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15/01/2024

Yemen - Morti due soldati Usa nell’attacco agli Houthi

di Francesco Dall'Aglio

Dopo un paio di giorni di traccheggiamento (più che giustificati, vista la situazione) viene comunicato che i due “marinai” statunitensi dispersi sono in realtà due Navy SEALS (tecnicamente, dunque, “marinai”), e viene fornito qualche dettaglio sulle modalità della scomparsa.

Secondo l’Associated Press giovedì notte, durante l’abbordaggio di una nave al largo delle coste somale nel Golfo di Aden, uno dei due è caduto in mare e l’altro, seguendo il protocollo dei SEALS, si è tuffato per prestargli soccorso scomparendo insieme a lui.

L’abbordaggio dunque non è collegato agli eventi del Mar Rosso, almeno non direttamente: si tratta di missioni di interdizione rivolte a bloccare carichi sospetti di armamenti diretti in Yemen, e vanno avanti da alcuni anni anche se in genere “a fari spenti” (sempre l’Associated Press riporta il caso di un sequestro avvenuto il 9 maggio 2021).

Questa però è la prima volta in cui, almeno ufficialmente, si registrano perdite.

Siamo arrivati intanto al quarto giro di bombardamenti sulle installazioni militari yemenite (AnsarAllah, ovvero “gli Houthi” controlla l’80% del territorio dello Yemen, inclusa la capitale Sana’a’ – de facto, anche se non de iure, è lo Yemen).

Non è chiarissimo cosa sia stato effettivamente distrutto: stranamente i centri informativi NATO, così prodighi di informazioni su quanto accade ai bersagli russi in Ucraina, sono abbastanza reticenti a fornire foto, filmati e bollettini.

Secondo il New York Times di oggi, ad ogni modo, anche se il 90% dei bersagli è stato colpito non più del 25% del potenziale militare yemenita è stato messo fuori uso.

Proprio l’identificazione dei bersagli si sta rivelando un problema, continua l’articolo, perché pare che negli anni passati non si siano fatti grandi sforzi di intelligence nella regione.

Del resto non è un mistero che, seguendo l’esempio iraniano, la maggior parte delle installazioni yemenite sia o mobile o ben nascosta, sfruttando le caratteristiche del territorio: non ci sono quelle belle basi evidenti, en plein air, come in Crimea.

Inoltre, nell’organizzazione del primo raid qualcosa è andato storto, con una fuga di notizie a qualche ora dall’inizio delle operazioni di cui ora USA e Gran Bretagna si rimpallano la colpa.

Ora si tratta di capire perché si è deciso di intervenire. Scartando l’idea della rappresaglia e della coincidenza con il round di accusa a Israele alla Corte dell’Aja, è probabile che si sia trattato di un attacco preventivo per cercare almeno di ridurre il potenziale missilistico yemenita, per un motivo di cui si è già parlato: il numero di missili a disposizione delle navi USA e UK nel Mar Rosso non è elevatissimo.

Ogni nave USA armata col sistema AEGIS ha a disposizione circa 100 missili SM-2, e le navi UK armate del sistema Sea Viper un’ottantina di Aster 15/30. Non possono essere rifornite in mare di nuovi missili, devono necessariamente abbandonare il teatro di operazioni ed attraccare.

Inoltre va considerato anche il costo dei missili: 2,1 milioni di dollari per ogni SM-2, 1 milione di sterline per ogni Aster 15 e 2 milioni di sterline per ogni Aster 30.

E infatti, il massiccio attacco di droni contro le navi USA/UK del 10 gennaio non ha provocato danni, perché tutti gli ordigni sono stati distrutti dai sistemi di difesa, ma ha portato il Segretario della Difesa britannico Shapps a dichiarare che si tratta di “una situazione insostenibile”, per le ragioni elencate sopra.

Soprattutto se AnsarAllah decidesse di impiegare contro le navi statunitensi e britanniche non più solo i droni, ma anche i missili balistici, ben più difficili da respingere. Sarebbe certamente un’escalation molto grave, e porterebbe altrettanto gravi conseguenze.

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