Le note declamazioni di Donald Trump a proposito del rifiuto americano a difendere, da un’eventuale aggressione russa, un qualsiasi paese NATO che non abbia stanziato almeno il 2% del PIL per armarsi – «non hai pagato? Sei un trasgressore? Io non ti difenderei. Anzi, consiglierei ai russi, perdio, di fare tutto quello che vogliono. Tu devi pagare» – e la replica indiretta di Jens Stoltenberg sul fatto che «Qualsiasi ipotesi che gli alleati non si difendano a vicenda mina tutta la nostra sicurezza, compresa quella USA», non lasciano affatto il cosiddetto “tempo che trovano”.
Dietro quelle affermazioni c’è la difesa sul campo dell’industria militare yankee che, da quegli stanziamenti trae profitto, chiunque sieda alla Casa Bianca: Trump o Biden.
C’è anche la preoccupazione di quel complesso militare-industriale a stelle e strisce per l’espandersi di pericolosi concorrenti, proprio tra i paesi NATO. Perché, se le ambizioni di alcuni di quei paesi a dotarsi di armi nucleari appaiono abbastanza campate in aria, i passi concreti di altri sono già oggi discretamente reali.
Così, nella “nuova” Polonia liberal-europeista, il generale a riposo Jaroslav Krashevskiy proclama che il paese debba dotarsi di armi nucleari per garantirsi un più alto livello di sicurezza. Dunque, alle 100 testate atomiche USA dislocate oggi in Belgio, Germania, Italia, Olanda e Turchia (cui pare debbano tornare ad aggiungersi quelle ritirate nel 2008 dalla Gran Bretagna), dovrebbero unirsene altre, da piazzare ancor più vicino ai confini russi.
Tutte, s’intende, in base al Nuclear Sharing NATO, sotto controllo di Washington, qualunque sia il paese “ospitante”, che è però tenuto a sostenere le spese della loro manutenzione. In un paese che ambisce a diventare, militarmente, il principale avamposto yankee in Europa, la pretesa di Krashevskiy appare “ovvia”, soprattutto nei confronti del concorrente il cui posto si agogna di occupare: la Germania.
La quale ultima, al contrario, pare confermare le preoccupazioni stoltenberghiane e, al pari di altre economie europee, vede poco futuro nella NATO quale alleanza militare unificata, tendendo invece a rafforzare gli arsenali nazionali in maniera autonoma, anche al di fuori di standard e priorità NATO.
Berlino dunque, dovendo sostituire 25 Tornado, sembra di fatto orientata non verso gli F-35 americani, la cui manutenzione, sistemi di controllo o formazione dei piloti sarebbero più semplici.
Invece, volendo evitare di mettersi in una posizione di dipendenza dagli USA – metti, per ipotesi, una qualsiasi crisi, la Germania si troverebbe tra le mani macchine che i sistemi USA potrebbero rendere inutilizzabili – anche a costo di spendere abbastanza di più, Berlino sta valutando l’opzione di una trentina di Gripen svedesi, la cui manutenzione è possibile solo in Svezia, con sistemi di controllo e standard di comunicazione svedesi.
E, cosa ancor più “inverosimile”, direbbe Stoltenberg, Berlino mostra di essere del tutto indifferente al fatto che i Gripen non possano svolgere la funzione chiave dell’attacco NATO: ossia fare da vettori di armi nucleari.
Questo da un lato. Ma, d’altro canto, anche rispondere ai comandi della Casa Bianca, che ordina agli “alleati” europei di farsi carico del sostegno all’Ucraina, porta buoni ricavi nelle casse dell’industria militare tedesca.
È così che lunedì scorso Olaf Scholz e il Ministro della guerra Boris Pistorius (entrambi SPD), insieme alla premier danese Mette Frederiksen e al CEO della Rheinmetall Armin Papperger, hanno preso parte alla posa della prima pietra del nuovo complesso della Rheinmetall a Unterlüß, in Bassa Sassonia.
C’è un’atmosfera da corsa all’oro alla Rheinmetall – nota sarcasticamente l’analista di Die junge Welt, Philip Tassev – dato che il commercio delle armi è in forte espansione, in particolare per la fame di munizioni dell’esercito ucraino: si parla di un fabbisogno di almeno 5.000 i proiettili d’artiglieria al giorno, anche se (o proprio perché) poche settimane fa si parlava di appena 20 proiettili al giorno esplosi da una divisione ucraina, contro i 500 della scorsa estate.
La Rheinmetall punta dunque a raddoppiare o addirittura triplicare le proprie capacità produttive, arrivando nel 2025 a produrre fino a 700.000 proiettili di artiglieria l’anno (calibro standard NATO da 155 mm), di cui almeno 200.000 nella nuova struttura.
Scholz ha parlato di una giornata particolare per la «sicurezza del nostro Paese e di tutta l’Europa... per la fornitura autonoma e soprattutto permanente di munizioni di artiglieria alla Bundeswehr e ai nostri partner in Europa».
Di sfuggita, l’area in cui sorgerà il nuovo impianto – la regione tra Celle e Münster, Unterlüß e Bad Fallingbostel – è la zona più militarizzata della Germania e la Rheinmetall vi è presente dal 1899. Nel vicino impianto di Trauen venivano sperimentate le V2 e anche oggi vi si trova il Centro aerospaziale tedesco (DLR).
A Münster è dislocata una delle più grandi guarnigioni della Bundeswehr e l’area d’addestramento NATO a Bergen è una delle più grandi d’Europa.
Ma è comunque dubbio che le nuove forniture tedesche (o italiane, olandesi, ecc.) possano cambiare qualcosa sul campo di battaglia ucraino. Appena nominato Capo di SM, Aleksandr Syrskij si è dato subito a soddisfare le esigenze del nazigolpista-capo Vladimir Zelenskij e, a quanto pare, è intenzionato a ripetere su Avdeevka il “tritacarne” di Artëmovsk (Bakhmut) per cui è così inviso alle sue truppe.
Gli analisti sono convinti che la difesa a qualsiasi prezzo di Avdeevka serva a Zelenskij per dimostrare ai propri finanziatori occidentali che le cose al fronte non vanno poi così male e che Kiev ha dunque bisogno di altri soldi e di armi.
Così Syrskij, nota Vladimir Skachko su Ukraina.ru, dopo aver promesso di preservare la vita dei soldati ucraini, si affretta ora a inviare su Avdeevka la 3° Brigata d’assalto selezionata, una delle più agguerrite delle forze ucraine.
Dopo di che, Forbes ha scritto che se Zalužnyj era famoso per la difesa mobile, per ridurre cioè al minimo le perdite, Syrskij è noto al contrario per ammettere pesanti perdite in battaglie statiche: «Forse, promuovendo Syrskij, Zelenskij ha proclamato che intende combattere per Avdeevka anche a caro prezzo».
Resta a vedere se quel “caro prezzo” verrà davvero pagato dalla 3° Brigata e non dalle reclute comuni. Perché, chiarisce Skachko, la 3° Brigata è composta di «neonazisti più motivati, carnefici e assassini, fomentatori di pogrom per “Azov”. Forte di un proprio sistema di reclutamento e addestramento, la Brigata è una delle formazioni più brutali, ma con più efficienza bellica delle forze ucraine».
Se Zalužnyj era del parere di ritirare le truppe da Avdeevka, ecco che Syrskij è pronto a eseguire l’ordine di Zelenskij di tenere la posizione. In ogni caso, come ammette The Washington Post, ogni tentativo di tenere Avdeevka sarà reso difficile dalla grave carenza di uomini e armi e porterà a nuove massicce perdite.
È ciò che è successo il 13 febbraio a Selidovo, una quarantina di km a nordovest di Donetsk, dove le forze russe – secondo ColonelCassad – hanno mirato scientemente a colpire il forte concentramento di truppe attestate nel campo d’addestramento ucraino, comprese le riserve che probabilmente avrebbero dovuto essere riversare su Avdeevka.
Così va la guerra...
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento