Taiwan è reduce da giorni di tensione e caos. Già prima dell’insediamento del nuovo presidente del Partito Democratico Progressista Lai Ching-te, si è acceso lo scontro istituzionale con il Parlamento, dove l’opposizione, costituita dal Koumintang e dal Partito Popolare di Taiwan, è in maggioranza. È stato, infatti, presentato un disegno di legge che intende obbligare il Presidente e altri funzionari a riferire in parlamento rispetto ad alcuni temi caldi quali gli accordi diplomatici e acquisti di armi, fino ad ora rimasti segreti, pena sanzioni fino a 3 anni di carcere. Tale disegno di legge ha provocato le proteste all’esterno dell’aula parlamentare da parte degli indipendentisti e sostenitori del Partito Democratico Progressista.
Ad incendiare la situazione ci ha pensato, poi, il discorso d’insediamento del nuovo Presidente, che, si ricorda, è il primo della storia del paese ad essere stato eletto con meno del 50% dei voti, grazie alla divisione delle opposizioni.
“Abbiamo una nazione nella misura in cui abbiamo la sovranità. Proprio nel primo capitolo della nostra Costituzione si legge che la sovranità della Repubblica cinese risiede nell’insieme dei cittadini e che le persone che possiedono la nazionalità della Repubblica di Cina sono cittadini della Repubblica di Cina. Questi due articoli dicono chiaramente la Repubblica di Cina e la Repubblica Popolare Cinese non sono subordinate l’una all’altra. Tutto il popolo di Taiwan deve unirsi per salvaguardare la nostra nazione, tutti i nostri partiti politici dovrebbero opporsi all’annessione e proteggere la sovranità. Nessuno dovrebbe prendere in considerazione l’idea di rinunciare alla nostra sovranità nazionale in cambio del potere politico. Finché ci identifichiamo con Taiwan, Taiwan appartiene a tutti noi, a tutti i popoli di Taiwan indipendentemente dall’etnia. Alcuni chiamano questa terra la Repubblica di Cina altri la chiamano Repubblica di Cina Taiwan e altri ancora Taiwan”.
Si tratta chiaramente dell’esposizione di una teoria dei due stati separati, con tanto di sottolineatura sulla denominazione che, per altro, non coincide affatto nemmeno con la Costituzione di Taiwan.
Successivamente, Lai rincara la dose, affrontando il tema dei rapporti con la Repubblica Popolare: “Di fronte alle numerose minacce e tentativi di infiltrazione da parte della Cina, dobbiamo dimostrare la nostra determinazione nel difendere la nostra nazione e dobbiamo anche aumentare la nostra consapevolezza in materia di difesa e rafforzare il nostro quadro giuridico per la sicurezza nazionale. Ciò significa promuovere attivamente il piano d’azione dei quattro pilastri della pace: rafforzamento della difesa nazionale, maggiore sicurezza economica, leadership stabile basata sulla relazione tra le due sponde dello stretto e la diplomazia basata sui valori. Stando fianco a fianco con altri paesi democratici possiamo formare una comunità globale pacifica, in grado di dimostrare la forza della deterrenza e prevenire la guerra, in modo tale da raggiungere il nostro obiettivo di pace attraverso la forza”.
Pertanto, il neopresidente taiwanese conferma di voler continuare la collaborazione militare con gli USA e s’inserisce anche nella narrativa ideologica bellicista delle democrazie che devono collaborare contro le autocrazie. Rispetto ai suoi predecessori, anche appartenenti al Partito Democratico Progressista, inoltre, non fa alcun cenno, nemmeno formale, al “consenso del ‘92”, un trattato politico semi-ufficiale che regola il rapporto fra le due sponde dello Stretto di Taiwan, secondo cui entrambe le parti si riconoscono nel principio di “Una sola Cina”, pur non concordando su quale essa sia. Formalmente, infatti, sia la Repubblica Popolare Cinese, sia la Repubblica di Cina rivendicano la sovranità sia sulla Cina continentale che sull’Arcipelago di Taiwan.
Il discorso di Lai, come si può ben capire, rompe totalmente con questo schema, scatenando una reazione furiosa da parte di Pechino. Il Ministro degli esteri Wang Yi, che si trovava ad Astana per il vertice della SCO, ha affermato: “I cambiamenti della situazione sull’isola di Taiwan non modificheranno i fatti storici e giuridici secondo cui l’isola fa parte della Cina, o la tendenza storica alla riunificazione nazionale, che è inevitabile. Le attività separatiste delle forze a favore dell’indipendenza di Taiwan rappresentano la sfida più seria all’ordine internazionale, oltre che la più grande minaccia alla pace e alla stabilità nello Stretto”. Tuttavia, esse “non saranno in grado di impedire alla Cina di realizzare la completa riunificazione e Taiwan tornerà sicuramente nelle braccia della madrepatria. Tutti i separatisti dell’indipendenza di Taiwan saranno inchiodati al pilastro della vergogna della storia”.
Successivamente sono iniziate delle esercitazioni militari da parte dell’Esercito Popolare di Liberazione che hanno simulato un blocco navale totale su tutto l’arcipelago: navi da guerra e aerei militari hanno circondato sia l’isola principale che quelle più piccole, simulando attacchi aerei e trasferimenti di truppe fra varie imbarcazioni. La linea mediana dello stretto di Taiwan, che fa da confine informale fra i due paesi, è stata abbondantemente violata. Le esercitazioni sono terminate nella notte del 24 maggio e hanno coinvolto più uomini e mezzi di quelle che seguirono la provocatoria visita a Taiwan di Nancy Pelosi ad agosto del 2022.
Successivamente, Lai Ching-te ha provato a smorzare i toni: “La pace e la stabilità nello Stretto di Taiwan sono un elemento necessario per la sicurezza e la prosperità globale. Ho anche invitato la Cina ad assumersi insieme a Taiwan l’importante responsabilità della stabilità regionale. Non vedo l’ora di rafforzare la comprensione reciproca e la riconciliazione attraverso gli scambi e la cooperazione con la Cina... e di muoverci verso una posizione di pace e prosperità comune”.
Da parte sua, l’Amministrazione USA non si è espressa con figure di rilievo, né sul discorso d’insediamento di Lai, né sulle esercitazioni militari della Cina. Si è limitata a diffondere una dichiarazione del Dipartimento di Stato nella quale si è detta “molto preoccupata” dell’esercitazione militare e invitando alla moderazione.
Tuttavia, è già in atto un’altra provocazione: una delegazione bipartisan di membri del Congresso USA è già in visita sull’isola, dove rimarranno fino al 30 maggio. Ovviamente incontreranno Lai e probabilmente parleranno di questioni militari e di invio di armi. Si ricorda che Taiwan è inclusa fra i destinatari del maxi pacchetto di 95 miliardi di aiuti miliari approvati dal Congresso lo scorso aprile e che le sua forze armate sono sempre più integrate nel comando USA dell’Indo-Pacifico
La tensione, dunque, non accenna a diminuire. Sono molteplici i legami politico-militari stabiliti nel tempo con gli USA che la Repubblica Popolare Cinese dovrà spezzare per procedere alla riunificazione con Taiwan. Allo stato attuale, appare molto complicato pensare ad un percorso simile a quello che ha portato ad ottenere la decolonizzazione di Hong Kong e Macao negli anni ’90. Lo scontro militare pare nel novero delle opzioni possibili, nonostante Pechino sembri intenzionata a fare di tutto per evitarlo.
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