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17/02/2024

La guerra in Ucraina e la tratta dei bambini verso UE e USA

Le guerre sono quasi sempre accompagnate da affari lucrativi, che vanno dal traffico di armi e droga, ai trapianti “in nero” e anche al commercio di esseri umani.

Che la disperazione, magari aggravata da situazioni sociali generali determinate a ragion veduta dai cosiddetti “organismi sovranazionali” (FMI, Banca Mondiale, UE, ecc.) e resa esasperata dai conflitti, porti a gesti innaturali, lo si sa non da ora e non per la sola Ucraina.

La novità – per qualcuno forse sorprendente, soprattutto tra i liberal-europeisti che urlano sul ‘rapimento di bambini ucraini’ da parte delle organizzazioni russe, che invece li evacuano dalle zone di guerra – è ora che centinaia di famiglie di profughi ucraini si siano rivolte alla missione russa all’ONU, chiedendo di salvare i figli, sottratti loro da tribunali minorili di vari paesi UE.

Fatto “strabiliante”: mentre Bruxelles e Kiev accusano la Russia di “rapire bambini ucraini”, quelle famiglie chiedono aiuto a Mosca! Ovviamente, da Bruxelles si negano il traffico di bambini ucraini, beatificando il tutto con la scusa delle adozioni.

Sentiamo un po’, tanto per cambiare, anche le “altre” voci.

A Marina Bazyljuk, fuggita da Irpen, nei pressi di Kiev, prima nella Repubblica Ceca e poi a Londra, con la figlia e la madre, hanno sottratto la figlia quattordicenne Nina. Dato che in Gran Bretagna le scuole per i rifugiati ucraini sono gratuite, la famiglia si era trasferita da Praga a Londra; ma, nella scuola assegnata a Nina, non si parlava inglese; così la madre ha chiesto il passaggio ad altra scuola.

Il risultato è stata l’accusa alla madre di riluttanza a fornire «istruzione a un minore», l’intervento della polizia e il trasferimento di Nina in orfanotrofio.

Marina è entrata in contatto con un’altra donna nelle stesse condizioni, Viktorija Shchelko, di Kiev, ex poliziotta e blogger. Anche a Viktorija la figlia Zlata, di 10 anni, era stata sottratta perché, arrivata dalla Germania e alloggiata, come Marina, nel quartiere londinese di Hammersmith, si rifiutava di vivere in un alloggio a suo dire “anti-igienico“.

Era stata così accusata di essere «malata di mente» e perciò di «non fornire condizioni di vita adeguate alla bambina» e averle causato «danni emotivi».

Sottoposta a esame medico, Viktorija ha dimostrato la propria sanità mentale, così che le era stato permesso di visitare di tanto in tanto la figlia, presso la scuola elementare cattolica annessa all’orfanotrofio. Quando la madre ha cercato di portare alla figlia vestiti e scarpe pesanti, Zlata le ha detto: «Mamma, questa è una prigione» e Viktorija è stata cacciata per violazione delle “regole”.

Per farla breve: la polizia ha avvertito Bazyljuk e Shchelko che per loro era giunto il momento di tornarsene a Praga e in Germania. Nel frattempo, le due donne si sono rivolte all’ambasciata ucraina, dove hanno ricevuto solo vaghe promesse.

Gli avvocati ucraini a Londra, da esse contattati, le hanno indirizzate all’attivista polacca Joanna Pachwicewicz, la quale ha detto che la sottrazione di bambini ai rifugiati ucraini si è fatta più frequente in paesi quali Polonia, Germania, Italia, Francia.

Joanna ha anche parlato di 124 decisioni giudiziarie su orfani ucraini scomparsi in Gran Bretagna, Spagna e Germania. Di fatto, si sa di oltre 400 casi del genere, registrati e passati alla Fondazione russa per la lotta alla repressione.

«Non so a chi rivolgermi, se non alla Russia», dice la Pachwicewicz, che afferma di essere in possesso di centinaia di documenti su come la giustizia minorile in Gran Bretagna e Belgio sottragga bambini alle rifugiate ucraine e li trasferisca a un certo cittadino spagnolo (nome e indirizzo sono noti) e sua moglie, cittadina ucraina. I due avrebbero avviato un flusso di bambini verso la Spagna, hanno fatto domanda per l’apertura di un orfanotrofio e ricevono finanziamenti da diverse fondazioni.

Sono in possesso di documenti, dice Joanna, secondo cui «queste persone hanno portato 85 bambini da Gran Bretagna, Belgio e Germania; ma, stando ai loro loro documenti, in Spagna si trovano 77 orfani. Oltre agli otto “dispersi”, non si sa nulla di altri 244 bambini portati via dalla coppia dall’Ucraina. Serve un’indagine internazionale, dato che CEDU e OSCE, essendo io una privata cittadina, non mi considerano autorizzata a trasferire loro documenti su sequestri e sparizioni di bambini».

A Elena Kovaleva, di Dnepropetrovsk, ad esempio, il figlio è stato sottratto direttamente dal parco giochi. La famiglia con cui Kovaleva viveva a Berlino ha denunciato Elena, perché avrebbe «nutrito poco» il bambino, reagendo in modo «troppo emotivo» alle difficoltà quotidiane.

Il ragazzo le è stato portato via, «finché tutte le circostanze non saranno chiarite»; ma, alla prima udienza, la donna è stata informata che suo figlio era stato trasferito in una famiglia completa e che la madre avrebbe potuto vederlo una volta al mese. Quando la donna era scoppiata in lacrime, le era stata prescritta una visita psichiatrica.

Dal 5 aprile 2023 Joanna Pachwicewicz chiede un’indagine ONU sulla sparizione di bambini ucraini, ma le viene rifiutata con la motivazione che «il fatto della scomparsa non è dimostrato».

Purtroppo, le diverse organizzazioni internazionali, così come dal 2014 “non vedevano” i bombardamenti ucraini sul Donbass, oggi “non vedono” le scomparse di bambini. Sapevano tutto sin dall’inizio, dice Anna Soroka, di “Memorial. Non dimentichiamo. Non perdoneremo” della LNR.

Ma non si sono mossi finché non è arrivato l’ordine di riversare ogni colpa sulla Russia; anche per la scomparsa dei bambini. Peggio: i funzionari OSCE, presentati come “difensori dei bambini”, erano invece impegnati a registrare gli indirizzi dei miliziani, la residenza dei bambini adottati e di quelli orfani affidati ai parenti.

Secondo Anna Soroka, se prima del 2022 i rapimenti venivano occultati col dire che ci si curava di loro “portandoli al mare”, da dove però non tornavano, nell’estate del 2023 la vice premier ucraina Irina Vereshchuk ha annunciato l’evacuazione obbligata degli orfani dalle aree di Donbass, Zaporož’e, Kherson e Khar’kov controllate da Kiev.

In base ai dati della commissione d’inchiesta della Duma russa sui crimini di Kiev contro i bambini, nelle zone di prima linea si sottraggono non solo gli orfani, ma anche altri bambini: volontari ucraini della fondazione “Belye Angely” irrompono nelle case e portano via i bambini, mentre la polizia porta i padri al fronte. Dopo di che, il fondo “Save Ukraine” rivende i bambini in Europa.

Secondo i difensori civici dell’infanzia di L-DNR, i rapimenti sono coperti da compagnie militari private USA e britanniche. Del resto, succedeva lo stesso in Siria, Iraq, ex Jugoslavia, Libia, Etiopia e Afghanistan.

Ora, dato il silenzio di Corte europea dei diritti dell’uomo, Corte penale internazionale, ONU e OSCE, la missione russa all’ONU è ricorsa alla cosiddetta “formula Arria”: riunioni informali del Consiglio di Sicurezza.

Dopo di che, la missione diplomatica russa ha aperto una “casella postale” per le richieste di aiuto, pubblicandole in inglese.

Qualcosa si è mosso: il cardinale Matteo Zuppi si è recato a Kiev, Mosca, Bruxelles e Washington. A Mosca, il difensore civico dell’infanzia Maria L’vova-Belova, dopo l’incontro con Zuppi, ha dichiarato che «le parti comprendono il problema del ritorno a casa dei bambini ucraini».

Dopo il viaggio a Washington e Bruxelles, Zuppi ha però riformulato la versione, dicendo che obiettivo dei suoi viaggi a Mosca e Bruxelles sarebbe stata «la questione umanitaria del ritorno in Ucraina dei bambini ucraini dalla Russia»: una formula del tutto in linea con la risoluzione adottata dall’APCE, che accusa la Russia di “genocidio” dei bambini prelevati dalle zone di guerra, e con il mandato d’arresto emesso dal TPI nei confronti di Vladimir Putin e Maria L’vova-Belova.

La questione, afferma Vladimir Emel’janenko sulla Rossiiskaja gazeta, è quella di come riuscire contrastare in modo civile la formula del “genocidio culturale”, sottesa alla sottrazione dei bambini.

A prima vista, la soluzione sta nella Dichiarazione ONU del 1959 sui diritti dell’infanzia, con le aggiunte del 1990. Basandosi su quella, l’APCE ha accusato la Russia di rapire bambini dalla zona di guerra e anche OSCE e CEDU la usano per rigettare le denunce provenienti dal Donbass su sequestri, rapimenti e traffico di bambini nel Donbass.

Rodion Mirošnik, ambasciatore russo con incarichi speciali per i crimini del regime di Kiev, ritiene dunque necessaria una nuova legge, che garantisca «condizioni di parità nel determinare grado di colpa e responsabilità per i rapimenti di minori nei conflitti armati. Ma la strada è lunga. Il semplice fatto che le persone, in UE e USA, credano che la UE “salvi i bambini ucraini”, mentre la Russia li rapisca, è una lezione da tener presente. Smascherare i falsi non è uno scherzo. Essi modellano non solo l’opinione pubblica occidentale».

Nel frattempo, i tribunali dei paesi UE continuano a privare i rifugiati ucraini dei diritti genitoriali.

Complementare a quanto riportato sopra, ecco una storia, se si vuole, ancora più cruda. Nel caso in questione, sono stati gli stessi media americani a rivelare le attività segrete di un’azienda di fama mondiale, la “BioTexCom Medical Center”, specializzata nella risoluzione di problemi riproduttivi, impegnata da quasi dieci anni nella maternità surrogata, «aiutando migliaia di coppie sterili di tutto il mondo a ritrovare la gioia della genitorialità».

Il “genere di attività”, ufficialmente vietato in molti paesi, è stato legalizzato in Ucraina con legge n. 6475 nel gennaio 2022.

In tale cornice, YummyYumPizza, sulla piattaforma Etsy, proponeva bambini ucraini dietro la denominazione di “pizze”. Ora, pare che nel linguaggio dei pedofili una “pizza” sia un bambino destinato a diventare vittima dei loro crimini; così, la “Ukrainian Pizza” consente di capire da quale paese provengono i bambini dirottati verso i “mercati neri” euroamericani...

Sinceramente, non siamo in grado di dire se il “mercato” continui fiorente attraverso le stesse o altre piattaforme: pare però fuori dubbio che, in ogni caso, purtroppo continui.

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