Circa un mese e mezzo fa il ministro degli Esteri israeliano, Israel Katz, era a Roma per una missione diplomatica di due giorni. In questa breve visita romana, insieme ad alcuni familiari dei prigionieri del 7 ottobre, ha incontrato il suo omologo italiano Antonio Tajani e il ministro della Difesa, Guido Crosetto.
Il suo obiettivo era assicurarsi la continuazione del sostegno al genocidio dei palestinesi, e a giudicare dal successivo atteggiamento italiano, ad esempio all’ONU, sicuramente ha raggiunto i suoi scopi. Un po’ meno il governo italiano, che deve notare come la contrarietà allora espressa all’attacco a Rafah non ha fermato Tel Aviv, che ormai non risponde più a nessuno.
Ma è importante sottolineare i toni con cui Katz si è avvicinato a questi incontri, soprattutto per i risvolti delle settimane successive. Minacce sul futuro terrorismo che avrebbe vissuto il paese, a suo avviso di matrice islamica, quando in realtà le uniche violenze che si sono registrate sono quelle sioniste.
Poco prima della partenza, Katz ha scritto su X: “il messaggio che trasmetto nelle conversazioni e negli incontri con i ministri degli Esteri dei paesi occidentali è: se non ci sostenete adesso, domani troverete nelle vostre strade e nelle vostre case il terrorismo islamico estremista guidato dall’Iran. La nostra guerra è anche la vostra guerra“.
In pratica, parafrasando le parole molto nette dette del ministro degli Esteri di Tel Aviv, se l’Italia non avesse sostenuto senza se e senza ma la politica di Israele, la guerra dal Medio Oriente sarebbe arrivata direttamente da noi. In sostanza, ci saremmo trovati la “guerra in casa“.
Del resto, sappiamo bene che la guerra imperialista, nelle varie forme che assume, alla fine si ripresenta anche in una guerra interna, per sostenere la mobilitazione produttiva e ‘di legittimazione’ richiesta dal conflitto. Il risultato è un peggioramento delle condizioni di vita dei settori popolari e un’involuzione autoritaria dei pur limitati spazi di dissenso della democrazia liberale.
Per questo personaggi come David Gilbert invitavano a che fossero soggettività rivoluzionarie ad assumersi il compito di portarla avanti, questa “guerra in casa“, ma in senso antimperialista. Ovvero trasformassero l’opposizione alla guerra e al suprematismo bianco in una lotta contro il dominio del capitale e dei suoi rappresentanti politici.
Tornando all’attualità, il discorso di Katz, pur additando nell’Iran il pericolo, aveva proprio il senso di mettere in guardia sul fatto che ‘l’internazionale sionista‘ non avrebbe permesso a nessuno di ostacolare il massacro a Gaza. E chi l’avesse fatto, avrebbe dovuto fare i conti col terrorismo.
Israele ha in realtà minacciato i movimenti contro la guerra sviluppatesi nei paesi alleati, e anche in Italia. Il messaggio era che la guerra che Tel Aviv combatte è la guerra che l’Occidente deve portare avanti, fuori e dentro i propri confini, pena il terrorismo... ma quello sionista, non iraniano.
Come succede già per chi, da israeliano, si oppone al genocidio, anche in Italia le parole si sono trasformate presto in fatti. Dopo poco più di due settimane, ci sono stati i barattoli e i petardi lanciati sulle teste dei manifestanti a Porta San Paolo, a Roma (con una giornalista zittita in diretta TV quando ha provato a raccontare la carica sionista).
Poi è arrivata la notizia che il ministro della Sicurezza Nazionale Ben Gvir vuole organizzare delle ‘squadre di allerta‘, ovvero squadracce armate, vere e proprie forze paramilitari nei paesi alleati, agli ordini di Tel Aviv. Si sono poi susseguiti una serie di atti intimidatori, di cui abbiamo reso conto anche sul nostro giornale.
Gli studenti, in prima fila nella solidarietà internazionalista con la resistenza palestinese, sono stati tra i primi a essere presi di mira. Un gruppo di sionisti a volto coperto, in pieno pomeriggio, ha vandalizzato la targa che era stata apposta all’entrata della facoltà di Fisica in ricordo di Sufiah Tayeh, fisico e rettore dell’università di Gaza.
Il culmine – per ora – si è raggiunto con l’assalto a Chef Rubio, un indubbio salto di qualità della violenza sionista. Fatto con un martello e un mattone e mirando alla testa del cuoco, crediamo che gli estremi per parlare di tentato omicidio ci siano, a un personaggio già identificato da esponenti di spicco della Comunità ebraica romana, come un nemico di Israele.
Insomma, assistiamo appunto alla guerra che, dalla Palestina, arriva fino a noi, in una vera e propria catena di responsabilità (politiche, morali e materiali) che va dal governo Netanyahu, ai maggiori esponenti del sionismo nostrano, fino alla manovalanza che si occupa di azioni concrete. Azioni dirette contro civili, vero e proprio terrorismo appunto.
Il titolo di questo articolo, dunque, è di certo potente, e forza un paragone storico con un’epoca in cui la conflittualità sociale era molto più alta e durante la quale da più parti si cercava di insabbiare il coinvolgimento dei fascisti negli eventi delittuosi che compivano. Ma il terrorismo, passando dall’eversione nera ai sionisti, produce anche oggi un clima di guerra interna ai movimenti solidali con la Palestina e promotori della giustizia sociale.
Poco e nulla è stato detto dalle istituzioni contro l’ondata di violenza appena ricordata, mentre ministro dell’Interno e ministro dell’Università si sono riuniti per lanciare l’allarme sugli ‘infiltrati‘ tra gli studenti. Il quadro che si delinea è preoccupante, e non è il frutto di sfortunate coincidenza: è stato annunciato con precisione sin dalle parole di Katz di inizio aprile, e costruito concretamente nelle settimane successive.
O ci si mette in testa che la fase storica è cambiata, e sta cambiando, con forti eruzioni sociali e conflittualità politica prodotta direttamente su grandi nodi degli assetti internazionali, o si rimane indietro. E si rischia pure di finire sotto gli attacchi sionisti.
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