È il caso, per esempio dell'aumento dei consumi citato a fine saggio che non è chiaro come dovrebbero prodursi nel sistema economico italiano caratterizzato da una trentennale deflazione salariale.
di Riccardo Realfonzo
1. Il risparmio come fonte di sviluppo
Luigi Einaudi insegnava che il risparmio è la fonte dello sviluppo economico, il suo ingrediente essenziale. Un Paese in cui le famiglie risparmiano molto può guardare al futuro con serenità, al contrario di un Paese povero di risparmio. D’altronde, amava dire, “senza lepre non si fa il pasticcio di lepre” (Einaudi 1933).
In Italia ancora oggi la propensione al risparmio delle famiglie risulta particolarmente elevata nel confronto internazionale, mentre il debito pubblico sfiora i 3mila miliardi di euro, oltre il 140% del pil. Ciononostante, tutte le volte che vi è uno shock economico, l’attenzione dei media, dei cittadini e della politica economica si rivolge agli strumenti della politica fiscale, e in particolare alla spesa pubblica. Certo, l’aumento della spesa pubblica è efficace nel risollevare rapidamente la domanda aggregata e i livelli di attività dell’economia. Non a caso, lo stesso Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per oltre due terzi è finanziato da nuovo debito pubblico. E tuttavia il livello critico del nostro rapporto debito/pil e il quadro istituzionale, con la riforma del Patto di Stabilità e Crescita, dovrebbero indurci a comprendere che gli spazi fiscali a nostra disposizione sono estremamente limitati.
Sarebbe il caso quindi di tornare a Einaudi ed alla sua esortazione a guardare all’impiego del sano risparmio privato come strumento per finanziare una solida crescita. Tuttavia, se voltiamo lo sguardo in questa direzione ed esaminiamo i dati ufficiali ci rendiamo conto che andiamo in una direzione esattamente contraria, che il risparmio nazionale in grandissima parte viene investito all’estero e che sin qui è mancata una politica finalizzata ad attivare il nostro risparmio per gli investimenti nel Paese.
Nel seguito di questa nota, ci soffermeremo sul risparmio previdenziale delle famiglie italiane e vedremo che è possibile concepire uno strumento di politica economica che, nel rispetto della normativa italiana ed europea, e senza alimentare altro debito pubblico, consenta di incanalare rilevanti risorse verso il sistema produttivo e infrastrutturale del Paese, aumentandone la competitività.
2. Il sottoinvestimento della previdenza complementare nell’economia italiana
Secondo l’ultimo aggiornamento pubblicato dalla Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione (Covip), a fine 2023 le risorse accumulate dalla previdenza complementare italiana sono pari a 222,6 miliardi (Covip 2023b). Stando sempre ai dati Covip, il 20,9% di queste risorse sono impiegate in Italia. Precisamente, il 15,4% nell’acquisto di titoli del debito pubblico italiano e solo il 5,5% in tutte le altre forme di investimento nell’economia italiana (azioni, obbligazioni, forme di investimento diretto in immobili, infrastrutture e imprese; Covip 2023a). Dunque, il 79,1% del nostro risparmio previdenziale va all’estero.
Spostiamo ora l’attenzione sui 33 fondi pensione negoziali, istituiti sulla base di accordi tra le organizzazioni sindacali e quelle imprenditoriali nei diversi settori produttivi del Paese. È opinione diffusa che l’esperienza di questi fondi sia molto positiva. Il complesso delle norme che regola il funzionamento dei fondi negoziali (D.lgs. 5 dicembre 2005 n. 252), per quanto attiene alla gestione del risparmio e al sistema complessivo dei controlli, che fa capo alla Covip, ha definito un assetto efficiente. La direttiva Institutions for Occupational Retirement Provision II (IORP II) del 2016 ha determinato un consolidamento della governance e un più accurato controllo dei rischi ai quali sono esposti i fondi, oltre a una maggiore trasparenza e più attenzione alle informative verso gli aderenti. Complessivamente, i comparti bilanciati e azionari di questi fondi soddisfano gli obiettivi di rendimento (la rivalutazione del TFR; Covip 2023b), il loro patrimonio cresce progressivamente, i costi finanziari ed amministrativi risultano molto contenuti rispetto alle altre forme della previdenza complementare, aumenta anche il loro impegno sui temi della sostenibilità ambientale, sociale e di governance (ESG).
I fondi negoziali raccolgono a fine 2023 circa 67,9 miliardi. Essi investono il 10,5% della loro raccolta in titoli del debito pubblico italiano mentre gli impieghi nell’economia italiana sono marginali. Infatti, solo il 2,5% del patrimonio viene investito in obbligazioni e azioni emesse da imprese italiane (1,5% in obbligazioni e 1% in azioni). Una parte piccolissima dei 67,9 miliardi viene poi investita direttamente nel Paese – nel rispetto del D.lgs. 252/2005, articolo 6, comma 1, lettere d) ed e) – mediante i cosiddetti strumenti “alternativi”, consistenti principalmente in quote di fondi infrastrutturali, fondi di private debt, fondi di private equity, fondi a impatto sociale e di social housing. Queste risorse ulteriori, secondo gli ultimi dati disponibili, sono pari ad appena lo 0,3% della raccolta complessiva dei fondi pensione negoziali. Tirando le somme, l’investimento complessivo dei fondi pensione negoziali nel sistema produttivo italiano non supera il 2,8% del loro patrimonio (Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 2023). E dunque, gli investimenti complessivi dei fondi pensione negoziali nelle imprese italiane non raggiungono i 2 miliardi di euro.
I dati OCSE confermano queste conclusioni. L’ultimo studio (OECD 2022) relativo ai grandi fondi pensione include 75 fondi tra cui anche 3 italiani (Cometa, Fonchim, Fonte). Si evince che i fondi pensione dei Paesi OCSE investono in media il 37,6% nelle rispettive economie nazionali, contro il 20,9% della nostra previdenza complementare. Se poi si esamina il portafoglio medio dei fondi pensione dell’area OCSE si evince che essi investono in media il 6,3% in private equity e il 2,4% in fondi infrastrutturali, oltre all’1,9% in hedge funds (che sono molto attivi anche nel private equity). Tra il 2015 e il 2021 le tipologie di investimenti maggiormente cresciute sono proprio quelli in private equity (+41,4%) e fondi infrastrutturali (+25,2%). Viceversa, come si è osservato precedentemente, gli investimenti alternativi dei nostri fondi pensione negoziali sono pari allo 0,3% del loro capitale(Covip 2023b e Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 2023).
Siamo dunque al cospetto di un sottoinvestimento dei fondi negoziali e della previdenza complementare in generale nell’economia del Paese.
La presenza di questo sottoinvestimento non rappresenta un dato recente o non noto. Si tratta al contrario di una condizione ben nota e antica, al punto che l’art. 2, comma 4 del D.M. n. 703 del 1996 (“Regolamento recante norme sui criteri e sui limiti di investimento delle risorse dei fondi di pensione e sulle regole in materia di conflitto di interessi” – abrogato dal D.M. Economia e Finanze n. 166/2024) stabiliva che “Il fondo pensione nella gestione delle proprie disponibilità tiene conto delle esigenze di finanziamento delle piccole e medie imprese”. La questione è stata evidenziata a più riprese da analisti e commentatori, e ripetutamente rilevata anche dalla Covip, da ultimo nella Relazione per l’anno 2022, allorché chiarisce che “il contributo che il sistema delle forme complementari fornisce all’economia italiana è limitato, anche nel confronto internazionale” (Covip 2023a, p. 43).
È opinione largamente condivisa tra gli operatori e gli studiosi che tale sottoinvestimento sia la conseguenza di una strozzatura di mercato. Esso cioè dipende sia dai limiti angusti (nel confronto internazionale) del mercato di borsa italiano sia dallo scarso sviluppo nel nostro Paese degli strumenti cosiddetti “alternativi” che permettono investimenti diretti.
Sotto il primo aspetto, una caratteristica specifica del sistema produttivo italiano è quella della ridotta dimensione delle imprese italiane e della conseguente quota molto limitata di esse che viene quotata in borsa. Basti rilevare che, prendendo come riferimento gli indici azionari più diffusi MSCI (Morgan Stanley), risultano solo 22 titoli azionari italiani all’interno dell’indice europeo e dell’indice mondiale. Considerando l’indice europeo (MSCI EUROPE), il peso dell’Italia è pari al 3,50%. Considerando l’indice mondiale (MSCI WORLD) il peso dell’Italia è appena dello 0,59%.
Sotto il secondo aspetto, occorre rimarcare la generale arretratezza del nostro mercato dei servizi di risparmio gestito nel settore degli investimenti alternativi, ovvero di quelle forme di investimento che non passano per l’acquisto di azioni e obbligazioni nei mercati quotati ma principalmente attraverso le forme “dirette” del private debt, del private equity, del venture capital, dei fondi infrastrutturali. Si tratta di forme di investimento più rischiose, perché illiquide, per le quali non esistono quotazioni ufficiali, che consentono di intervenire a sostegno di aziende che tipicamente, per diverse ragioni, hanno maggiori difficoltà ad avere accesso al credito bancario a medio-lungo termine. D’altronde, stando ai requisiti di Basilea, il finanziamento di operazioni di questo tipo determina, per il profilo di rischio ad esse associato, importanti accantonamenti di capitale, con la conseguente timidezza dello stesso sistema bancario ad intervenire in questa tipologia di investimenti. Per quanto attiene il lato della domanda occorre rilevare che la funzione di gestione del rischio dei fondi pensione, secondo quanto previsto dalla direttiva IORP II, ha il compito di monitorare il rischio di liquidità del fondo pensione, che cresce esponenzialmente con l’introduzione in portafoglio di fondi di private equity e private debt. Dal punto di vista dell’offerta, i dati a disposizione mostrano che, nel confronto internazionale effettuato in rapporto al pil di ciascun Paese, in Italia gli operatori di private equity e private debt sono molto numerosi e molto piccoli. L’operatore domestico principale ha masse in gestione di poco superiori ai 3 miliardi mentre ad esempio in Francia l’operatore più grande ha masse in gestione per oltre 100 miliardi. Le operazioni che si effettuano in Italia sono mediamente di importo molto ridotto e quelle di dimensioni più rilevanti sono sovente appannaggio di operatori stranieri.
Come conseguenza dello scarso sviluppo del mercato degli investimenti alternativi, con i rilevanti rischi connessi, i consigli di amministrazione dei fondi pensione, in attuazione dei criteri di gestione di cui all’art. 3 del D.M. Economia e Finanze n. 166/2024, nell’interesse esclusivo dei loro aderenti, sono indotti ad adottare benchmark di mercato e strategie di investimento diversificate su scala internazionale – nei quali, come conseguenza dell’esiguo numero di imprese quotate italiane, il peso assegnato all’Italia è marginale – di fatto generando un esito sistemico evidentemente subottimale, considerato il fatto che l’investimento nell’economia nazionale attiverebbe una dinamica positiva del pil e dell’occupazione, alimentando quel circuito economico che fa anche crescere gli stessi fondi pensione italiani.
Insomma, il copioso risparmio previdenziale delle famiglie italiane se ne va dal Paese e finanzia lo sviluppo di sistemi produttivi concorrenti; senza considerare che il combinato disposto tra l’utilizzo non soltanto in Italia di strategie a benchmark e il limitato peso assegnato all’Italia negli indici, finisce anche per attrarre una quota inferiore di investimenti internazionali sul mercato domestico
3. Le iniziative in campo per indirizzare il risparmio previdenziale nel Paese
La lettura dei dati sopra riportati non deve nascondere il fatto che in questi anni vi sono state diverse iniziative finalizzate ad offrire ai fondi pensione negoziali opportunità per investire direttamente con strumenti alternativi illiquidi nell’economia italiana.
Queste iniziative hanno sin qui coinvolto complessivamente 17 fondi negoziali. Vi sono state alcune iniziative di mercato. Il Progetto Iride ha portato 5 fondi pensione a investire 216 milioni in fondi di private equity rivolti all’Europa ed anche all’Italia. Il Progetto Zefiro ha coinvolto 4 fondi pensione che stanno investendo 215 milioni in fondi di private debt sempre con focus su Europa e in parte Italia. Il Progetto Vesta vede attivi 5 fondi pensione, con un commitment di 168 milioni, nel settore delle infrastrutture europee ma con una quota per l’Italia (Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 2023).
Poi vi è il Progetto Economia Reale, promosso da Assofondipensione e Cassa Depositi e Prestiti (CDP), con Fondo Italiano d’Investimento SGR (partecipata da CDP Equity, Intesa Sanpaolo, UniCredit, Fondazione ENPAM, Fondazione ENPAIA, Associazione Bancaria Italia, Banco BPM e BPER Banca). Questo progetto, che opportunamente punta a indirizzare risorse dei fondi esclusivamente verso l’economia italiana, ha visto l’attivazione di tre fondi di fondi:
- il FOF Private Equity Italia (FOF PEI), che ha raccolto 300 milioni da CDP e 196,7 milioni da 17 fondi pensione italiani per un totale di 496,7 milioni. Al settembre 2023, FOF PEI ha in portafoglio 15 fondi di private equity dedicati all’economia reale italiana che hanno finalizzato investimenti in 66 società, di cui in 16 nei primi 9 mesi del 2023;
- il FOF Private Debt Italia (FOF PDI) che ha raccolto 250 milioni da CDP e 90,8 milioni da 10 fondi pensione italiani, per un totale: 340,8 milioni. Al settembre 2023, FOF PDI ha in portafoglio 10 fondi di private debt;
- Il FOF Infrastrutture, presentato a giugno 2023, che prevede un primo investimento di 30 milioni nel settore dell’efficientamento energetico (Fondo Italiano d’Investimento 2023).
Dalle Relazioni semestrali prodotte dal Fondo Italiano d’Investimento si evince che questi progetti stanno dando risultati complessivi incoraggianti. In particolare, il FOF PEI registra un valore totale dell’investimento in rapporto al capitale investito (Total Value Paid In) maggiore di uno; ciò significa che sta determinando rendimenti positivi e ha già superato l’effetto negativo legato dal calo iniziale di breve periodo, la “J- curve”, che ci si attende inizialmente da questo tipo di investimento.
Nonostante l’iniziativa di Assofondipensione con CDP, il volume complessivo degli investimenti dei fondi pensione negoziali resta limitato a pochi decimi della raccolta complessiva dei fondi pensione negoziali e l’investimento totale nell’economia italiana ad oggi non raggiunge il 3% del patrimonio. E ciò, si badi, nonostante la circostanza che gli investimenti diretti siano potenzialmente interessanti per gli investitori della previdenza complementare, per la loro natura di investimenti di lungo periodo, per il premio di illiquidità implicito che essi incorporano, in un’ottica di strategica diversificazione del portafoglio, parziale decorrelazione e protezione dall’inflazione.
4. La proposta: un fondo per investimenti diretti con protezione del rendimento
Per fare in modo che i risparmi previdenziali delle famiglie italiane vengano in misura più significativa investiti nel Paese, è dunque necessario prendere atto pragmaticamente della presenza di una rilevante strozzatura di mercato, che impedisce un afflusso adeguato del risparmio previdenziale nel Paese, e intervenire con una misura di politica industriale finalizzata ad incentivare l’investimento di questo risparmio nel sistema produttivo ed infrastrutturale italiano. Ciò anche per favorire lo sviluppo del mercato e il superamento nel futuro di quella strozzatura.
Qui riprendo e sviluppo una proposta che ho avanzato in passato, anche come Presidente di Cometa, e che è stata a più riprese discussa dalle parti sociali dell’industria metalmeccanica, sino ad essere inserita nel contratto vigente siglato da tutti i firmatari.
La proposta punta ad introdurre uno strumento che permetta ai consigli di amministrazione dei fondi pensione di investire mediante strumenti “diretti” nelle infrastrutture sociali e nell’apparato produttivo italiano grazie alla introduzione di un meccanismo di protezione dei rendimenti alla scadenza del progetto (quindi anche sull’eventuale rischio default dei soggetti in cui si investe), che tuteli il risparmio dei lavoratori che aderiscono ai Fondi.
Si tratta di introdurre un nuovo fondo di fondi, pubblico-privato, che raccolga risorse dai fondi pensione, con un vincolo di lungo periodo, e investa direttamente in infrastrutture e piccole-medie aziende, con il ricorso alle formule ormai tradizionali della finanza alternativa, come private equity, private debt, venture capital. L’obiettivo è favorire il potenziamento dell’apparato produttivo, la crescita della dimensione media delle imprese, il consolidamento di cooperative dei lavoratori (legge Marcora), il potenziamento delle infrastrutture sociali, in un quadro coerente con le linee nazionali di politica industriale.
Alla scadenza dell’investimento, le singole quote sarebbero retrocesse ai fondi investitori con i rendimenti maturati. CDP potrebbe essere il soggetto semi-pubblico titolare della emissione delle quote e si farebbe carico del meccanismo di protezione del rendimento.
Il meccanismo di protezione del capitale investito può essere concepito tecnicamente con almeno due soluzioni diverse. In entrambi i casi, il fondo pubblico posto a base dell’operazione va ad integrare i rendimenti nei casi in cui essi fossero inferiori a un valore soglia di rendimento definito. In entrambi i casi,il fondo in questione non avrebbe la natura tecnica di garanzia assicurativa poiché opererebbe nei limiti della dotazione stanziata e sarebbe, in particolare nella seconda soluzione, dipendente dalla dinamica di mercato. Per questa ragione, tali misure non cadono nei limiti della disciplina sugli aiuti di Stato.
Una prima soluzione, consiste nell’istituzione di un fondo rotativo ad opera di CDP che a scadenza integrerebbe i rendimenti a favore dei fondi pensione in tutti i casi in cui essi fossero inferiori al valore soglia e che al contrario risulterebbe alimentato in tutte le circostanze in cui i rendimenti fossero superiori a tale valore.
Una seconda soluzione consiste nella partecipazione stessa di CDP all’investimento in questione, con capitale pubblico (come accade con il Progetto Economia Reale). Ciò significa che gli investimenti diretti prevederebbero due classi di investitori: i fondi pensione e CDP. La tutela degli investimenti della prima classe di investitori, i fondi pensione, prevederebbe che al momento della liquidazione finale, a scadenza dell’investimento, l’assegnazione a loro favore dipenderebbe dal valore del rendimento generato. L’assegnazione sarebbe pari al 100% dell’investimento effettuato e comunque fino al valore soglia definito nel caso di rendimenti negativi o comunque inferiori al valore soglia, evidentemente con minore rendimento per l’investitore della seconda classe (CDP); viceversa, in caso di rendimento superiore al valore soglia definito, l’assegnazione a favore dei fondi pensione sarebbe pari al capitale maggiorato sino al valore soglia più una percentuale dell’extrarendimento, con maggiore assegnazione, in questo caso, per l’investitore CDP.
Il valore soglia definito dei rendimenti potrebbe essere posto nella rivalutazione maturata dal Trattamento di Fine Rapporto (TFR) che, per legge, si calcola annualmente aggiungendo al tasso dell’1,5% il 75% dell’aumento dell’indice dei prezzi al consumo accertato dall’ISTAT. Si sottolinea che la rivalutazione del TFR rappresenta il benchmark di riferimento per la previdenza complementare, considerato che questa è la rivalutazione del risparmio previdenziale dei lavoratori nel caso in cui essi non aderiscano ai fondi pensione e lascino il TFR con le loro contribuzioni in azienda. La rivalutazione media del TFR è stata dell’1,6% nel 2023 e del 2,4% nella media degli ultimi dieci anni (Covip 2023b).
La proposta qui presentata riprende per certi aspetti la logica generale europea del vecchio piano Juncker, che prevedeva l’appostamento di risorse pubbliche (l’European Fund for Strategic Investments, EFSI) che funzionassero da strumento di garanzia per mobilitare il risparmio privato ed attivare, con un effetto leva, investimenti multipli che altrimenti non si sarebbero realizzati.
Una esperienza italiana che può essere richiamata ad ispirazione del progetto che qui si propone, è quella testata in Trentino Alto Adige con il fondo pensione regionale Laborfonds, finalizzato allo sviluppo delle attività produttive regionali. La protezione degli investimenti, che riguarda la parte degli investimenti effettuati in strumenti alternativi (il fondo mobiliare chiuso denominato “Fondo Strategico del Trentino-Alto Adige”), non è caduta nelle censure della disciplina degli aiuti di Stato, in quanto meccanismo di mercato. In particolare, si tratta di una protezione dell’investimento nominale nei limiti della disponibilità di un capitale appostato dalla Regione. Per questo motivo, non si tratta di un meccanismo di garanzia in senso tecnico-assicurativo, ma di uno strumento di protezione a scadenza del capitale versato. La tutela degli investimenti nominali prevede al momento della liquidazione finale, a scadenza dell’investimento, una assegnazione che dipende dal valore del rendimento generato. L’assegnazione è pari al 100% del valore dell’investimento effettuato, nel caso di rendimenti negativi, sempre comunque nei limiti del capitale disponibile; un importo pari al valore delle quote detenute, se il rendimento risulta positivo ma inferiore al 5%; un importo pari al valore delle quote detenute, con riduzione del 30% del rendimento eccedente il 5%.
Data la cornice di strategia generale degli investimenti, la proposta qui presentata prevede l’individuazione o creazione di un gestore altamente specializzato negli investimenti “alternativi” italiani, con rilevanti competenze soprattutto in termini di scouting, analisi delle proposte di investimento, due diligence, e strumenti di private equity, private debt e venture capital, oltre che supporto delle società target, anche con il ricorso a CDP (l’esperienza positiva praticata con Fondo Italiano d’Investimento risulta incoraggiante). La definizione e realizzazione di rigorosi strumenti di controllo di raccolta e investimento, anche in termini ESG, potrebbe vedere anche il coinvolgimento di Covip. D’altronde la principale e vera protezione del rendimento deve riposare nella qualità dei progetti selezionati, in assenza della quale l’intero processo risulterebbe viziato.
5. I vantaggi del fondo per investimenti diretti con protezione del rendimento
La proposta in questione genera vantaggi per il complesso degli attori coinvolti.
Dal punto di vista degli oltre 4 milioni di lavoratori aderenti ai fondi pensione negoziali, l’introduzione di questa misura, in una delle varianti descritte, contribuirebbe a generare un flusso di rendimenti in linea con la rivalutazione del TFR. Per gli aderenti, dunque, la misura permetterebbe l’acquisizione di un rendimento pari alla rivalutazione del TFR tenuto in azienda senza dovere rinunciare all’extracontribuzione del datore di lavoro e ai vantaggi fiscali della previdenza complementare, che viceversa andrebbero persi nel caso in cui il lavoratore non aderisse al fondo pensione. La maggiore diversificazione degli investimenti da parte dei fondi pensione contribuirebbe all’ottimizzazione del rapporto rischio rendimento, a tutto vantaggio degli aderenti. Inoltre, e soprattutto, il Fondo investirebbe nei settori industriali in cui operano gli stessi aderenti.
Alla luce di ciò risulta chiaro che l’introduzione di un simile strumento accrescerebbe per un lavoratore il costo opportunità della mancata adesione alla previdenza complementare e quindi favorirebbe la crescita delle adesioni ai fondi negoziali. Si tratta di un obiettivo certamente auspicabile che rafforzerebbe ulteriormente il collegamento funzionale tra il sistema previdenziale obbligatorio a ripartizione, gestito dall’INPS, e quello di previdenza complementare a capitalizzazione, con l’obiettivo di concorrere ad assicurare ai lavoratori mezzi adeguati alle esigenze di vita al momento del pensionamento. Inoltre la crescita dei fondi pensione potrebbe favorire maggiori investimenti futuri nel Paese, attivando un circolo virtuoso.
Dal punto di vista del fondo pensione, lo strumento in questione permetterebbe ai consigli di amministrazione di dedicare molte più risorse agli investimenti diretti nell’economia italiana, superando le difficoltà legate alla inadeguatezza complessiva del mercato italiano e alla forte incertezza che si accompagna oggi a tali investimenti. I fondi pensione avrebbero infatti a disposizione uno strumento di investimento di lungo periodo, perfettamente adeguato alla loro natura di investitori di lungo periodo per eccellenza, che – come osservato – consentirebbe loro di ottenere il rendimento obiettivo della previdenza complementare, differenziando le tipologie di investimento grazie alla introduzione di questa asset class, abbattendo i livelli di rischio complessivo dei loro portafogli e dunque ottimizzando il rapporto rischio/rendimento dei comparti offerti dai fondi. Naturalmente, la crescita delle adesioni, assicurata dai maggiori profili di rendimento e dall’abbattimento del grado di rischio del portafoglio generate dalla proposta in esame, alimenterebbe la crescita virtuosa dei fondi pensione.
Dal punto di vista delle performance dell’economia italiana, l’introduzione di un Fondo con il meccanismo di protezione dei rendimenti garantirebbe per le ragioni sopra dette un nuovo flusso di investimenti finanziato con risparmio privato a favore delle imprese e delle infrastrutture del Paese.
L’impatto potenziale sull’economia italiana potrebbe essere molto rilevante se si riuscisse, con l’introduzione di questa misura, a superare le strozzature del nostro mercato portando la quota degli investimenti sul totale del capitale gestito dalla previdenza complementare italiana al livello degli altri Paesi occidentali. Per una valutazione indicativa degli impatti di questa proposta sul piano macroeconomico e della finanza pubblica, sono stati svolti alcuni esercizi sulla scorta delle metodologie e degli assunti utilizzati dal governo anche per l’analisi degli impatti del PNRR (Governo Italiano 2023a e 2023b). Il riferimento è in questo caso al modello di equilibrio economico generale QUEST, sviluppato dalla Commissione Europea. A risultati non molto diversi si perviene seguendo le metodologie del cosiddetto “nuovo consenso” utilizzate dal Centro Studi Confindustria (Centro Studi Confindustria 2023). Assumendo, a puro titolo di esempio, un incremento degli investimenti di 20 miliardi di euro nell’economia nazionale, pari a un punto percentuale del pil nominale 2023, e ipotizzando che tali investimenti vengano realizzati in cinque anni, in ragione di un quinto annuo (4 miliardi/anno), si avrebbe ogni anno un incremento del tasso di crescita del pil di alcuni decimi di punto (alla fine del quinto anno si avrebbe un incremento del tasso di crescita del pil rispetto al trend stimabile in circa lo 0,4% del pil). L’effetto reale cumulato, dato dalla somma di tutti gli incrementi del pil rispetto al valore del primo anno, risulterebbe pari a circa l’1,4% del pil (base di riferimento il primo anno). Gli effetti di crescita del pil risulterebbero determinati dall’incremento degli investimenti, dall’aumento indotto dei consumi, tenuto conti di un marginale impatto negativo del saldo della bilancia commerciale dovuto all’incremento delle importazioni. Da notare che l’aumento del pil determinerebbe un aumento delle entrate fiscali di circa il 40% dell’incremento stesso del pil, ripagando lo stanziamento necessario per il fondo rotativo e l’investimento pubblico, e fornendo un contributo al miglioramento del rapporto debito pil.
Questa medesima simulazione è stata condotta anche con un modello stock flow di impostazione keynesiana, che dunque attribuisce maggiori valori ai moltiplicatori degli investimenti, generando risultati ancora più incoraggianti in termini di maggiore tasso di crescita del pil e pil reale cumulato (Canelli, Fontana, Realfonzo e Veronese Passarella 2022).
6. Un progetto pilota per l’industria metalmeccanica
La proposta appena presentata è stata oggetto di discussione e condivisione tra le parti sociali dell’industria metalmeccanica. Non a caso, il Contratto Collettivo Nazionale dei Metalmeccanici – siglato nel 2021 da Federmeccanica, Assistal e Fim, Fiom, Uilm – prevede che “le parti firmatarie del presente Contratto, confermando la scelta di considerare il Fondo nazionale di categoria COMETA come lo strumento più idoneo a soddisfare i bisogni previdenziali dei lavoratori metalmeccanici, sollecitano coerenti provvedimenti di legge finalizzati allo sviluppo dei Fondi negoziali. In particolare, si impegnano mediante apposite iniziative a sollecitare le istituzioni deputate ad introdurre una minore tassazione dei rendimenti finanziari e a definire interventi normativi che, con precise garanzie a tutela del risparmio previdenziale e della sua rivalutazione, favoriscano gli investimenti nell’economia reale in modo da consentire migliori rendimenti finanziari per i lavoratori ed un sostegno alla crescita economica del nostro Paese. Le parti si impegnano, altresì, a perseguire una politica che favorisca gli investimenti socialmente responsabili” (Sez. Quarta, Titolo IV, Retribuzione ed altri istituti economici, art. 15 “Previdenza Complementare”).
Tra le numerose occasioni in cui la proposta è stata recentemente ripresa, vi è l’ultima Assemblea di Federmeccanica, del settembre 2023, nella quale il Presidente, Federico Visentin, ha rimarcato: “La Cassa Depositi e Prestiti potrebbe anche intervenire, fornendo le necessarie garanzie, per sostenere investimenti nell’economia reale realizzati dal Fondo di Previdenza Complementare Cometa, se finalizzati alla crescita delle imprese metalmeccaniche e meccatroniche italiane”.
Un primo progetto pilota potrebbe dunque essere studiato con riferimento all’industria metalmeccanica.
*Documento presentato dal prof. Riccardo Realfonzo, Presidente del fondo pensione Cometa, in occasione della audizione presso la Commissione parlamentare di controllo sull’attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale, indagine conoscitiva “Sugli investimenti finanziari e sulla composizione del patrimonio degli enti previdenziali e dei fondi pensione anche in relazione allo sviluppo del mercato finanziario e al contributo fornito alla crescita dell’economia reale”. Roma, 15 febbraio 2024
Bibliografia
Canelli R., Fontana G., Realfonzo R., Veronese Passarella M. (2022), Is the Italian government debt sustainable? Scenarios after the Covid-19 shock, “Cambridge Journal of Economics”, Vol. 46, Issue 3, May, pages 581–587;
Centro Studi Confindustria (2023), L’economia italiana torna alla bassa crescita?, autunno;
Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali (2023), Investitori istituzionali italiani: iscritti, risorse e gestori per l’anno 2022, Itinerari Previdenziali, Decimo report annuale;
Covip (2023a), Relazione per l’anno 2022;
Covip (2023b), La previdenza complementare. Principali dati statistici, dicembre;
Einaudi L. (1933), Il mio piano non è quello di Keynes, “La Riforma Sociale”, marzo-aprile, pp. 129-142;
European Commission (2014), An investment plan for Europe, Communication from the Commission, COM 903, November, Brussels;
Federmeccanica, Assistal, Fim, Fiom, Uilm (2021), Contratto collettivo nazionale di lavoro per i lavoratori addetti all’industria metalmeccanica privata e alla installazione di impianti, 5 febbraio;
Fondo Italiano d’Investimento (2023), Relazioni semestrali;
Governo Italiano (2023a), Documento di economia e finanza, Sezione I, Programma di Stabilità;
Governo Italiano (2023b), Documento di economia e finanza, Appendice 1 al Programma Nazionale di Riforma, Valutazione dell’impatto macroeconomico delle riforme;
OECD (2022), Long-term investing of large pension funds and public pension reserve funds, OECD Publishing, Paris, https://doi.org/10.1787/809eff56-en;
Visentin F. (2023), Relazione, Assemblea Generale Federmeccanica, settembre.
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