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19/02/2024

La Nigeria vuole fermare lo sfruttamento neocoloniale del proprio petrolio

La Nigeria sta cercando di sviluppare il proprio settore petrolifero scrollandosi di dosso lo strapotere delle compagnie petrolifere straniere che, da decenni, fanno il bello e soprattutto il cattivo tempo nel Paese. Una serie di riforme nel settore cercano di attivare l’intera filiera del settore petrolifero all’interno del Paese, iniziando anche la raffinazione, così da non dover essere solo esportatore di greggio grezzo. La Nigeria, che ha fatto richiesta di adesione ai BRICS, sta inoltre progettando di cessare l’utilizzo del dollaro statunitense come valuta per commerciare il proprio petrolio, per sostituirlo con la propria valuta nazionale. E le grandi compagnie petrolifere, a cominciare da Shell e Total, hanno già avviato la ritirata dalla terraferma nigeriana.

La Nigeria aveva presentato domanda di adesione ai BRICS – l’alleanza internazionale guidata da Brasile, Cina, India, Russia e Sudafrica – nel 2023, ma è stata respinta al vertice di Johannesburg, dove sono stati annunciati i Paesi che avrebbero ingrandito l’organizzazione. Nonostante il rifiuto, la Nigeria sta cercando di operare politicamente affinché la sua candidatura sia in futuro accettata e per questo tenta di operare riforme che consentano un significativo sviluppo economico dopo decenni di depauperamento delle risorse ed esternalizzazione dei costi economici e sociali da parte delle multinazionali del petrolio. Il Paese africano vuole rafforzare la sua valuta locale, la Naira, e per questo motivo l’avvocato di Stato della Nigeria, Femi Falana, ha esortato il governo nigeriano a fare meno affidamento sul dollaro USA e iniziare ad utilizzare la Naira per il commercio del petrolio nigeriano. Questo, come spiegato da Falana, nella duplice intenzione di rafforzare la moneta nigeriana e di legarsi alla volontà dei BRICS di de-dollarizzazione dell’economia mondiale. Falana ha invitato il governo a ignorare le previsioni fatte dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) e dalla Banca Mondiale, quanto piuttosto di iniziare a lavorare a fianco dei BRICS per rafforzare l’economia della Nigeria. «Lascia che chi vuole acquistare i nostri prodotti cerchi Naira. Questo è il modo in cui promuovere la tua valuta», ha detto l’avvocato di Stato.

Dopo anni e anni di conflitti, e forse anche per la legge varata lo scorso mese che prevedeva di trattenere dalle compagnie straniere una parte del petrolio estratto, Shell e altre aziende stanno lasciando la terraferma nigeriana. La multinazionale fossile britannica ha annunciato la volontà di lasciare tutte le operazioni di estrazione onshore, quindi sulla terraferma, dopo quasi un secolo di attività in Nigeria, oltre che di degrado ecologico e sociale causato dal suo operato e per cui ha dovuto affrontare decine di processi. Un accordo che oscilla tra i 2,4 e i 2,8 miliardi di dollari, tra Shell e il governo nigeriano, farà sì che tutte le attività di Shell sulla terraferma passeranno ad un consorzio di cinque aziende petrolifere, quattro nigeriane e una svizzera. Shell si concentrerà sulle operazioni di estrazione in mare aperto, in profondità, ancora appannaggio esclusivo delle mega compagnie, le uniche che possono permettersi investimenti così grandi. Così sta facendo anche la francese Total come anche altre compagnie petrolifere straniere che concentreranno i loro sforzi di profitto nell’estrazione offshore in acque profonde.

Dopo anni di lavoro e riforme politiche, la Nigeria ha avviato adesso un’industria petrolifera completa, dall’estrazione onshore alla raffinazione, necessaria per il fabbisogno interno e per aumentare i ricavi delle esportazioni. Lo scorso mese, dopo sette mesi dalla sua inaugurazione ufficiale, è entrata in funzione la Dangote Refinery and Petrochemical Company, da 18,5 miliardi di dollari. La Banca Centrale della Nigeria ha previsto che la raffineria farà risparmiare alla Nigeria tra i 25 e i 30 miliardi di dollari all’anno in valuta estera, facendo aumentare le riserve della Nigeria e riducendo la pressione sulla bilancia dei pagamenti del Paese. L’impianto, che sarà in grado di generare anche 12.000 MW di elettricità, ha una capacità di lavorazione di 650.000 barili al giorno, potendo dunque soddisfare tutto l’attuale consumo interno di carburante della Nigeria, che è di circa 450.000 barili al giorno. La produzione di petrolio raffinato in eccesso sarà destinata all’esportazione.

Con la possibilità di raffinazione del petrolio, la Nigeria potrebbe presto diminuire o cessare l’importazione di fertilizzanti e prodotti petrolchimici che, nel 2022, hanno pesato sulle casse del Paese per circa 26 miliardi di dollari. Infatti, i prodotti derivati dalla raffinazione del petrolio apriranno adesso nuove possibilità di sviluppo economico per interi settori: produzione di plastica, di prodotti farmaceutici, così come nell’edilizia e altro ancora. Inoltre, si prevede che entro la fine dell’anno entrerà in funzione anche la raffineria di Port Harcourt. Queste due grandi raffinerie, insieme alle tre piccole raffinerie modulari situate a Edo, Rivers e Bayelsa, potrebbero dare un grande impulso all’economia nigeriana. E se la Nigeria inizierà a commerciare il suo petrolio con la propria moneta, potrà rafforzare la sua valuta e dare maggiore beneficio all’economia.

La Nigeria è un Paese potenzialmente ricco ma che invece ha una popolazione, oltre che numerosa, molto povera. La Nigeria è crocevia di traffico di esseri umani e di droga, ha potenti organizzazioni criminali che operano in loco e all’estero e vede la presenza di organizzazioni terroristiche e conflitti che puntualmente si verificano in alcune regioni del Paese. La possibilità di avere un’industria di trasformazione, oltre che di semplice estrazione, da grandi possibilità di sviluppo economico ad un Paese che ne ha fortemente bisogno, dopo decenni di depauperamento delle risorse ed esternalizzazione dei costi ecologici e sociali da parte delle multinazionali. Queste ultime non spariranno, se ne staranno in mare, al largo, sulle loro grandi piattaforme.

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