È ancora misteriosa la dinamica che ha causato lo schianto mortale dell’elicottero che trasportava il presidente iraniano Raisi e il ministro degli Esteri Amir-Abdollahian di rientro a Teheran, dopo una missione diplomatica in Azerbaigian.
L’ipotesi al momento più accreditata individua nelle avverse condizioni climatiche il fattore che ha determinato l’incidente. In queste circostanze, però, nessuna pista è scartata, specie quella che collega l’avvenimento alle recenti ostilità sviluppatesi con Israele.
Alla luce degli eventi di queste ore, è utile evidenziare la rilevanza storica degli eventi del 14 aprile scorso con l’operazione militare iraniana True Promise. A poco più di un mese di distanza, quell’azione che ha fatto tremare il Pianeta sembrava relegata a un immotivato oblìo.
Con un imponente lancio di droni e missili diretti contro Israele, l’Iran aveva risposto al sanguinario bombardamento subìto presso la sua sede consolare a Damasco, in Siria, con la morte di sedici persone tra cui il generale Mohammad Reza Zahedi.
Con True Promise, Teheran ha per la prima volta lanciato dal proprio territorio un’azione militare clamorosa contro Tel Aviv. La cosa è stata oggetto di descrizioni perlopiù approssimative sia sul piano politico-strategico che su quello della legittimità dell’azione stessa.
Si è così assistito alla diffusione di considerazioni tendenti a minimizzare la portata dell’evento e a cronache ridicolizzanti l’azione iraniana assimilandola persino a una teatrale esibizione di fuochi d’artificio. Nulla di più stolido: True Promise segna un cambiamento epocale nei rapporti di potere e strategici nella regione, contribuendo a un salto qualitativo della lotta resistente contro l’occupazione sionista.
Helyeh Doutaghi è ricercatrice associata presso la Yale Law School dove si occupa principalmente di intersezioni negli approcci del Terzo Mondo al diritto internazionale. I suoi studi vertono sulla critica postcoloniale e marxista, sugli effetti dei regimi sanzionatori e sull’economia politica internazionale. Autrice di ricerche e saggi specialistici è, inoltre, esperta di diritto umanitario internazionale. A lei abbiamo rivolto alcune domande per un contributo originale circa gli eventi di quella notte.
“Le analisi dei fatti più diffuse hanno determinato tanta confusione. Anche questo è un effetto della guerra ibrida in corso dove i media corporativi danno risonanza agli interessi di chi in essi investe ingenti risorse finanziarie”, esordisce Doutaghi.
Ci aiuta a ricostruire i fatti alla base dell’attacco iraniano a Israele, inquadrandoli nella complessità storica che viviamo?
Innanzitutto, mi preme sottolineare che, proprio come nel caso del 7 ottobre, non parliamo di un evento a sé stante, estraneo alla storia genocida avviata in Palestina da tempi ben precedenti a quelli attuali. L’episodio scatenante la risposta di Teheran, successiva all’attacco sionista all’ambasciata iraniana di Damasco, si inserisce in un lungo e duraturo schema di aggressione contro l’Iran e la resistenza che si oppone alla dilagante violenza coloniale in Palestina.
Da decenni, vengono compiute operazioni segrete in Iran miranti a infrastrutture industriali e nucleari, con l’assassinio di scienziati e militari di alto grado. Tuttavia, l’episodio di cui parliamo costituisce un attacco senza precedenti, condotto contro una sede della diplomazia iraniana ospitata nella capitale siriana.
Il bombardamento di Damasco è dunque un attentato che lede le prerogative territoriali e diplomatiche di Teheran?
L’aggressione israeliana in questione ha violato l’immunità diplomatica dell’Iran e la sovranità delle sue sedi in base alla Convenzione di Vienna e l’integrità territoriale della Siria secondo quanto riportato dall’articolo 2.4 della carta delle Nazioni Unite.
Ma è bene ricordare che princìpi fondamentali del diritto internazionale comprendenti quelli dei regolamenti relativi al non intervento, al divieto dell’uso della forza, al rispetto dell’immunità diplomatica, alla sovranità statale sono da sempre disprezzati e non rispettati da Israele che continua ad agire nell’assoluta impunità.
Prima accennava a una serie di eventi aggressivi che hanno colpito l’Iran. Vuole ricostruire quelli più salienti?
Nel dicembre scorso, in un altro attacco israeliano in Siria è stato ucciso Sayyed Razi Mousavi, che svolgeva un ruolo fondamentale nella resistenza facilitando il supporto materiale proveniente dall’Iran e destinato a Siria, Iraq e Libano.
Risale poi a gennaio di quest’anno l’attacco terroristico a Kerman durante l’annuale commemorazione del generale Qasem Soleimani, il cui assassinio pur rivendicato dall’Isis, è opinione diffusa in Iran che sia stato eseguito con il coinvolgimento diretto del Mossad.
Tali episodi si aggiungono a una serie di operazioni condotte dai servizi segreti che hanno preso di mira siti nucleari in Iran, tra cui quello di Natanz, oltre a tentativi di rovesciamento di regime e alle “rivoluzioni colorate” nel corso dell’ultimo decennio.
Uno degli argomenti caldi per Israele riguarda l’operato iraniano in tema di politiche e ricerche nucleari. Numerosi sono stati gli omicidi di scienziati coinvolti nei programmi strategici nazionali. Può elencare i principali?
Israele ha costantemente condotto operazioni aggressive all’interno dell’Iran, prendendo di mira fisici e scienziati cercando di sabotare così lo sviluppo di sistemi di difesa interna e di tecnologia nucleare. I principali si sono verificati a partire già dal 2010 e questo conferma la natura costante degli attacchi all’Iran e alla sua sovranità da parte dell’entità sionista.
Inizio col ricordare l’omicidio nel 2010 di Massoud Ali-Mohammadi, docente all’Università di Teheran, specializzato in teoria quantistica e fisica delle particelle, assassinato da una bomba applicata a una motocicletta nei pressi della sua abitazione a Teheran.
Sempre nel 2010, Majid Shahriari, un ingegnere nucleare viene assassinato da una bomba posta nella sua auto. Nel 2011, è la volta di Darioush Rezaeinejad scienziato nucleare ucciso in auto davanti alla sua figlioletta dai proiettili sparati da un killer in sella a una motocicletta. Ancora, Mustafa Hamadi Roshan, anche lui scienziato nucleare ucciso nel 2012 da una bomba magnetica piazzata sulla sua autovettura.
E nel 2020 Mohsen Fakhrizadeh, sovente indicato come il padre del programma nucleare iraniano, assassinato nei pressi di Teheran, accanto a sua moglie, in un attacco con un’arma da fuoco telecomandata e assistita dall’intelligenza artificiale.
Una lunga scia di sangue che conferma una storia di costante attacco al territorio iraniano. Tuttavia, l’Iran ha deciso di reagire solo in occasione dell’ultimo, eclatante bombardamento alla sua sede consolare. True Promise dunque è un’operazione scatenata dal timore concreto di subire un imminente attacco di più ampia scala?
Sì, l’Iran ha agito per legittima autodifesa e non per rappresaglia o ritorsione. Sottolineo che si è trattato di un atto di legittima difesa ai sensi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite.
L’articolo recita che “Nessuna disposizione del presente Statuto pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale. Le misure prese da Membri nell’esercizio di questo diritto di autotutela sono immediatamente portate a conoscenza del Consiglio di Sicurezza e non pregiudicano in alcun modo il potere e il compito spettanti, secondo il presente Statuto, al Consiglio di Sicurezza, di intraprendere in qualsiasi momento quell’azione che esso ritenga necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale”.
I documenti ufficiali che l’Iran ha redatto annunciando l’adozione di una risposta contro Israele e consegnati all’Onu facevano chiaramente riferimento al diritto all’autodifesa. Il Consiglio di Sicurezza Onu era quindi investito della responsabilità di adottare misure efficaci per ripristinare pace e sicurezza.
Tuttavia, Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia hanno impedito al Consiglio di agire e, in assenza di un provvedimento in merito, l’Iran ha ritenuto di dover esercitare il proprio diritto all’autodifesa dandone immediata notifica al Consiglio in conformità con quanto previsto dalla stessa Carta Onu.
Ritiene, dunque, scorretto identificare l’operazione di risposta dell’Iran come atto di rappresaglia o ritorsivo?
Chi ha qualificato la risposta dell’Iran come ‘rappresaglia’ o ‘ritorsione’ compie un atto che è non solo politicamente fuorviante ma anche giuridicamente inesatto. Così facendo viene a normalizzarsi l’idea razzista per cui la sovranità dei Paesi continuamente bombardati dal regime sionista o dalle forze Nato sia in qualche modo mortificata e violata giacché il principio di sovranità territoriale e di divieto dell’uso della forza vengono applicati in modo selettivo e discriminante.
Alcuni studiosi di diritto internazionale che hanno individuato come ‘rappresaglie di pari spessore’ – sia l’operazione True Promise dell’Iran che gli atti compiuti da Israele – sono, nella migliore delle ipotesi, al di fuori della storia e disinformati e, nella peggiore, in malafede diffondendo interpretazioni del diritto internazionale che giustificano in chiave imperialista una sovranità territoriale diseguale, irrilevante quando riguarda le nazioni della periferia del pianeta.
In altre parole, è un diritto internazionale funzionale a politiche egemoni, applicato con una disparità che gli stessi “addetti ai lavori” accettano acriticamente, finendo per penalizzare chi invece dovrebbe dal diritto ricevere garanzie e tutele.
Non sono ossessionata dal linguaggio giuridico ma, volendo essere accurati, insisto sul fatto che quanto messo in pratica dall’Iran è stato un ‘atto di autodifesa’. Sovente il diritto internazionale, nella sua essenza violata, viene usato come arma contro i paesi del Sud globale, alla stregua di strumenti dell’imperialismo. Infatti, alcune delle sanzioni più gravi inflitte all’Iran sono state decretate ai sensi del Capitolo VII della Carta dal Consiglio di Sicurezza per presunti illeciti nei suoi obblighi legali.
Tali violazioni da parte dell’Iran o altro Stato nemico od ostile, sono storicamente sfruttate come pretesto per prendere di mira la loro sovranità. Detto ciò, penso che sia importante rimanere adempienti nei confronti delle norme internazionali e, in verità, l’Iran, anche in questa occasione, ha mostrato di aderirvi rispettandole a differenza di Israele che le infrange impunemente.
Può chiarirci la natura di quegli atti militari o comunque offensivi che giuridicamente ricadono nella fattispecie della cosiddetta legittimità “preventiva”?
La cosiddetta dottrina dell’‘autodifesa preventiva’ ha permesso a Stati Uniti e Israele di impegnarsi in azioni militari miranti a spegnere presunte, imponenti, minacce prima che queste potessero effettivamente concretizzarsi. L’entità sionista ha spesso operato secondo tali criteri di autodifesa preventiva per attaccare deliberatamente la resistenza in Siria, Iraq e Libano.
Secondo tale logica, fonti israeliane hanno sostenuto che l’attacco che ha mietuto sedici vittime al consolato iraniano di Damasco sarebbe stato legittimato dalla presenza in quegli edifici di pericolosi esponenti dell’intelligence e dell’esercito di Teheran. Le risulta?
Chi afferma ciò non sa di cosa parla. Il diritto internazionale umanitario, che pure considera l’attacco a combattenti e obiettivi militari nel quadro però di un’offensiva in atto, non può essere applicato al caso in questione dal momento che non v’è stata una dichiarazione di guerra ufficializzata e vigente.
Perciò, in mancanza di una simile dichiarazione, non v’è possibilità alcuna di applicazione specifica del diritto umanitario internazionale a tale atto. In virtù di questo, qualsiasi attacco alla sovranità di uno Stato diventa un atto di aggressione in violazione di quella sovranità e del divieto all’uso della forza.
Al di là dei motivi giuridici, non le pare che la giustificazione addotta dalle stesse fonti israeliane risulti inconsistente sul piano pratico?
Se anche volessimo accettare la logica di un atto ostile contro obiettivi militari ne scaturirebbe che ogni singola sede diplomatica Usa in Asia occidentale diverrebbe automaticamente obiettivo legittimo di attacchi dal momento che ospita agenti della CIA e personale militare. È verosimile immaginare che gli Usa non siano troppo favorevoli a una simile interpretazione legale.
Eppure, è immaginabile che Israele avesse calcolato preventivamente gli effetti che l’attentato a Damasco avrebbe causato. Cosa può non essere andato secondo quanto previsto?
Probabilmente, il regime sionista non ha creduto che l’attacco avrebbe potuto suscitare una risposta militare da parte dell’Iran e quindi, come nel caso di eventi precedenti, sarebbe stato in grado di eliminare con successo figure chiave dell’intelligence militare iraniana e della resistenza senza ripercussioni.
È possibile immaginare una seconda possibilità, secondo cui Israele avrebbe coltivato l’obiettivo di provocare una reazione dell’Iran tale da trascinare gli Stati Uniti in guerra causando un conflitto regionale più ampio.
Può spiegare meglio entità e significato pratico dell’azione di True Promise?
Bisogna ricostruire gli eventi e il quadro politico e normativo in cui si è determinata: il giorno dell’attacco, reparti iraniani avevano proceduto inizialmente sequestrando il cargo di proprietà del miliardario israeliano Eyal Ofer, mentre attraversava lo Stretto di Hormuz. Un’azione tesa a ostacolare il flusso di capitali che finanzia il genocidio in corso in Gaza, in conformità con le misure provvisorie decretate dalla Corte Internazionale di Giustizia nel recente dibattimento all’Aja contro Israele.
In serata, l’Iran ha poi sferrato l’attacco utilizzando droni di tecnologia costo-efficace con lo scopo non tanto di colpire specifici obiettivi quanto testare e superare il sistema di difesa aerea israeliano, consentendo a missili lanciati in sequenza di poter penetrare efficacemente le barriere.
Questo ha consentito di raggiungere e colpire la base aerea Nevatim, da cui Israele aveva fatto partire l’attacco alla sede diplomatica iraniana. In ogni caso, si è trattato di un’azione che non ha coinvolto civili, condotta all’interno di quei princìpi di proporzionalità e distinzione previsti dal diritto internazionale umanitario.
Del resto, l’operazione è avvenuta dodici giorni dopo l’attacco al consolato di Damasco e quando l’attacco è stato lanciato, sia Usa che Israele erano già ampiamente informati della determinazione di Teheran. Ciò ha permesso di predisporre misure idonee di protezione: in Israele, le scuole erano state chiuse, luoghi sensibili e affollati erano stati evacuati e il traffico aereo era stato sottoposto a minuzioso monitoraggio.
Può la mancanza di un effetto sorpresa aver smorzato una più evidente efficacia dell’operazione iraniana?
Al contrario, ha esaltato la forza dell’operazione: l’atto di autodifesa dell’Iran è stato efficace proprio grazie al preavviso che lo ha preceduto. Rifiutando l’elemento sorpresa, l’Iran si è posto due obiettivi strategici. Il primo era quello di sfidare non solo Israele, ma la potenza dei regimi reazionari occidentali e arabi, includendo Usa, Regno Unito, Francia, Arabia Saudita e Giordania e quindi far scattare una difesa collettiva a protezione di ogni centimetro dei territori occupati.
Oltretutto, si è portata a compimento un’eclatante azione militare di deterrenza con mezzi e tecnologie sviluppati in autonomia nonostante le durissime sanzioni imposte per disarmare Iran e resistenza.
Altro obiettivo era proprio quello di inibire quell’escalation pure meditata da Israele che ha finito per trovarsi isolato in ragione del rifiuto degli Stati Uniti a iniziare un aperto conflitto con l’Iran.
Gli Usa hanno ufficialmente dichiarato di non sostenere Israele in atti ritorsivi, ma comunque di attivarsi se fosse necessaria un’azione di carattere difensivo.
Gli Usa non sosterrebbero Israele in una guerra di aggressione contro l’Iran. Questo non perché gli Stati Uniti non vogliano un Iran sconfitto, piuttosto perché riconoscono che una guerra distruttiva contro l’Iran causerebbe evidenti squilibri di potere nella regione, favorendo la fine del progetto coloniale di Israele nella regione. D’altronde, in un conflitto di questo tipo l’Iran potrebbe agire contro le basi Usa ponendo criticità per una loro sussistenza in Asia occidentale.
La posizione americana di non sostegno a Israele in caso di aggressione all’Iran, da taluni giudicata disonesta o contraddittoria, è perfettamente coerente con gli interessi Usa alla stabilità della propria presenza nella regione che dell’occupazione sionista. True Promise è stata una dimostrazione di forza deterrente: proteggere la propria sovranità richiede di convincere il nemico del fatto che non può sconfiggerti.
Vi sono già state ripercussioni sul teatro di guerra in Palestina a seguito dell’operazione iraniana?
L’azione ha avuto effetti coesivi e motivanti per la resistenza spostando equilibri di potere in suo favore: significative sono state le azioni ripetute delle formazioni resistenti e, a Gaza, molti hanno potuto raggiungere le abitazioni a nord evacuate da mesi per i bombardamenti. Ma, più rilevante, solo alcuni giorni dopo l’operazione, le notizie provenienti da Israele riferivano delle dimissioni o della rimozione di comandanti chiave.
Il generale Aharon Haliba responsabile dell’intelligence militare dell’ IDF (Israel Defense Forces) si è dimesso adducendo motivi legati al fallimento dei sistemi di sicurezza il 7 ottobre. Altri comandanti sarebbero in procinto di fare altrettanto. Bisognerebbe chiedersi come mai ci siano voluti circa 200 giorni perché queste dimissioni maturassero, peraltro nel bel mezzo di un’operazione genocida in corso. Lascia riflettere molto invece che siano arrivate subito dopo l’operazione iraniana. Certamente, True Promise ha seriamente messo in discussione la stabilità delle strutture IDF.
Qual è la portata storica dell’operazione True Promise?
A mio parere, sul piano storico, il 14 aprile è tanto rilevante quanto il 7 ottobre. Entrambi gli eventi consolidano e cementano una svolta effettiva epocale: il mondo è indiscutibilmente cambiato da quello che era prima di quelle date.
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