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30/05/2024

Israele ‘cane pazzo’, nell’epoca dei social

La strategia del ‘cane pazzo’, nonostante l’aggettivo che porta a pensare ad azioni irrazionali, segue logiche e si concretizza in azioni ben studiate. È la formula coniata da un politico e capo di Stato maggiore israeliano, Moshe Dayan, che di certo non era un pazzo.

Questo atteggiamento nell’agone internazionale è una forma di deterrenza pensata per far apparire Israele come “troppo pericoloso per essere infastidito”. Se si guardasse a vari fatti e dichiarazioni senza coscienza di ciò, si potrebbe credere che a Tel Aviv siano tutti usciti fuori di testa.

Invece, la ferocia, l’apartheid e la sistematica violazione dei diritti umani da parte dei vertici sionisti è il risultato fisiologico di una visione messianica e suprematista, di origine coloniale. Apparire come ‘cani pazzi’ fa parte della loro strategia, e ultimamente anche i social sono stati usati in questo senso.

Riportiamo tre esempi che sono significativi. Il primo riguarda l’ormai famoso tweet con cui il ministro della Sicurezza Nazionale Ben Gvir, dopo l’annuncio di Joe Biden della sospensione dell’invio di alcuni armamenti a Israele, ha scritto che Hamas ora ama il presidente statunitense.

Usando una emoji, con uno stile da social network appunto, persino il primo e principale sostenitore di Israele, per aver solo tentato di esercitare qualche pressione su Tel Aviv perché fermasse l’attacco a Rafah, è stato associato al nemico. Il vero significato di quel messaggio era da leggersi al contrario: “Biden ama Hamas”.

Il 22 maggio Norvegia, Spagna e Irlanda hanno riconosciuto lo Stato di Palestina. Lo stesso giorno, il profilo X dell’organizzazione no profit basata negli USA StopAntisemitism, sostenitrice di Israele, ha pubblicato una foto del ministro degli Esteri Irlandese, Micheál Martin, insieme alla sua famiglia.

Il testo che accompagnava la foto era allucinante: “Il 7 ottobre i terroristi di Hamas hanno violentato e rapito sua figlia Aoibhe Martin a Gaza. Oggi il ministro degli Esteri Micheal Martin ha annunciato di voler premiare gli stupratori di sua figlia con uno Stato tutto loro. UNA FOLLIA, VERO?! Allora perché lo stai facendo a Israele?”

La vicenda è ancora più allucinante perché, ovviamente, la figlia di Martin non ha mai subito nessuna violenza a Gaza. L’associazione ha dovuto poi aggiungere al tweet una frase: “Questo post è solo per scopi illustrativi e [il fatto] non è avvenuto”.

Il livello di autopersecuzione e vittimismo espresso da chi sta esponendo un popolo al pericolo di genocidio, come denunciato dalla Corte Internazionale di Giustizia, potrebbe essere definito come patologico.

Se solo queste esternazioni non fossero pensate proprio per suscitare sdegno nell’opinione pubblica, vicinanza a Israele e, neanche troppo velatamente, per mettere sotto pressione i politici, facendo nomi e pubblicando foto di famiglia.

Infine, il 26 maggio il ministro degli Esteri israeliano Israel Katz ha anche lui usato X per diffondere un video, questa volta indirizzato a Madrid. Il primo ministro Sanchez è stato taggato in un video, dicendo che Hamas lo ringrazia per i suoi servigi.

Nel video, di nuovo senza alcun senso del ridicolo, scene di miliziani di Hamas si alternano a due ballerini di flamenco. Ogni atto che non sostenga la cancellazione delle ragioni politiche della resistenza palestinese (di questo si tratta quando viene riconosciuto uno stato), subisce l’accusa di collaborazionismo, in sostanza.

Katz aveva riservato lo stesso trattamento anche a Norvegia e Irlanda, ma questa volta si è creato maggior scalpore. Anche perché il tweet è arrivato dopo che la ministra della Difesa di Madrid, Margarita Robles, ha parlato dei massacri dei palestinesi come di un “autentico genocidio”.

Lo abbiamo già accennato. Possono sembrare azioni irrazionali, ma il loro sensazionalismo è precisamente parte della logica per cui chiunque deve avere paura a toccare Israele e le sue scelte... soprattutto ora che persino nella UE sono arrivati a parlare di sanzioni.

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