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26/02/2024

Appunti per l’imminente instant-book “Il pensiero di Navalny”

Vogliamo con questo nostro articolo fornire un aiuto: un promemoria su chi fosse Alexei Navalny, su quali fossero le sue convinzioni, le sue frasi, le sue azioni, prima che i media occidentali – che lo descrivono come un martire dei valori democratici/liberali – pubblichino, come già è avvenuto per Zelensky, un nuovo instant book che raccolga il suo supposto pensiero.

In fondo tutti i riferimenti documentati, più una interessante videografia per un DVD da fornire in omaggio al volume.

La morte di Alexei Navalny in un campo di prigionia russo il 16 febbraio ha suscitato un iniziale sgomento, seguito da un’ondata di elogi da parte dei politici e dei media occidentali, in totale strumentalizzazione ai fini della loro campagna anti-russa, in atto da oltre un decennio.

Immediata l’accusa secondo cui il presidente russo Vladimir Putin avrebbe fatto uccidere il leader dell’opposizione sostenuto dall’Occidente. Tali accuse possono essere vere o meno; Putin è stato a lungo credibilmente collegato all’assassinio di rivali politici.

Ma la campagna per ritrarre Navalny come un “eroe liberale della democrazia e dei diritti umani” – forse raggiungendo il suo primo apice con il film “Navalny” del 2022, che ha vinto l’Oscar per il miglior film documentario, mentre il secondo apice è in atto – è pura finzione, un’invenzione della propaganda occidentale [1].

Ora che Navalny è morto, occorrerebbero compostezza e rispetto, davanti alla sua scomparsa prematura. Non pensiamo sarebbe stato necessario rivangare le sue passate imprese, molte per nulla lodevoli: come si dice, parce sepulto.

Occorreva pretendere, fermamente ma senza isterismi, un accertamento credibile delle circostanze della sua morte; non ci piacciono e non batteremo mai le mani di fronte ad episodi di morte in carcere: in Russia, in Cina, negli USA, a Guantanamo, in Germania, in Italia, ovunque nel mondo.

Ma invece continua, in tutto l’Occidente, una martellante campagna che descrive Navalny totalmente in positivo, un martire simbolo della libertà, in un’ondata di isteria staccata dalla realtà che non si vedeva – appunto – dai tempi di Zelensky.

Ci troviamo allora a dover ricordare, ai vivi occidentali, le intollerabili narrazioni false che strumentalizzano un morto russo come eroe. Parlando di lui senza acrimonia. Ma se è pur vero che i morti meritano, di qualunque parte essi siano, rispetto, non si può però astenersi dal diritto di critica e giudizio sulle loro convinzioni, scelte, azioni, quando erano vivi: specie quando altri vivi, per scopi poco nobili e non per amor di verità, provano a violentare la realtà fattuale a loro piacimento.

Navalny, purtroppo, rimane anche da morto ciò che era in vita: un razzista di estrema destra dichiarato, sia o non sia stato un oppositore di Putin. Non basta essere oppositore di Putin per diventare “l’uomo giusto” o addirittura il “Nuovo Mandela” [2].

È partito come un blogger ultranazionalista di estrema destra, che ha dichiarato più volte la sua volontà di “cacciare tutti gli immigrati dalla Russia” [1-3].

La sua carriera politica inizia nel 2000 quando si iscrive al partito Jabloko, liberale d’ispirazione filo-occidentale, del quale diviene dirigente locale a Mosca. Dal 2005 riceve finanziamenti dalla NED (National Endowment for “Democracy”, virgolette non casuali), ONG con sede a Washington e finanziata dal Congresso degli Stati Uniti.

I primi problemi per Navalny iniziarono nel 2006, quando il municipio di Mosca vietò la sua annuale manifestazione nazionalista “Marcia Russa”, stigmatizzandone le connotazioni razziste e xenofobe. Poco dopo, Jabloko lo espulse dal partito per le sue posizioni estremiste [1].

Nel 2007 fondò il movimento politico ultranazionalista “Popolo”: tantissimi i punti in comune con i programmi di movimenti simili, fra i quali la nostra Lega Nord.

Seminare odio

In realtà, i paragoni con l’estero possono indurre in errore, data la complessa realtà della Federazione Russa post-sovietica. Diciamo che Navalny era un razzista di estrema destra e nazionalista russo, che si scagliava contro l’immigrazione e paragonava i musulmani a “mosche e scarafaggi”.

È ironico che i liberali occidentali, che vedono Donald Trump come un burattino della Russia e di Putin, piangano una figura la cui politica in tutti gli aspetti essenziali è molto simile a quella di Trump. Confrontiamo il famigerato attacco di Trump agli immigrati clandestini nel 2016 – “Quando il Messico manda la sua gente, non mandano i migliori… Portano droga, portano criminalità, sono stupratori” – con le osservazioni di Navalny in un’intervista del 2012: “Gli immigrati dall’Asia centrale portano [in Russia] la droga”. [1]

Come Trump, Navalny ha incoraggiato e accolto con favore il sostegno delle frange più estreme dell’estrema destra. Nel 2007, Jabloko, appunto il più antico partito liberale russo, ha cacciato Navalny per le sue “opinioni nazionaliste” e per la partecipazione alla Marcia Russa, una manifestazione annuale che riunisce migliaia di nazionalisti, monarchici e suprematisti bianchi di estrema destra russi sotto lo slogan “Russia per i Russi etnici”.

Navalny ha poi riassunto il suo atteggiamento verso i musulmani e verso le altre “razze” in uno strepitoso video; egli si presenta come un “nazionalista certificato” che vuole sterminare i musulmani “mosche e scarafaggi”, il suo sfogo interrotto da inquadrature di uomini musulmani barbuti. Nel video, Navalny estrae una pistola e spara a un attore che indossa una kefiah, che viene ritratto mentre cerca di attaccarlo. Guardare per credere...

Come abbiamo visto in ogni genocidio moderno, dall’Olocausto nazista al genocidio in Ruanda fino all’attacco israeliano a Gaza, paragonare gli esseri umani a insetti e parassiti è un segno distintivo della propaganda pro-genocidio, che apre la strada alle uccisioni di massa, disumanizzando l’umanità del gruppo perseguitato.

È allora amaro ma poco sorprendente vedere politici, esperti e celebrità “conservatrici” abbracciare razzisti e ultranazionalisti che sposano la retorica genocida. Dopotutto, sostenere i nazisti e il genocidio è ormai una cosa ‘normale’ per gli imperialisti occidentali: dall’aiutare i neonazisti in Ucraina alla standing ovation del Parlamento canadese a un veterano delle Waffen-SS, al continuo sostegno al genocidio dei palestinesi a Gaza: è naturale che gli stessi individui e istituzioni abbraccino Navalny.

Tuttavia, quando i politici e i media borghesi “progressisti” in Occidente appoggiano anche loro simili “alleati scomodi”, cercano di sorvolare le sgradevoli opinioni di estrema destra di queste figure e di dipingerle come icone di “libertà” e democrazia liberale.

Nelle sue dichiarazioni dopo la morte di Navalny, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha detto che Putin era responsabile della morte di Navalny e ha aggiunto: “Le persone in tutta la Russia e nel mondo piangono Navalny oggi perché era tante cose che Putin non era: era coraggioso. Aveva dei principi. Era dedito alla costruzione di una Russia dove esistesse lo stato di diritto e dove si applicasse a tutti”. Esattamente, Joe, un vero santomartire.

A margine, constatiamo come i tributi a Navalny da parte di politici e celebrità riformiste squalifichino ancora una volta il loro preteso disprezzo per la politica razzista e di estrema destra: politica che in Navalny ha visto un “ideologo” perfetto.

Prevale invece il criterio standard della borghesia, secondo il quale coloro che sostengono gli interessi dell’imperialismo statunitense vengono acclamati come campioni della “libertà”, mentre coloro che si oppongono agli interessi dell’imperialismo statunitense vengono diffamati.

Ricordiamo il concerto degli U2 in cui Bono, amico di lunga data di criminali di guerra come George W. Bush e Tony Blair, ha portato il pubblico a cantare il nome di Navalny. “A quanto pare Putin non direbbe mai e poi mai il suo nome“, ha detto Bono. “Così ho pensato che stasera le persone che credono nella libertà debbano dire il suo nome.”

Per ribadire: Bono crede che tutte le “persone che credono nella libertà” debbano inneggiare il nome di un razzista e suprematista russo [1].

Contrariamente a quanto vorrebbero farci credere Joe Biden, Bono e gli altri esponenti del coro, il semplice fatto di essere russo e di opporsi a Vladimir Putin non rende qualcuno un’icona di libertà. L’imperialismo statunitense e i suoi alleati hanno una lunga tradizione nel formare e finanziare le forze di estrema destra all’estero, per procura.

Per citare un esempio ovvio, negli anni ’80 gli Stati Uniti armarono e finanziarono i mujaheddin afgani, che avrebbero poi formato i Talebani, per indebolire l’Unione Sovietica in seguito all’invasione dell’Afghanistan da parte di quest’ultima.

Ci sono molti altri esempi: durante la Guerra Fredda gli Stati Uniti finanziarono qualsiasi dittatore di destra su cui si poteva contare per combattere il “comunismo”, da Francisco Franco allo Scià dell’Iran ad Augusto Pinochet. Oggi, gli Stati Uniti e l’UE continuano ad armare e sostenere il regime genocida di Netanyahu, il regime più di destra nella storia di Israele, mentre porta avanti la pulizia etnica e lo sterminio della popolazione palestinese.

Da suprematista russo a “liberale” filo-occidentale

Nel 2010 una vera svolta: Navalny partecipò al programma Yale World Fellows, organizzato dall’Università di Yale per supportare la crescita di nuovi leader: “nuovi leader” come Juan Guaidò autoproclamato presidente venezuelano, ora nel dimenticatoio: altoparlanti della CIA, in una frase [1,2,4].

Navalny ha avuto anche guai legali per appropriazione indebita, truffe e maneggio di consistenti somme provenienti dall’estero [1,2]. Una sua grande abilità di comunicatore è stata quella di far passare quei processi come una conseguenza del suo impegno politico e di far passare se stesso come un prigioniero politico.

Durante i suoi periodi di detenzione, in occidente venne dipinto come ‘prigioniero politico’, sia da Amnesty International che dalla ong Memorial di Mosca, finanziata anch’essa dalla statunitense National Endowment for “Democracy”. Amnesty poi mutò opinione, togliendogli la medaglia da “eroe” [4].

Resta il fatto che Aleksej Navalny diventa, già da vivo, molto popolare nel mondo occidentale, dove anche grazie alla russofobia montante, ha goduto di una popolarità che invece non trova riscontri in Russia.

Venendo al nostro piccolo arengo mediatico, che Navalny sia stato un razzista e suprematista lo scriveva, del resto, La Stampa in quest’articolo dal titolo abbastanza inequivocabile pubblicato nel 2012: “Il blogger xenofobo che unisce la piazza contro lo zar Putin”.

Ma i quotidiani di ieri, si sa, specialmente italiani, foderano le pattumiere di oggi.

Liberal washing

Alexei Navalny è stato quindi un suprematista bianco la cui storia è ben nota. La narrazione totale, dopo la morte, da parte dei media occidentali ha completamente cancellato la sua storia passata di razzismo più estremo e feroce.

Se le sue opinioni politiche vengono menzionate, viene educatamente definito un “ultranazionalista”. Appena menzionati sono i milioni di dollari provenienti dai finanziamenti statunitensi, britannici e tedeschi alla sua organizzazione.

In questa narrazione parziale sono sempre omesse le accuse dettagliate dei pubblici ministeri russi che accusano Navalny di “riabilitazione del nazismo” e di “finanziamento dell’estremismo”.

Sono note le numerose dichiarazioni di Navalny, la sua partecipazione a marce razziste piene di svastiche e altri simboli nazisti e i suoi saccheggi di piccoli negozi di proprietà di migranti [6]. Eppure, i media occidentali hanno sempre colmato Navalny di elogi e ingenti finanziamenti.

Ora, da morto, è scandalosamente paragonato al dottor Martin Luther King Jr. e a Nelson Mandela. In occidente, i media appaiono sconvolti dalla morte di Navalny e dalle pessime condizioni della sua prigionia: non mostrano alcuna preoccupazione per i prigionieri politici come Mumia Abu-Jamal, Leonard Peltier o Julian Assange e tanti altri. La differenza è che Assange e Abu-Jamal hanno sfidato il potere della classe dirigente statunitense, mentre Navalny lo ha abbracciato.

I siti YouTube di estrema destra di Navalny hanno 8 milioni di abbonati e uno staff di 130 persone. Il video che mostra Navalny che chiama i popoli dell’Asia centrale e i musulmani del Caucaso in Russia “scarafaggi che devono essere sterminati” mentre spara è ancora pubblicato su Youtube. I video della marce razziste scompaiono censurati, ma alcuni sopravvivono [6].

Joe Biden e la sua bestia nera

Joe Biden ha in Putin la bestia nera sua e di suo figlio Hunter, notoriamente coinvolto negli affari dell’Ucraina post-2014. Proprio nel momento in cui i democratici al Congresso stavano tentando di mettere sotto accusa Trump per la furia fascista del 6 gennaio, il presidente Joe Biden rese il tentativo abbastanza patetico, poiché espresse sostegno a un leader politico russo: Navalny appunto, all’epoca alleato con una banda paragonabile ai neofascisti Proud Boys in USA [1].

Nel suo primo contatto con il presidente russo Vladimir Putin in qualità di presidente USA, Biden ha immediatamente insistito per il rilascio del “candidato anti-Putin” Navalny. La narrazione su Navalny, descritto come un giornalista dissidente, un blogger investigativo o un attivista anti-corruzione, ha preso il volo.

Ma è stata una scelta difficile da sostenere, persino per la propaganda occidentale. Navalny non era uno sconosciuto. Per molti anni è stato sotto i riflettori, nei media, nei video e nelle strade nelle mobilitazioni fasciste che chiedevano l’espulsione di tutti i popoli non russi dalla Russia.

Navalny è stato una forza trainante dell’annuale “marcia russa” antimusulmana, antisemita e anti-immigrazione, a Mosca. I suoi temi centrali sono “Riprendiamoci la Russia”, “La Russia per i russi” e “Smettere di nutrire il Caucaso” – quest’ultimo una richiesta di porre fine ai sussidi federali alle regioni più povere, meno sviluppate e in gran parte musulmane della Russia. Con le dovute proporzioni, rieccheggiano qui le rivendicazioni della nostra Lega [3]

Le manifestazioni della Marcia Russa erano raduni di elementi nazisti, monarchici e gruppi religiosi ortodossi. In mostra c’erano svastiche, bandiere confederate, insegne religiose e appelli alla “vendetta bianca”. A queste manifestazioni ultranazionaliste si sono contrapposte per la maggior parte degli anni manifestazioni di sinistra guidate dal Fronte antifascista russo, attivisti di strada progressisti e giovani comunisti [3-4]. Mai nominati, qui da noi...

Navalny è l’organizzatore del “Movimento contro gli immigrati clandestini” e della “Grande Russia”; ha chiesto l’espulsione di tutti i popoli non bianchi e non russi dal Caucaso e dall’Asia, siano essi cittadini che vivono in quella che ancora fa parte della Federazione Russa o provenienti dalle repubbliche circostanti dell’Asia centrale, che furono separate dopo il crollo dell’Unione Sovietica.

In video Navalny ha fomentato la violenza settaria etichettando la popolazione del Caucaso come “denti marci, da estrarre” e “scarafaggi che devono essere sterminati”.

Navalny ha chiesto una privatizzazione aggressiva di un maggior numero di industrie russe, tagli alla spesa pubblica, totale libertà per le imprese e una drammatica inversione delle garanzie e dei benefici sociali che ancora rimangono nella Federazione Russa [1,2,3,4].

Attivista “anti-corruzione”

L’attivista “anti-corruzione” è un riciclo più recente di Navalny, quando il tasto ultranazionalista è risultato poco musicale per l’occidente [3,4]. Peccato che Navalny stesso sia stato arrestato numerose volte con accuse di corruzione e appropriazione indebita, provenienti da ex collaboratori. Molte accuse si basano sul saccheggio delle organizzazioni da lui fondate.

Ma ciò non ha impedito agli oligarchi russi e alle agenzie occidentali di finanziare la sua “Fondazione anticorruzione” o di aiutarlo a mantenere uffici e personale in 43 città in tutta la Russia. Ciò non ha impedito al National Endowment for Democracy degli Stati Uniti di fornire 5 milioni di dollari in finanziamenti a Navalny e ad altre campagne “anti-corruzione”. Naturalmente sempre in casa altrui.

Come nel caso di Bolsonaro in Brasile o di Trump negli Stati Uniti, le sue opinioni reazionarie sono state mascherate da “campagne contro la corruzione“. Naturalmente, c’è corruzione in Russia. Il capitalismo, un sistema economico basato sul furto del lavoro umano e sull’espropriazione privata delle risorse pubbliche, è per sua stessa natura corrotto.

Le “campagne anticorruzione” possono attrarre persone infuriate per la palese disuguaglianza del sistema. Ma, intenzionalmente, tali campagne non hanno alcun programma politico, oltre alla sostituzione degli attuali politici in carica.

Nel 2021, Navalny ha cercato di rimodellarsi opponendosi alle nuove norme pensionistiche che innalzano l’età pensionabile. Si tratta di un capovolgimento della posizione che lui e il suo “Partito del Progresso” hanno mantenuto per anni: aumentare l’età pensionabile e liquidare il fondo pensione statale.

La sua proposta di aumento dell’età pensionabile, da 60 a 65 anni per gli uomini entro il 2028 e da 55 a 63 anni per le donne entro il 2034, è agli atti [3].

Dissidente “liberale” lost in translation

Navalny viene costantemente definito dagli occidentali un dissidente “liberale”. Ciò implica che sia progressista. Ma “Liberale” ha un significato molto diverso in Russia rispetto al concetto statunitense, dove con “liberal” si identifica un vago appello a maggiori programmi sociali, maggiore inclusione o liberalizzazione delle leggi reazionarie sull’aborto e sui diritti LGBTQ2S+.

Essere un “liberale” in Russia significa sostenere la “liberalizzazione”, cioè le politiche neoliberiste e l’economia del libero mercato selvaggio e senza limiti. Un termine più accurato è “liberali del mercato”, cioè coloro che sostengono una maggiore libertà per i mercati capitalisti. La liberalizzazione significa una “apertura” del commercio e un allentamento delle normative governative che limitano gli affari da parte delle multinazionali.

Quando i media finanziari negli Stati Uniti o UE applaudono Navalny come la “migliore speranza per la liberalizzazione della Russia”, intendono un ritorno al saccheggio aperto dell’industria e delle risorse da parte dei capitalisti occidentali durante gli anni di Boris Eltsin del 1991-2000.

Questa “liberalizzazione” è stata definita il collasso economico più catastrofico in tempo di pace di un paese industrializzato. Riportiamo in Appendice una breve storia della Russia di Eltsin, per capire quale disastro possa significare, in Russia, il termine “liberale” [3,4].

Riassumendo

Concludiamo qui. Riassumiamo dicendo che la parabola e morte di Navalny è una storia molto triste: da fanatico suprematista russo a ultraliberista selvaggio “per il bene della Russia”, è diventato alla fine la bandiera della russofobia occidentale e della speranza di un nuovo saccheggio.

Appendice: gli anni di Eltsin e il libero mercato [3,4]

Il crollo dell’URSS nel 1991, sotto il presidente Eltsin, costituì una rottura con un’economia socialista pianificata e con la totale proprietà statale dell’industria. L’introduzione di un’economia di mercato capitalista ha portato al saccheggio di quasi tutti i settori dell’economia, in particolare manifatturiero, energetico e bancario. Le fattorie statali furono smembrate senza un piano e i sussidi governativi alle industrie e all’agricoltura furono tagliati. Terminati i controlli sui prezzi. In due anni più di 15.000 aziende sono passate dallo Stato a privati.

Un’ondata di capitali statunitensi, tedeschi e di altri paesi dell’Unione Europea in Russia – per acquistare beni e risorse pubblici a prezzi stracciati – ha portato a un caotico “tutti contro tutti”, seguito da depressione economica, iperinflazione e disoccupazione di massa. Il sistema sanitario nazionale e i programmi sociali furono del tutto eliminati; l’aspettativa di vita è crollata e la mortalità infantile è aumentata vertiginosamente.

Allo stesso tempo, un piccolo gruppo di oligarchi d’affari, magnati e veri e propri pirati divennero miliardari e trasferirono quanta più ricchezza possibile verso banche occidentali e conti offshore. Nessuna di questa ricchezza rubata è stata reinvestita nella modernizzazione dell’industria russa.

Guerre settarie sono scoppiate in Cecenia, Georgia e Azerbaigian, tutte guidate dalla competizione per il controllo delle risorse ora privatizzate.

Eltsin era completamente accondiscendente alle richieste capitaliste statunitensi ed europee. Mentre l’Unione Sovietica come potenza mondiale crollava, lo stesso brutale “libero mercato” si dispiegava in tutta l’Europa orientale. L’alleanza militare della NATO, comandata dagli Stati Uniti, si espanse attraverso l’Europa orientale negli anni ’90; questa riconquista di una vasta regione fu un processo spietato.

La Russia ha posto fine alle sue alleanze commerciali e militari con i paesi dell’Europa orientale, la Repubblica popolare democratica di Corea, Cuba e i paesi in via di sviluppo dell’Asia occidentale e dell’Africa. Ciò ha consentito un’ondata di guerre di ricolonizzazione da parte degli Stati Uniti nel mondo arabo e musulmano, compresi Iraq e Afghanistan, insieme alla guerra che ha smantellato con la forza la Jugoslavia.

Un’ondata di rabbia di massa e un secondo tentativo di impeachment per corruzione portarono alle improvvise dimissioni di Eltsin il 31 dicembre 1999, in cambio della promessa di immunità per lui. Ciò ha lasciato il primo ministro Vladimir Putin come presidente ad interim.

Putin non ha invertito la proprietà capitalista in Russia. Né riuscì a ricomporre l’Unione Sovietica. Ma iniziò a riorganizzare l’industria russa, a imporre controlli sui saccheggi aperti da parte dei capitalisti occidentali e a rinazionalizzare alcune industrie essenziali. L’iperinflazione è stata tenuta a freno.

L’economia russa oggi è più piccola di quella brasiliana. Le materie prime – petrolio, gas, minerali, cereali e legname – sono le sue principali esportazioni. La capacità industriale della Russia è distrutta; non è più la superpotenza di 30 anni fa.

Nel 2014, durante l’amministrazione Obama/Biden, gli Stati Uniti hanno finanziato un colpo di stato fascista in Ucraina, ex Unione Sovietica. Ciò ha portato alla prima resistenza a 15 anni di espansione USA/NATO. Putin ha sostenuto la rivolta contro il fascismo nelle regioni fortemente industrializzate di Lugansk e Donetsk, nell’Ucraina orientale. Ha bloccato il sequestro della Crimea da parte della NATO, sede della base navale di Sebastopoli e unico porto di acqua calda della Russia.

Per questa resistenza – per evitare la totale disintegrazione della Russia come paese – gli Stati Uniti e l’UE hanno imposto una serie di sanzioni economiche alla Russia. La speranza di Wall Street era che il conseguente dissesto economico e l’inflazione avrebbero spinto gli oligarchi a cacciare Putin.

Ulteriori sanzioni furono imposte quando la Russia venne in aiuto della Siria nel 2015. La Russia intervenne dopo quattro anni di operazioni di cambio di regime da parte degli Stati Uniti, finanziando decine di migliaia di forze mercenarie e bombardamenti coordinati che sfollarono il 25% della popolazione siriana.

Con grande ira di Washington, le industrie militari russe fanno parte della difesa nazionale del paese e non sono mai state privatizzate. La diplomazia russa e la vendita di armi forniscono una certa protezione contro le operazioni aggressive degli Stati Uniti dall’Iran al Venezuela. Accordi commerciali più stretti con la Cina hanno aiutato la Russia a aggirare la rete soffocante delle sanzioni.

Tutto ciò minaccia gli oligarchi russi, la cui oscena ricchezza è custodita nelle banche occidentali. Stanno cercando nuove relazioni con l’imperialismo. Le crescenti alleanze della Russia con la Cina e le ex repubbliche sovietiche non sono nel loro interesse. Questa è la base politica ed economica di Navalny.

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