A fine maggio Stellantis ha inaugurato la prima gigafactory europea per la produzione di batterie elettriche. Il sito è quello di Douvrin, dove si punta alla riconversione dello storico stabilimento che produce motori Peugeot e Renault.
La linea di produzione del comune dell’Altra Francia, inaugurata nel 1969, nel 2021 sfornava ancora 570 mila motori a benzina e gasolio. L’intesa trovata coi sindacati lo scorso autunno, valida per il triennio 2022-24, ha permesso il passaggio di 400 dei 1000 dipendenti di Stellantis alla nuova gigafactory.
La CGT e la CFDT non hanno firmato l’accordo, reputando insufficiente l’impegno per il ricollocamento di soli 400 lavoratori. Le previsioni parlano dell’impiego tra le 1400 e le 2000 persone entro il 2030, con l’obiettivo di produzione di 800 mila batterie elettriche per una capacità di 24 gigawattora.
Questo di Douvrin è il primo di tre stabilimenti previsti dalla joint venture Automotive Cells Company (ACC), che unisce Stellantis, Mercedes-Benz e TotalEnergies, la vecchia Total francese che opera nel settore degli idrocarburi. In totale, si parla di un investimento pari a 7 miliardi di euro.
Il secondo è previsto in Germania, a Kaiserslautern, con finanziamenti del governo tedesco e l’inaugurazione prevista per l’inizio del 2025. In questo caso la capacità a regime della linea produttiva dovrebbe arrivare ai 48 gigawattora.
Il terzo e ultimo stabilimento dovrebbe essere in Italia, con la riconversione dell’impianto di Termoli tramite un sostegno governativo di 370 milioni di euro. L’inizio dei lavori per il sito, con una produzione che dovrebbe arrivare a 40 gigawattora e rioccupare 2000 dei 2470 dipendenti, è posto indicativamente nel 2026, ma sono tanti i dubbi sul luogo scelto.
In molti, infatti, credono che il Molise sia eccessivamente a sud, decentrato rispetto agli altri stabilimenti, e che la gigafactory italiana sconterebbe l’arretramento della rete infrastrutturale del paese. Anche questa volta si può notare, persino nell’ordine di insediamento delle linee di produzione, la gerarchia della costruzione unitaria europea.
Così come si nota il tentativo di tornare al passo della competizione internazionale nel settore dell’automotive elettrico. L’Europa punta a essere la regione a più rapida crescita per la capacità di fabbricazione delle batterie per veicoli elettrici, tolta la Cina.
Questo progetto strategico si fonda, appunto, su una joint venture di tre delle più grandi compagnie su base continentale, riunite in ACC. Un evidente esempio di come la prospettiva di sviluppo di campioni europei che possano competere con Washington e Pechino rimanga salda nelle menti della classe dominante europea.
E non siamo noi a dirlo, ma lo stesso ministro dell’Economia francese, Bruno Le Maire. A margine dell’inaugurazione dello stabilimento di Douvrin, ha infatti affermato in maniera netta come “l’Euro7 sia inutile”, con il nostro ministro del made in Italy Adolfo Urso che lo ha seguito in questa valutazione.
Per il politico francese sono soldi ed energie sprecati quelli messi su una normativa per gli standard dei motori endotermici, che i produttori statunitensi e cinesi non hanno e che comunque vedranno lo stop nel 2035. Tutti gli investimenti devono andare all’elettrico.
Le Maire ha persino detto che la UE “deve mostrare i muscoli” attraverso dazi per proteggere la propria industria. “Dobbiamo affrontare la sfida cinese che non ci farà nessun regalo soprattutto su auto, aerei e razzi spaziali. Dobbiamo reindustrializzare l’Europa e difendere i nostri campioni, le nostre competenze e i nostri posti di lavoro”.
“Per la prima volta dopo Airbus, l’Europa crea una nuova filiera”. Non è un caso che il ministro d’Oltralpe abbia citato il colosso continentale degli aeromobili, «prototipo» del campione europeo appunto.
In queste parole si legge chiaramente la volontà di legittimare la spinta sull’acceleratore della competizione internazionale attraverso la promessa della crescita dell’occupazione e dei redditi. È la trasposizione di oggi della logica dell’imperialismo, che irretisce alcuni strati dei lavoratori del centro imperialista con condizioni di vita nettamente migliori delle periferie.
Ma oltre al fatto che già nei numeri esposti vediamo che non sarà facile invertire la rotta della deindustrializzazione, il capitale va dove gli conviene. Il numero uno di Stellantis, Carlos Tavares, ha sì detto che si vuole produrre in Europa quasi un quarto delle celle per batterie, ma anche che si prospetta la creazione di altre quattro gigafactory tra Canada e Stati Uniti.
Un intreccio di interessi economici e di contrasti strategici tra cui il Blocco Euroatlantico dovrà giostrarsi per tenere la barra dritta di fronte al – per noi auspicabile – prender piede del mondo multipolare.
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