Gli Stati Uniti hanno di nuovo posto il veto ad una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu presentata dall’Algeria che chiedeva l’immediato cessate il fuoco a Gaza. Per gli USA “non è il momento di una tregua permanente”. Un cessate il fuoco immediato, ha affermato l’ambasciatrice Usa Linda Thomas-Greenfield, “darebbe copertura a Hamas per non rilasciare tutti gli ostaggi”.
Nel voto al Consiglio di Sicurezza si è astenuta la Gran Bretagna mentre tutti gli altri 13 Paesi hanno approvato il testo.
È la quarta volta che gli Stati Uniti pongono il veto a una richiesta di cessate il fuoco alle Nazioni Unite. Oltre a bloccare tre risoluzioni, Washington ha posto il veto anche ad un emendamento che chiedeva un cessate il fuoco e che la Russia aveva cercato di includere in una risoluzione del Consiglio di sicurezza a dicembre.
La decisione è stata subito bollata sia da Hamas che dall’Autorità Nazionale Palestinese come “un via libera per ulteriori massacri”.
Il coordinatore del consiglio per la sicurezza nazionale statunitense, John Kirby, ha giustificato la decisione affermando che gli Usa non potevano sostenere una risoluzione che rischiava di minare i già delicati negoziati in corso nascondendosi dietro la formuletta che qualsiasi operazione rilevante di Israele a Rafah senza un piano per garantire la sicurezza del popolo palestinese sarebbe però un disastro.
Gli Stati Uniti hanno perso da tempo la propria credibilità come mediatore. Israele procede nel genocidio senza ascoltare nessuno – neanche la Casa Bianca – mentre gli Usa adottano un doppio standard diventato ormai inaccettabile per gran parte del mondo.
La doppiezza degli Stati Uniti, confermata dal voto al Consiglio di Sicurezza, si rileva anche dal fatto che l’amministrazione statunitense, mentre parla di fermare l’escalation, prevede di inviare ulteriori armi ad Israele per un importo stimato in decine di milioni di dollari, nonostante sul piano pubblico gli stessi Usa spingano per un cessate il fuoco temporaneo a Gaza. È quanto rivelato cinque giorni fa dal Wall Street Journal secondo cui la fornitura comprende circa un migliaio di bombe MK.82, sistemi KMU-572 per la trasformazione delle bombe medesime in ordigni guidati ed altri armamenti.
Il piano di fornitura di armamenti a Israele, hanno spiegato le fonti del Pentagono al Wall Street Journal, è tuttavia ancora in fase di revisione interna e potrebbe cambiare prima di essere inviato in Commissione al Congresso per la definitiva approvazione
Sul piano negoziale qualcosa sembra muoversi al Cairo, dove è arrivata una delegazione di Hamas guidata dal leader Ismail Haniyeh e – secondo fonti egiziane – è sbarcata nel più stretto riserbo anche una missione israeliana. La posta sul tavolo è sempre la stessa: uno scambio di prigionieri tra gli oltre 130 ostaggi israeliani trattenuti da Hamas nella Striscia e centinaia di prigionieri politici palestinesi nelle carceri israeliane.
L’obiettivo dei mediatori sarebbe quello di arrivare ad una sospensione del conflitto prima dell’inizio del Ramadan – il 10 marzo – e di fermare l’annunciata operazione militare di Israele a Rafah, dove si accalcano un milione di sfollati palestinesi che gli israeliani hanno cacciato dal resto della Striscia di Gaza. Israele al momento non conferma né smentisce la presenza della propria delegazione al Cairo. Pessimista sulle trattative in Egitto è il Qatar, uno dei principali mediatori. Il ministero degli Esteri di Doha ha fatto sapere che non si registrano al momento progressi nei negoziati indiretti tra Hamas e Israele.
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