Presentazione


Aggregatore d'analisi, opinioni, fatti e (non troppo di rado) musica.
Cerco

21/02/2024

Addio “green deal”, il business non rende

Piano piano, zitti zitti, i vertici delle multinazionali e delle istituzioni europee – Stati e Consiglio Europeo – hanno messo in soffitta ogni vagheggiamento di “transizione energetica” ed ecologica.

La coincidenza temporale con le manifestazioni più evidenti del cambiamento climatico in corso – non c’è stato praticamente l’inverno, quest’anno, ha piovuto pochissimo, la temperatura media del 2023 ha superato la soglia che costituiva il limite massimo del secolo in corso (+1,7 gradi, ben oltre l’1,5 che innesca processi irreversibili – non potrebbe essere più rivelatrice: dentro il modo di produzione capitalistico, col profitto al posto di comando, non è possibile alcuna difesa della vivibilità sul pianeta.

Si potrebbero citare cento diversi segnali di “marcia indietro”. Dalla rinuncia di molte case automobilistiche a sviluppare ulteriormente le auto elettriche o ad idrogeno (“il mercato” non le apprezza abbastanza), alle proteste degli agricoltori europei, l’insofferenza delle imprese per ogni normativa “ecologica”, e via dicendo.

Ma è sul piano politico che la retromarcia diventa ormai palese e quasi rivendicata. E non solo per mano dei nazi-distruttori di ultradestra a là Salvini o Le Pen. Basterebbe guardare alle conferenze Cop annuali, ormai in mano alla gestione di paesi esportatori di petrolio...

Già a maggio Macron consigliava di prendere “una pausa” nel processo legislativo europeo in materia di compatibilità ambientale, in modo da avvicinare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.

Quando le industrie automobilistiche hanno protestato contro il divieto di immatricolazione per veicoli benzina o diesel a partire dal 2025, la UE ha immediatamente congelato il provvedimento.

Idem per il divieto di uso dei pesticidi in agricoltura, e ben prima che i trattori invadessero le capitali di tutta Europa (l’Italia è arrivata ultima anche in questo...). Basti dire che la contestata regola che obbligava a “mettere a risposo” almeno il 4% dei terreni agricoli era già stata sospesa al momento dello scoppio delle guerra in Ucraina. E poi “diluita” concedendo la possibilità di coltivare legumi e altre piante “rigeneratrici”.

Su tutto questo deciderà il prossimo “esecutivo europeo”, quello che uscirà dalle elezioni continentali di giugno, che prevedibilmente vedrà proprio i negazionisti del cambiamento climatico in posizione di maggior forza, quindi in grado di condizionare negativamente ogni evoluzione normativa “ambientalista”.

Anche perché gli stessi partiti “verdi”, da decenni convertiti al “realismo” e alla complicità con il business (quelli tedeschi sono forse i peggiori di tutti), sono ormai un residuo secco dei movimenti di qualche tempo fa. Oppure ridotti a dimensioni microscopiche facilmente criminalizzabili, un po’ come accade per le formazioni antagoniste.

L’incrocio tra crisi economica, guerra, ulteriore riduzione dei salari medi (falcidiati dall’inflazione e dall’aumento dei tassi di interesse), difficoltà tecnologiche reali, problemi giganteschi di ristrutturazione delle infrastrutture, ha reso ingestibili le difficoltà comunque enormi della “transizione energetica”.

Sia sul piano economico che su quello della “tenuta sociale”. La combinazione stretta, se non altro temporale, tra normative ecologiche europee e impoverimento progressivo di una parte rilevante della popolazione, a livello continentale, ha reso estremamente impopolare le tematiche “ecologiste”.

L’irresponsabilità di UE e governi nazionali è stata totale. Hanno dato sempre il via libera alle pretese (assai poco “ecologiche”) delle multinazionali e, contemporaneamente, chiacchierato moltissimo di “green deal”, senza mai mettere in azione alcuna politica (investimenti, insomma) che permettesse il suo avvio concreto.

Il risultato è stato tragico. Lavoratori e piccola impresa, specie agricola, hanno percepito le normative ambientaliste come “causa” del loro impoverimento. E quindi sono stati spinti a farsi massa di manovra delle grandi multinazionali che, fattisi due conti, hanno stabilito che “l’ambiente può attendere”. Il loro business viene sempre prima.

Equilibrio ecologico e capitalismo (accumulazione a crescita infinita) sono incompatibili. Facile da capire, ma ora si tratta di lottare contro la vera causa, abbandonando ogni illusione che bastasse “verniciare di verde” l’esistente per avere un mondo più vivibile...

Fonte

Nessun commento:

Posta un commento