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31/05/2024

I Brics anticipano la caduta del dollaro

Le diverse affermazioni di sovranità nazionale nel mondo e la politica di emancipazione monetaria dei Brics stanno colpendo duramente l’egemonia del dollaro. Quella monetaria è una delle armi del ricatto statunitense che si sta rivelando sempre meno “performante” nel fare obbedire gli Stati che rifiutano di conformarsi agli interessi imperialisti americani. In futuro ancor più che in passato, è sul terreno economico e finanziario che si inasprirà la contraddizione tra unilateralismo occidentale e visione multipolare dei paesi del Sud.

I tempi in cui gli Stati Uniti dettavano legge al mondo intero sembrano ormai lontani, se teniamo conto del legame stretto che esiste tra una serie di eventi apparentemente non correlati che si sono consumati nelle ultime settimane.

Naturalmente, Washington e i suoi alleati dispongono ancora di molti mezzi d’azione ufficiali o segreti, sia legali che illegali, per imporre i propri interessi. Ma si scontrano sempre più frequentemente e con maggiore forza con le affermazioni di sovranità nazionale in tutti i campi, da quello militare a quello economico, da quello politico a quello diplomatico.

Anche senza essere esaustivi non sarà inutile ricordare qualche fatto importante, avvenuto in questi campi nelle ultime settimane.

Riconquista di sovranità

Cominciamo dal settore militare, dove gli Stati Uniti dispongono ufficialmente di 800 basi militari all’estero con quasi 200.000 soldati, praticamente il 10% del totale del personale militare statunitense. In confronto, la Russia ha solo una ventina di basi militari all’estero, situate principalmente sul territorio delle ex repubbliche sovietiche. La Cina, invece, ha solo una base militare all’estero.

Nonostante questa situazione, l’annuncio, a febbraio 2024, dell’apertura di una base militare russa in Centrafrica ha dato luogo ad una serie di dichiarazioni occidentali sul pericolo imperialista russo. I programmi di progetti simili in Burkina Faso, in Sudan e in Niger sono stati commentati ampiamente con lo stesso leitmotiv.

Non c’è nulla di nuovo sotto il sole della propaganda statunitense, a parte il fatto che si scontra con l’indifferenza di un numero di paesi sempre più numeroso.

È il caso del Niger, dove il governo non solo ha chiesto agli Stati Uniti di rimpatriare i suoi soldati di stanza in due basi sul territorio nazionale, ma ha anche reagito prontamente alla lentezza di Washington. In reazione alla lentezza degli Stati Uniti nel lasciare il Niger, con il pretesto che ci vuole tempo per trasferire le truppe nei Paesi vicini, il governo nigerino ha semplicemente autorizzato il governo russo a dislocare i propri soldati in queste due basi ancor prima della partenza delle truppe statunitensi. In un certo senso, si tratta di un modo per avvertire e anticipare eventuali volontà velleitarie statunitensi di mantenere delle forze sul territorio nazionale nigerino.

Dopo il ritiro delle truppe francesi dal Mali, dal Niger e dal Burkina Faso e la creazione, a marzo, dell’Alleanza degli Stati del Sahel, che prevede l’istituzione di una forza militare congiunta, stiamo assistendo a un’importante espressione delle sovranità nazionali in materia di difesa di fronte alle consuete interferenze di Francia, Stati Uniti e NATO.

Visioni politiche contrapposte

In termini politici, la vittoria elettorale del candidato dell’opposizione Bassirou Diomaye Faye rafforza l’influenza delle forze patriottiche nella regione. Sebbene sia ancora troppo presto per valutare l’impatto di questa vittoria democratica sulla regione, è innegabile che sia vista come un segno di speranza per tutti coloro che sperano in una rottura con le politiche neocoloniali.

Molti commentatori editoriali hanno cercato di contrapporre l’esperienza senegalese a quella dell’Alleanza degli Stati del Sahel. La prima viene descritta come democratica e la seconda come dittatoriale. Ancora una volta, l’obiettivo è dividere per regnare, opporre per manovrare, adulare per manipolare.

Su un’altra questione, quella del genocidio subito dal popolo palestinese, gli Stati Uniti hanno appena ricevuto una batosta mondiale in seguito al voto, da parte di 143 Stati su 194, di una risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che chiede il riconoscimento dello Stato di Palestina come Stato membro.

Si tratta di uno schiaffo a Washington, poiché sono sttati i successivi veti degli Stati Uniti in seno al Consiglio di Sicurezza a bloccare l’adesione della Palestina. La Colombia ha persino deciso di interrompere le relazioni diplomatiche con lo Stato sionista e la Turchia è stata costretta, di fronte alla mobilitazione dell’opinione pubblica, a interrompere le relazioni commerciali con Tel Aviv.

Il nervo della guerra

È sul fronte economico, ovviamente, che si svolge il principale confronto tra l’unilateralismo statunitense e l’emergente mondo multipolare. Ne è testimonianza la dichiarazione rilasciata il 3 maggio dal rappresentante russo presso il Fondo Monetario Internazionale, Alexey Mozhin.

Mozhin ritiene che “I BRICS devono prepararsi a un eventuale collasso del sistema monetario internazionale. È possibile anticipare questa crisi creando una moneta basata su un insieme di valute dei Paesi membri. Una proposta di questo tipo è attualmente in fase di elaborazione. In caso di un crollo del dollaro e del sistema monetario internazionale, sarà ovviamente necessario trasformare l’unità contabile dei BRICS in una vera e propria valuta”.

Questo annuncio estende i piani di accelerazione della dedollarizzazione, annunciati dai BRICS all’inizio del 2024. L’obiettivo per quest’anno è di raggiungere il 30% del commercio denominato in una valuta diversa dal dollaro.

Lo scorso gennaio, il vice ministro delle Finanze russo, Ivan Chebeskov, ha dichiarato che “la maggior parte dei Paesi BRICS crede nella necessità di effettuare i pagamenti in valuta nazionale. Siamo già una grande famiglia composta da dieci nazioni. La maggior parte di loro sostiene la necessità di creare nuovi meccanismi di pagamento e condivide la propria esperienza nello sviluppo di valute digitali delle banche centrali”.

Moneta alternativa

In altri termini, i BRICS (Brasile – Russia – India – Cina – Sudafrica) tentano di liberarsi dalla rete SWIFT creando un sistema alternativo di pagamento internazionale.

Ricordiamo che la rete internazionale di pagamenti SWIFT riunisce migliaia di istituzioni finanziarie in tutti i paesi del mondo. Il potere degli Stati Uniti di disconnettere un Paese dalla rete SWIFT ha quindi effetti economici immediati, gli scambi economici diventano molto più complicati e tendono a diminuire rapidamente.

La minaccia di disconnessione è un’importante arma di ricatto che è già stata usata in diverse occasioni: due volte contro l’Iran, una contro la Corea del Nord e attualmente contro la Russia come sanzione per la guerra in Ucraina. La seconda banca russa, VTB, ha annunciato una perdita di 612 miliardi di rubli per il 2022 a causa della disconnessione dalla rete SWIFT. Solo lo sviluppo del commercio in altre valute ha permesso alla Russia di evitare il collasso economico.

Aprendo la strada alla dedollarizzazione e all’eventuale creazione di un nuovo sistema di pagamento internazionale, basato prima su una nuova unità contabile comune e, in seguito, eventualmente, su una nuova moneta internazionale, uno dei mezzi principali del ricatto degli Stati Uniti è messo sotto attacco.

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