La nuova corsa all’oro degli abissi.
In piena crisi climatica (ed economica), la Norvegia questa settimana ha approvato una legge epocale, che permetterà per la prima volta in assoluto nella storia del mondo, l’estrazione mineraria su scala commerciale dei fondali marini.
Una concessione che arriva in approvazione da parte del governo scandinavo in modo controverso, perché l’impatto ambientale di questa decisione comporterà quasi sicuramente la distruzione di interi habitat marini, il cui equilibrio è tutt’altro che scontato.
Oltre il 90% del calore in eccesso dovuto al riscaldamento globale infatti viene assorbito dall’oceano. Cosa succederà ora che andremo a smuovere anche gli abissi per estrarre minerali?
Nell’epoca in cui si impone preponderante il tema della crisi ambientale, della necessità di tutelare gli habitat che preservano l’equilibrio che sorregge la vita in questo pianeta, dell’allarme relativo all’innalzamento del livello del mare, lo scioglimento dei ghiacciai, l’acidificazione delle acque, la liberazione di CO2 dagli oceani, ecce cc, nel Paese un tempo famoso per le sua cura dell’ambiente, si dà avvio legalizzato a una pratica estremamente pericolosa.
D’altronde se non si possono più cacciare le balene, dopo aver distrutto le foreste di mezzo mondo, perché non iniziare a cacciare litio, scandio e cobalto dai fondali oceanici?
Si tratta di un evidente paradosso, che in nome della transizione energetica andrà a mettere in pericolo la capacità dell’oceano di contrastare le ondate di calore (per dirla semplice), ma che rende evidente ancora una volta che l’ambiente e il futuro delle future generazioni sono temi che non stanno da nessuna parte delle scrivanie dei decisori politici dei nostri Paesi, nemmeno tra quelli ritenuti più “sostenibili”.
Più di 30 organizzazioni per il clima e la conservazione il giorno prima dell’approvazione della legge avevano consegnato una lettera a quasi due dozzine di ambasciate norvegesi in tutti i continenti, intensificando la protesta globale sui piani per l’estrazione mineraria dei fondali profondi nell’Artico.
I gruppi, tra cui Greenpeace, Sustainable Ocean Alliance e Blue Climate Initiative, hanno invitato i funzionari ad abbandonare i piani per aprire 281.000 chilometri quadrati all’estrazione mineraria in acque profonde, affermando che al mondo attualmente mancano “le conoscenze scientifiche solide, complete e credibili per consentire una valutazione affidabile degli impatti dell’estrazione di minerali dalle profondità marine, compresi gli impatti sui sistemi di supporto vitale del pianeta e sui diritti umani”.
Di tutto ciò non è rimasto nulla e, infatti, questa settimana la legge è stata approvata.
La legge per ora permette l’estrazione sui fondali marini norvegesi, ma sembra che la Norvegia si stia muovendo per ottenere il permesso di estrarre anche in acque internazionali.
Per ora ovviamente la concessione non è operativa, ma sarà presto avviata una procedura di concessione, per cui le aziende che vorranno iniziare il business dell’estrattivismo oceanico dovranno inviare delle proposte per ottenere una licenza, comprendendo anche una serie di valutazioni ambientali, e il parlamento valuterà se approvarle caso per caso.
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