Come in ogni evento della vita e delle attività umane, esistono vari e multiformi approcci alla soluzione (o alla complicazione) delle questioni.
In quelle riguardanti le relazioni tra stati e paesi, invece, da almeno un’ottantina d’anni – certamente anche da molto prima (prima o poi sarà il caso di tornare sull’approccio sovietico, da un lato, e quello anglo-franco-yankee, dall’altro, al tentativo di frenare le mire belliche di Hitler tra il 1934 e il 1939) – conoscono sostanzialmente due tipi di approccio.
Da una parte, quello dell’imperialismo USA e dei satelliti che, qua e là per il mondo, agiscono su comando yankee e che consiste nell’applicazione della massima, falsamente attribuita a Stalin, ma che invece viene da sempre praticata dalla Casa Bianca: “c’è la persona e c’è il problema; non c’è la persona e non c’è il problema”.
Dall’altra, c’è quello della ricerca degli accordi e del rispetto delle sovranità dei paesi e/o dei governi legittimamente in carica.
Ora, su questo secondo fronte, al momento, ci sarebbe il corollario di un “presidente” nazigolpista che, dallo scorso 20 maggio, risulta formalmente “legale”, ma assolutamente illegittimo: il fatto è che il personaggio in questione si colloca per l’appunto nella cerchia dei più necessari satelliti yankee e, dunque, in base allo “spirito pratico americano”, chissenefrega di legalità e legittimità.
Di contro, c’è invece un governo – questo sì legittimamente in carica, quale quello della Georgia – che da qualche tempo, visto l’andazzo delle cose ucraine e l’imperativo euroatlantico di aprire un secondo fronte alle porte della Russia, viene quotidianamente strattonato e preso a gomitate.
Una volta gli si manomettono i freni dell’auto di quel tanto sufficiente a non andare a sfracellarsi; ora gli si fa trovare un gatto impiccato sull’uscio di casa. Insomma, siamo ancora soltanto al “dolcestilmafioso”; non ancora ai candelotti.
In ogni caso, è chiaro a quale tipo di approccio si attengano, nei confronti della Georgia, le liberal-democrazie dai “chiarissimi valori umanistici” di rispetto del diritto: le decisioni che prendete, in particolare riguardo alle nostre “famiglie” lì da voi, non ci garbano; vedete un po’ di darvi una calmata nelle vostre smanie di autonomia legislativa. Lo diciamo per voi, per il vostro bene.
Non è affatto un “avvertimento” o, dio ce ne scampi, una “minaccia”; no, è solo una constatazione: quelle nostre “famiglie”, lì da voi, potrebbero prenderla male, chissà, e allora, addio UE. Cercate un po’ di tornare ai cari vecchi tempi amorosi di Ševardnadze o, ancor meglio, di Saakašvili, quando ci si intendeva con un tocco di coppola.
E tali pizzini vengono recapitati a Tbilisi un po’ da entrambe le sponde dell’Atlantico. Ma, l’aspetto curioso del momento è che solitamente si è abituati a sentire la voce del padrone yankee più ferma, stentorea, ultimativa, mentre i mormorii del satellite europeista sembrano ricalcare i “più nobili e antichi” rituali delle corti machiavelliche del vecchio continente, ossia il “Modo tenuto dal duca Valentino...” solo in casi estremi, di norma, si dispensano “calmi e ragionati consigli” di pacificazione), ecco che, almeno stavolta, i ruoli si sono invertiti. Blinken “invita”; Bruxelles “avverte”.
E non si pensi che dalle parti di Bruxelles non si conoscano le constatazioni del giovane Mikhail Lermontov secondo cui «Il nostro pubblico è ancora così giovane e ingenuo... non sa ancora che, in una società decorosa e in un libro decoroso, non c’è posto per le aperte volgarità; che la moderna erudizione ha messo a punto strumenti ben più affilati, pressoché invisibili e ciononostante letali, che, con la copertura della lusinga, inferiscono colpi sicuri e ineluttabili», e le si applichino alle moderne tecniche di agitprop euro-guerrafondaia.
No, a Bruxelles conoscono benissimo i melliflui e politically correct «strumenti ben più affilati» moderni. Solo che, questa volta, si sono lasciati prendere la mano e, di punto in bianco, hanno fatto ricorso proprio a quelle «aperte volgarità» e, invece di espressioni, parole, locuzioni o «strumenti... pressoché invisibili», sono passati alla famosa testa di cavallo fatta trovare nel “letto” del governo georgiano.
E al suo premier, Irakli Kobakhidze, (che a Bruxelles siano trasaliti alla prima parte del cognome?) hanno prospettato accadimenti a là Robert Fitso, come ha fatto in un colloqui telefonico il Commissario europeo per l’allargamento, Oliver Varhelij, il quale poi si è affrettato a farfugliare che, vedete, le sue parole non erano una minaccia e che i malvagi filo-putiniani le avevano «estrapolate dal contesto».
Questo autentico “’eroe’ dei nostri giorni” ha ammesso di aver esortato Kobakhidze a non inasprire la «delicata situazione» approvando una legge che potrebbe portare a “un’ulteriore polarizzazione” nelle strade di Tbilisi: ma è solo «in tale contesto, che ho menzionato il tragico incidente in Slovacchia», ha giurato.
La pensa diversamente il diretto interessato, che giudica «scioccante» l’euro-avvertimento. Allorché, ha detto Kobakhidze, «nel contesto del ricatto relativo alla legge “Sulla trasparenza delle influenze straniere”, si menziona il primo ministro slovacco... la cosa ci preoccupa gravemente». Ha aggiunto di essersi sentito in dovere di rendere pubbliche queste informazioni «a fini di prevenzione». Del tipo: se mi succede qualcosa, sapete già chi andare a cercare.
Non ti dar pena, lo avremmo saputo comunque: di chiunque possa essere essere la mano che azioni il detonatore.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento