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13/02/2024

RAI e politici si ergono a difesa del genocidio... contro Ghali

“Stop al genocidio”. Queste tre parole sono bastate a mettere in moto la macchina del servilismo sionista di questo paese contro il cantante Ghali. Il giovane rapper italo-tunisino, che nella serata conclusiva del Festival di Sanremo ha detto delle semplici parole di pace, ha ricevuto come risposta critiche e attacchi.

Per capire a pieno il disgusto che deve provocare questa situazione, bisogna fare una piccola premessa. Dal palco dell’Ariston Ghali non è stato l’unico a fare affermazioni legate agli attuali conflitti in giro per il mondo. Con grandi lodi sono stati presentati gli Antytila, uno dei più famosi gruppi pop-rock ucraini.

La loro canzone ha un titolo inequivocabile: Fortezza Bakhmut, la città presso cui si è svolta una delle principali battaglie tra le forze russe e della Repubblica Popolare di Donetsk e quelle ucraine. Giusto per ribadire l’evidente, al cantante è stato dato tutto lo spazio per ricordare che loro stanno combattendo una guerra che “non abbiamo iniziato noi”, per la “nostra libertà” e per i “nostri ideali in comune”.

Ovviamente non si è sentita una parola di sdegno per il fatto che davanti a milioni di italiani sia stata data l’opportunità a questo artista di sostenere la giunta paranazista di Kiev. Tra l’altro con parole mistificanti (la guerra, lì, è cominciata dopo il golpe di EuroMaidan e la strage nel Palazzo dei Sindacati di Odessa), e quindi non sorprende che si condividano gli stessi “ideali”: quelli della censura, del militarismo e dell’oppressione dei popoli.

Ma non c’è solamente questo aspetto così macroscopico, ce n’è un altro più sottile e “culturale”. Sanremo ha riacquisito una certa attrattività anche grazie ad elementi di contorno, come il Fantasanremo. Nel regolamento di quest’anno, per esempio, 10 punti erano attribuiti anche a chi avesse fatto dichiarazioni o gesti “per la pace”.

In questo modo la tragedia di intere popolazioni è diventata il terreno di un giochetto mediatico. La serietà della guerra è stata trasformata in una gara a punti per gli spettatori italiani, in uno di quei tipici esempi da manuale di disumanizzazione delle distruzioni, delle sofferenze e delle perdite che provocano i conflitti.

Sia chiaro: di per sé il Fantasanremo è un divertimento innocente e tutti hanno apprezzato i richiami a quel senso di umanità che i governanti della filiera euroatlantica, in realtà, non hanno mai avuto. E penso che nessuno voglia mettere in dubbio come i cantanti che li hanno fatti li condividano davvero, anche nel loro privato.

Prendiamo i casi di Dargen D’Amico e Fiorella Mannoia. Chi non la conosce, ascolti la canzone Il Presidente del primo, che parla dei crimini di Washington: Contras, sostegno a terroristi e golpisti antidemocratici. La Mannoia è da sempre dichiaratamente di sinistra, e l’aver usato le parole di Vittorio Arrigoni, seppur senza citarlo, è un riferimento preciso alla situazione palestinese.

Ma appunto, finché questi accenni sono rimasti tali, per i vertici della politica e della televisione si poteva pure chiudere un occhio. La colpa di Ghali è stata quella di aver usato la parola genocidio, che rimanda a una responsabilità politica precisa, sulla quale sta peraltro indagando la Corte de L’Aja, non un gruppetto “antisemita” o “filo-putiniano”.

E se probabilmente la maggior parte degli italiani non sa che “Restiamo umani” era la «firma» di Arrigoni, oggi parlare di genocidio fa pensare subito ai massacri perpetrati da Tel Aviv, oltre che per l’Olocausto.

Dunque, il giorno dopo la finale di Sanremo, tutto l’apparato sionista del paese si è mosso. Il primo a parlare è stato ovviamente l’ambasciatore israeliano a Roma, Alon Bar, che su X ha affermato come sia “vergognoso che il palco del Festival di Sanremo sia stato sfruttato per diffondere odio e provocazioni”. Un’intemerata che puzza lontano un chilometro di coda di paglia, visto che Ghali neanche aveva fatto riferimento esplicito a Israele.

Qualcuno dovrebbe forse ricordargli che chiedere la fine di un genocidio difficilmente può essere interpretato come un messaggio di odio, e che quella che ha chiamato “provocazione” è appunto oggetto di una prima sentenza della Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja.

Con questa si è aperta una strada legale importante: la Corte d’Appello della stessa città, organo esclusivamente olandese, ha stabilito che Amsterdam deve cessare di esportare verso Israele parti per i caccia F-35.

A fare eco all’ambasciatore ci si è messa tutta la classe dirigente. Piero Fassino, che ne ha in pratica copiato e incollato le frasi in un suo tweet. La Russa, che ha difeso Fassino e ha parlato di un “cantante che pronuncia una frase a senso unico”... forse perché il genocidio è perpetrato solo da Tel Aviv (la stessa logica non valeva, tra l’altro, per il cantante ucraino).

Gasparri è arrivato a dire che Israele “il 7 ottobre ha subito un’aggressione paragonabile alle persecuzioni della Shoah” e che “i vertici dell’azienda [la RAI, ndr] si scusino con le autorità di Israele ed attuino interventi riparatori”. Non è passato un giorno e questo era già successo, con un comunicato dell’amministratore delegato Roberto Sergio.

Il testo è stato letto da Mara Venier a Domenica In, dove anche Ghali era invitato. Il rapper, che come tutti i membri dello showbusiness avrà le sue contraddizioni, ha però avuto l’integrità di rispondere a tono ad Alon Bar, rivendicando di aver usato il palco di Sanremo per un messaggio di pace e ricordando che è da ben prima del 7 ottobre che l’occupazione sionista provoca morte e affama il popolo palestinese.

Ghali ha poi detto: “continua questa politica del terrore [...] stiamo vivendo in un momento in cui le persone sentono che vanno a perdere qualcosa se dicono ‘viva la pace’”. È proprio vero, viviamo in una fase storica in cui la crisi e la guerra hanno portato i sistemi occidentali a una forte torsione autoritaria e a calpestare senza remore i più fondamentali diritti democratici.

Gli scioperi precettati, le denunce e la criminalizzazione degli attivisti solidali con il popolo palestinese e la proibizione delle manifestazioni internazionaliste a fianco della sua resistenza, il bombardamento mediatico bellicista e la censura di qualsiasi messaggio non si allinei alle volontà di UE e NATO è diventata l’abitudine. Persino le parole di Ghali erano state tagliate dalla registrazione di RaiPlay, e solo dopo sono state reintegrate.

La finta opposizione parlamentare ne ha ovviamente approfittato per fare affermazioni “democratiche” a costo zero. Una nota dei membri del PD della Commissione di Vigilanza ha difeso la “libertà di espressione sacrosanta”, e il responsabile informazione del partito, Sandro Ruotolo, ha invocato “un cessate il fuoco umanitario”.

Come sempre, però, gli esponenti del centrosinistra si sono dimenticati di prendere le distanze dai crimini israeliani, e soprattutto che a far saltare l’ipotesi del cessate il fuoco è stato Netanyahu. Delle due l’una, quindi: o si difendono i principi democratici o si difende un governo genocidario.

Intanto, gli eventi di Sanremo non hanno fatto altro che confermare il deterioramento irreversibile del nostro sistema politico, in cui la libertà di espressione e di manifestare è un’opzione sempre più scomoda per la classe dirigente.

Per questo le iniziative di dibattito, le piazze (come i presidi chiamati sotto le sedi RAI, con dei giovani compagni denunciati a Roma) e le attività di boicottaggio di chi è complice di Israele si fanno sempre più importanti, un tassello della lotta per la pace e la giustizia sociale che non si deve fare spaventare dalla repressione.

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