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22/05/2024

L’ultima invenzione Usa: “c’è la Cina dietro le proteste nelle università”

Non si è fatta attendere la risposta all’inchiesta del Washington Post su una chat di ricchissimi uomini d’affari Usa, in contatto diretto coi vertici israeliani, che avrebbero fatto pressione per reprimere le proteste nei campus universitari. Come ci ha subito raccontato quel bollettino dell’ultradestra euro-atlantica che è diventato Repubblica, ad influenzare gli studenti sarebbe addirittura la Cina. Ovviamente secondo ‘studi autorevoli‘.

In realtà il Network Contagion Research Institute (NCRI), “fonte” di Molinari & Co, è un’organizzazione che “fornisce tecnologia, ricerca e analisi all’avanguardia per identificare e prevedere le minacce informatiche” e “si impegna a mettere i partner in condizione di diventare proattivi nel proteggersi dalle false narrazioni“. Insomma, specialisti nel combattere la ‘disinformazione‘, che è sempre quella del “nemico”.

L’istituto ha da poco pubblicato un rapporto che cerca di rintracciare l’influenza e soprattutto i soldi cinesi che sarebbero dietro il fortissimo movimento universitario statunitense solidale con la Palestina.

In particolare, il NCRI si concentra su Shut It Down For Palestine (SID4P), una rete internazionale di attivisti che hanno svolto un ruolo importante nelle proteste di questi mesi. Sotto questa sigla operano diverse associazioni, che vengono identificate come facenti parte del ‘Singham Network‘, un insieme di realtà ricondotte a Neville Roy Singham, compreso l’istituto dello storico Vijay Prashad, il Tricontinental Institute.

Singham è un imprenditore statunitense, definito un propagandista del Dragone e un “marxista con un’enorme compagnia di software“. Tramite la sua ragnatela di rapporti e società, dice il NCRI, sosterrebbe i manifestanti e fomenterebbe il conflitto sociale.

Il rapporto mette in guardia dalle relazioni che il SID4P ha con ‘gruppi estremisti‘ che abbracciano “una soluzione violenta a uno stato al conflitto israelo-palestinese“. L’obiettivo non dichiarato, secondo gli estensori del testo, sarebbe in realtà quello di continuare a “destabilizzare gli Stati Uniti” per tutta l’estate 2024, fino alle prossime elezioni di novembre.

Come già successo in altre occasioni, le proteste attuali vengono collegate, almeno per i metodi e le aspirazioni, alle rivolte dell’estate 2020 e a Black Lives Matter. Il NCRI aggiunge che l’occupazione della Hamilton Hall alla Columbia sarebbe parte “di una più ampia e coordinata campagna, influenzata da entità che hanno legami con potenze e organizzazioni terroristiche straniere“.

Ancora una volta viene ripetuto il mantra con il quale è stata giustificata la repressione degli studenti, dagli Stati Uniti all’Europa, ovvero che nei campus agiscono ‘agitatori esterni‘. L’intervento della polizia si rende insomma necessario non perché sia sparito il diritto alla protesta, ma perché vi sono “pericoli per la sicurezza nazionale”: in questo modo, vengono oscurate le rivendicazioni politiche delle manifestazioni e tutto viene ricondotto ad un oscuro “complotto”.

Mettiamo da parte l’ipocrisia sulle influenze straniere, che per gli euroatlantici vanno bene solo quando sono loro i protagonisti. O ancora sulla stigmatizzazione dell’impegno finanziario di un milionario per diffondere nel dibattito pubblico una visione differente sulla Cina, e allo stesso tempo sull’approvazione data a dei miliardari che influenzano i media per far passare le narrazioni israeliane.

Dedichiamo qualche riga invece a un elemento preoccupante che salta all’occhio solo a vedere i curricula dei membri del NCRI. Tra i dirigenti dell’istituto e i suoi ‘strategic advisors‘, cioè i consulenti che forniscono indicazioni sullo sviluppo dell’attività, non sorprende ci siano vari accademici affiliati a grandi università (ad esempio, Stanford e Princeton).

Allo stesso tempo, tra le collaborazioni e le esperienze pregresse di questi personaggi compaiono continuamente le forze armate e anche alcuni dipartimenti – ovvero ministeri – di Washington. Troviamo anche chi è legato a Wall Street, a Google o all’industria farmaceutica, attori fondamentali del grande capitale occidentale.

Tra gli ‘advisors‘, Jacob Shapiro, capo del gruppo, insegna relazioni internazionali ed è un veterano della marina statunitense; mentre Loree Sutton era nell’esercito e lavora ancora per il Dipartimento degli Affari dei Veterani. Questo dipartimento, insieme a quello della Difesa e a quello della Sicurezza Interna (DHS), è tra i primi per dimensioni del bilancio, e non potrebbe essere altrimenti in un sistema di keynesismo militare.

Nel DHS lavora anche il consulente Paul Goldenberg, che in particolare presiede o co-presiede alcuni sotto-comitati centrali, dedicati all’estremismo, al terrorismo interno e quello sulla “radicalizzazione della gioventù“. In pratica, il livello “alto” che ha elaborato le accuse con cui è stata giustificata la repressione degli studenti.

Nel gruppo dirigente del NRCI, è utile soffermarsi sul capo scientifico e co-fondatore Joel Finkelstein. Come un altro paio di nomi tra dirigenti e consulenti, lavora al Miller Center for Community Protection and Resilience (parte della Rutgers University del New Jersey), nato nel 2022 dalla fusione di due istituti con finanziamenti di un ex studente della Rutgers, Paul Miller.

Miller, nella sua carriera, ha lavorato per Pfizer e ha rivestito ruoli apicali sia all’università di Tel Aviv, sia nell’American Jewish Congress, sia nell’American Israel Public Affairs Committee, una delle lobby più potenti del paese (registrata come tale). Per non farsi mancare nulla, ha lavorato anche con la Rand Corporation, il più famoso dei think tank legati al Dipartimento della Difesa.

Il Miller Center ha l’obiettivo di “facilitare il lavoro degli organi di sicurezza“, collaborando con le forze di polizia e sviluppando le migliori strategie per diffonderne gli indirizzi nella comunità. L’attività del NRCI è insomma diretta da chi ha come scopo quello di mantenere lo status quo e far apparire come un pericolo pubblico chiunque sembri metterlo in discussione.

Già questo basterebbe a far dubitare del carattere “interessato” del rapporto da poco pubblicato. Se ci aggiungiamo che il Miller Center, per cui lavorano alcuni importanti esponenti del NCRI, è stato creato da chi è stato coinvolto per una vita nelle attività della principale lobby sionista a stelle-e-strisce, si capisce che questo testo è parte della strategia di criminalizzazione del movimento a favore della Palestina.

Di nuovo, tutti gli elementi fondamentali del ‘nemico interno‘ eterodiretto da ‘forze esterne‘ tornano sul piatto. Solo un fogliaccio come Repubblica poteva rilanciare un “rapporto” del genere, palesemente finanziato per interessi politici ma presentato come “ricerca indipendente”.

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