ostinano a ritenere che la geopolitica sia “roba
di destra” farebbero meglio a leggere il libretto oppure richiedere la
consegna dello stesso da parte del drone con la scopa caratteristico del
6 gennaio. Poiché se è vero che acquistare «Limes», la rivista di cui
Caracciolo è direttore, tutti i mesi può rivelarsi impegnativo e
costoso, la lettura e l’acquisto di questo ultimo suo lavoro potrebbe
occupare poco tempo e pesare non molto sulle tasche dei singoli
(parlando comunque di tempo e soldi ben spesi).
Ma allora cosa conterrà di così importante il testo di cui si sta qui
parlando, chiederà qualche lettore storcendo già il naso. La risposta è
già nella prima riga, e in quelle seguenti, senza ombra di dubbio.
Il 24 febbraio 2022 è definitivamente finita la fine della storia. Trent’anni dopo la pubblicazione del saggio di Francis Fukuyama sopra La fine della storia e l’ultimo uomo (1992), l’invasione russa dell’Ucraina impone il sigillo all’illusione di emanciparci dalla prigionia del tempo, stigma di ogni progressismo occidentale. Fukuyama scriveva all’indomani del miracoloso biennio avviato dal crollo del Muro di Berlino (9 novembre 1989) e chiuso dal suicidio dell’Unione Sovietica (25 dicembre 1991), con i decisivi passaggi dell’unificazione tedesca (3 ottobre 1990) e dello scioglimento del Patto di Varsavia (1° luglio 1991) […] Il presidente George H. Bush preconizzava un Nuovo Ordine Mondiale (ancora!), fondato sull’incontestata, pacifica, benevolente egemonia a stelle e strisce. I cantori della vittoria americana nella Guerra fredda annunciavano il trionfo della Nuova Roma. Pax americana, dunque?
Non proprio. Prima il lungo decennio della Guerra del Golfo e dei conflitti di successione jugoslavi, poi il ventennio della “guerra al terrorismo” con le fallimentari invasioni di Afghanistan e Iraq, infine la contestazione russa dell’ordine americano […] parallela all’analoga sfida cinese al primato di Washington […] Finita era la pace, non la storia. A Bush padre come a quasi tutti i contemporanei sfuggiva che la fine dell’impero sovietico e la scomposizione dell’URSS in quindici repubbliche che dalla sera alla mattina vedevano i loro pseudoconfini amministrativi eretti a frontiere di improbabili Stati, segnavano il tramonto del vecchio ordine, non l’alba del nuovo. Le rovine dell’edificio crollato. Costruito dopo il 1945 sulla spartizione dell’Europa per mano dei suoi conquistatori – base della doppia egemonia americano-sovietica sul pianeta – ostruivano qualsiasi velleità di impiantarvi il Sistema-Mondo definitivo, già battezzato “Washington Consensus”. Stiamo ancora spalando tra le macerie del vecchio ordine, mentre i residui muri portanti su cui americani e altri occidentali imperniavano l’ideale dell’umanità metastorica si rivelano perfettamente inadatti allo scopo. Viviamo il rovesciamento della fine della storia: le storie della fine1.
Dovrebbero bastare queste poche righe a contestare le convinzioni di coloro che ritengono l’autore un ferreo sostenitore degli Stati Uniti e dell’atlantismo a ogni costo, ma poiché non è intento di questa recensione difendere o salvare una personalità pubblica dalle critiche di carattere ideologico, è invece importante sottolineare che, in fin dei conti, ciò che anima il pensiero di fondo di Caracciolo è un europeismo costretto oggi a fare i conti con la Storia. Proprio questo aspetto sembra infatti costituire il cuore del saggio: analizzare le prospettive dell’Europa e della sua presunta unità di fronte alle sfide poste dalla crisi, indubitabile, dell’Occidente americano e dall’insorgenza, più che dal sorgere, di potenze economico-militari e dalle ancor ampie risorse energetiche tradizionali a loro disposizione.
I soliti critici ideologici, con le menti tradizionalmente avvolte nelle fette di salame tardo marxista-leninista e per questo motivo scarsamente attenti alla realtà dei fatti, spesso dipingono l’Occidente come un tutt’uno, in cui gli attori nazionali sono tutti fedelmente legati all’obbedienza al canone e al volere degli Stati Uniti d’America e mai in contrasto al loro interno se non per quisquilie di carattere etico e giuridico. Finendo col costituire soltanto l’altra faccia della medaglia del pensiero embedded di pennivendoli “inconsapevoli e felici” come Massimo Giannini2, mentre la realtà, fotografata anche nelle pagine del testo qui proposto, appare ben diversa.
Realtà che, al di là degli evidenti contrasti tra Europa del Nord ed Europa mediterranea, tra stati dei confini orientali e stati occidentali all’interno del continente oppure se vogliamo delle immarcescibili polemiche e rivalità mediterranee tra Italia e Francia, travestite amabilmente da “questione migratoria”, e della Francia con gli Stati Uniti sulla necessità di una Difesa comune europea (possibilmente a guida francese) che si distacchi in parte o del tutto dalla Nato (a cui, però, Macron intende vietare l’accesso all’Ucraina guerriera e filo-americana di Zelensky), risalente ancora ai tempi della grandeur sognata da Charles De Gaulle, vede il centro di ogni turbolenza economica, politica militare accentrarsi al suo vero cuore: la Germania, riunificata nel 1990 e ancora una volta a caccia del suo ruolo di comando sul continente.
Prima dell’Ottantanove le due Germanie avevano cautamente stabilito rapporti piuttosto intensi, spesso segreti. Molto più di quanto lo schematismo della Guerra Fredda prevedesse. E di quanto la grande maggioranza degli stessi tedeschi, su entrambe le sponde, immaginasse. All’ombra di ideologie e narrazioni storiche specularmente opposte – doppia negazione, dunque affermazione – l’una conferma e dimostrazione dell’altra, si dipanava un filo rosso percepibile a chi non mettesse la testa nella sabbia o non fosse stordito dalle rispettive propagande. Filo che negli ultimi trent’anni, almeno fino alla svolta del 24 febbraio, ha riportato la Germania al rango di protagonista economico ma anche geopolitico su scala mondiale. Ma sempre a rischio di rompersi il collo, proprio quando il ritorno della Potenza del Centro – Zentralmacht Europas […] – sembra scolpito nella pietra3.
Nel delineare i “due blocchi” tedeschi riunificatisi nel 1990, l’autore ci ricorda che:
La più piccola delle due Germanie (quella ex-orientale – NdR) è stata e rimane la più tedesca. Così come, a suo modo, la Bundesrepublik preunitaria non può essere ridotta a base avanzata dell’impero americano in Europa occidentale, l’altra Germania non è mai stata un mero satellite dell’URSS. Il graduale ritorno della Germania unita nella storia avviene attingendo al patrimonio identitario custodito dalla DDR molto più che dalla Bubdesrepublik delle origini. Se l’Ovest annette l’Est, l’Est inietta nell’Ovest quelle dosi di codice nazionale, non necessariamente democratico, preservato nei quarant’anni di controllo sovietico. Trovando a occidente dell’Elba un terreno più fertile di quanto apparisse in superficie4.
La storia ha il respiro lungo. E ci ricorda come quel decisivo spazio nel cuore dell’Europa sia culturalmente autocentrato. L’identità tedesca, dal romanticismo in poi, verte su valori orgogliosamente specifici […] È l’architrave sul quale si è costruito il Secondo impero e la cui versione aggiornata sta riportando i tedeschi di oggi al senso di appartenere, malgrado tutto, a un soggetto storico dotato di un proprio codice culturale. Di una specifica missione […].
Nell’Europa eterodiretta dai due poli esterni (USA e URSS – NdR), la risultante politica di questo sentimento collettivo era latente neutralismo. Rifiuto di ridursi a meri strumento delle superpotenze. Ben sapendo come queste divergendo su quasi tutto convergessero nel considerare lo spazio tedesco intrinsecamente pericoloso, da mantenere sotto stretta sorveglianza. Tale neutralismo era fondato su un nazionalismo segreto, per certi versi passivo e persino inconsapevole. Nella Germania Federale prendeva la forma dell’Europa, maschera e insieme confortevole vestito dei propri interessi di Stato. Di fatto nazional-statali5.
L’europeismo tedesco-occidentale era il nazionalismo possibile nel mondo della Guerra fredda. Almeno quanto lo era il francese. Ma senza la gloria, il messianismo universalista della Grande Nation […] Allo stesso modo, sulla riva destra dell’Elba il tardo prussianesimo dai colori socialisti coltivato dalla DDR era il seminazionalismo possibile nel blocco imperiale sovietico. Dal 1990 in poi le due correnti carsiche sono emerse, mescolandosi. Il neonazionalismo tedesco risorto a partire dai “nuovi Länder”, anche ma non solo sotto specie del partito Alternative für Deutschland, conferma il diverso tono cultural-politico fra le due Germanie, socialmente e culturalmente distinte quanto istituzionalmente riunite. Soprattutto annuncia la rilegittimazione del discorso nazionale anche all’Ovest. L’europeismo germanico ha sempre meno remore a mostrare il suo scopo nazionale, anche se il mantello giallo-stellato resta irrinunciabile6.
Nel tanto parlare che si fa, a Sinistra come a Destra, in maniera negativa oppure positiva, di sovranismo sempre questo si dimentica ovvero il fatto che si tratta soltanto di un nazionalismo diversamente travestito, che ha potuto sopravvivere, come ben dimostra il caso tedesco, sia sotto il tallone democratico-liberale americano che sotto quello socialista-autoritario dell’URSS e del Patto di Varsavia. Sono riflessioni necessarie che proprio il testo di Caracciolo, anche indirettamente, invita e obbliga a fare.
Oggi la Germania, sempre meno vestita da Europa, vuole iniziare a riprendere in mano il proprio destino, stando all’ormai famosa formula di Angela Merkel7. I successori della cancelliera, a cominciare dal non spettacolare Olaf Scholz, inclineranno ad allargare lo spazio di autonomia della Bundesrepublik anche rispetto ai soci europei e alla superpotenza americana8. La traiettoria imboccata dopo il 1990 porta la Germania a trattare l’Europa sempre meno da foglia di fico e sempre più da area di influenza. Selezionando al suo interno, a partire dal classico spazio mitteleuropeo (Nord Italia incluso), i partner da associare più strettamente facendo leva sul vincolo monetario e sull’integrazione economica, da volgere per quanto utile in leva geopolitica9.
La guerra in Ucraina ha contemporaneamente sia rallentato che accelerato tale processo, che vedrà come centrale una ristrutturazione della presunta unità europea, destinata a finire sia per effetto delle pressioni americane sia di quelle russe e tedesche. Un nuovo, importantissimo, elemento del nuovo disordine mondiale che il testo di Caracciolo, borghese intelligente e pacato non certo uno pseudo-comunista da operetta o da social assetato di fake, ci aiuta a prevedere.
Prima dell’invasione russa dell’Ucraina la Germania pareva avviata nel medio periodo verso la piena affermazione come potenza regionale dotata di una sfera d’influenza più o meno travestita da “Europa” […] La guerra in corso colpisce i pilasti della Bundesrepublik: il vincolo strategico con l’America, il vincolo energetico con la Russia, affossato dalle sanzioni; la speciale relazione economica con la Cina, mercato di primario interesse; e la stabilità economico-monetaria dell’Eurozona. Vedremo quanto questo influirà sulla traiettoria geopolitica della Germania, che non intende certo rinunciare a nessuno dei fondamenti del suo benessere e della sua potenza10.
La guerra ha coinvolto la Germania e i suoi interessi e deciderà
della sorte dell’Europa che, ancora una volta come nel corso delle
guerre napoleoniche, prima, e della Prima e della Seconda Guerra
mondiale, poi, in assenza di significativi rivolgimenti classisti, sarà
nuovamente spartita, suddivisa e riunificata soltanto per mezzo del
rombo dei cannoni e il clangore delle armi. Lo sappiano gli amanti dei
discorsi fintamente antimperialisti in bianco e nero. Noiosissimi,
scontati e totalmente inutili.
Note
L. Caracciolo, La pace è finita. Così ricomincia la storia in Europa, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano 2022, pp. 7-8
Cfr. M. Giannini, Le democrazie “resilienti” e l’anno zero delle autocrazie, “La Stampa”, 31 dicembre 2022
L. Caracciolo, op. cit., pp. 93-94
Caracciolo, cit, p. 93
Ibidem, pp. 94-95
Ibid., p.95
Che, non va mai dimenticato, anche se nata ad Amburgo nel 1954, ha trascorso gran parte della sua gioventù nella Repubblica Democratica Tedesca (DDR), fino a diventare, dopo le elezioni del 18 marzo 1990, portavoce dell’ultimo governo della stessa prima della riunificazione, avvenuta nell’ottobre di quello stesso anno – NdR
Come dimostrano gli investimenti militari programmati nei mesi scorsi, già sottolineati su «Carmillaonline», che hanno portato la Germania ad essere la terza potenza per investimenti nel settore militare a livello planetario – NdR
Caracciolo, cit., pp. 95-96
Ibidem, p. 96
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