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31/05/2024

40 anni di Born In The U.S.A.

Bruce Springsteen - Born In The U.S.A.
(Columbia, 1984)

"A cool rockin' daddy in the U.S.A."

Muscoli, sudore e un pugno levato verso il cielo. Inutile negarlo: nell'immaginario popular, la figura di Bruce Springsteen sarà sempre legata a quella del rocker operaio di "Born In The U.S.A.". Icona per eccellenza dell'inno da stadio, sintesi della grandeur rock anni Ottanta, hit ipersfruttata ogniqualvolta sventola una bandiera a stelle e strisce. Dalla marcia trionfale del synth di Roy Bittan agli echi metallici della batteria di Max Weinberg, tutto sembra concorrere ad un senso di marziale celebrazione. Ma l'impeto stentoreo della voce di Springsteen tradisce subito che la sostanza, in realtà, è tutt'altra: "patriottismo arrabbiato", lo definirà Bruce stesso quasi trent'anni dopo, parlando di un album destinato a condividere con "Born In The U.S.A." più di un punto di contatto, "Wrecking Ball". Ma per capire di che cosa si tratta, occorre fare un passo indietro.

"In a dead man's town"

Sullo schermo del televisore, i lineamenti squadrati di Ronald Reagan parlano all'America. È notte nel New Jersey. L'eco del telegiornale si mescola ai pensieri, mentre le dita scorrono lungo le corde della chitarra acustica.

Dopo il tour di "The River", Bruce Springsteen sente il bisogno di un nuovo orizzonte. Non più solo la dimensione esistenziale del "runaway american dream" che ha sempre intessuto le storie dei suoi personaggi, ma la portata più marcatamente politica di una consapevolezza maturata nel corso degli anni.

Nel silenzio della sua casa del New Jersey, Springsteen prende un semplice registratore a quattro tracce e comincia a incidere nuove canzoni che parlano di delinquenti, poliziotti e giocatori d'azzardo. Soprattutto, parlano del nesso tra il cuore dell'uomo e la società che lo circonda: "c'è un sottile confine che divide l'eternità da quell'attimo in cui il tempo si arresta e tutto diventa nero, quando le cose che ti connettono al tuo mondo – il tuo lavoro, la tua famiglia, gli amici, la fede, l'amore – ti abbandonano".

Gli bastano chitarra e armonica, proprio come nei vecchi dischi di Woody Guthrie che ascolta sempre più spesso. All'inizio sono solo dei demo su cui lavorare con la E Street Band per il nuovo disco. Ma gli arrangiamenti che prova insieme al gruppo non riescono a cogliere l'essenza dei brani. O forse è lui che sente il bisogno di mettersi in gioco in prima persona, di cercare la propria strada senza più gli amici di sempre al fianco. Fatto sta che sono proprio quei demo ad andare a comporre uno dei capitoli più intensi della discografia di Springsteen, "Nebraska".

I dieci brani del disco, come al solito, sono solo una minima parte del materiale scritto durante la lavorazione di "Nebraska". Una canzone, in particolare, si incentra su un tema che Springsteen non riesce a togliersi dalla mente: la ferita che la guerra del Vietnam ha lasciato nel profondo dell'America. Come spiega lui stesso, è un brano che parla della "crisi spirituale di un uomo della working class. Non c'è più nulla che lo tenga legato alla società. Isolato dal governo, isolato dalla sua famiglia. Fino al punto in cui nulla sembra più avere senso". All'inizio l'ha intitolata semplicemente "Vietnam", proprio come la canzone del suo idolo Jimmy Cliff. Poi, però, il regista Paul Schrader, autore della sceneggiatura di "Taxi Driver" e "Toro scatenato", gli ha dato il copione di un nuovo film, chiedendogli di scrivere un brano per la colonna sonora. Il titolo è "Born In The U.S.A.". E Bruce capisce subito di avere trovato le parole che stava cercando.

"Like a dog that's been beat too much"

Per chiunque sia cresciuto in America a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, il Vietnam è come un'ombra apparentemente impossibile da esorcizzare. All'inizio degli anni Ottanta, a poco più di un lustro dalla fine della guerra, i reduci del Vietnam sono dimenticati da tutti e abbandonati a loro stessi, come un peso da rimuovere dalla coscienza della Nazione. Springsteen rimane colpito dalle loro storie soprattutto dopo la lettura dell'autobiografia di Ron Kovic "Nato il quattro luglio", da cui Oliver Stone trarrà il celebre film con Tom Cruise.

Nel corso del tour di "The River", dedica un concerto all'associazione "Vietnam Veterans Of America" e proprio in quell'occasione spiega quale sia per lui il vero nocciolo della questione: "È come quando stai camminando lungo una strada buia, di notte, e con la coda dell'occhio vedi qualcuno che viene ferito o picchiato in un vicolo buio, ma tu continui a camminare perché pensi che non ha niente a che fare con te e che vuoi solo andare a casa. Il Vietnam ha trasformato il nostro intero Paese in quella strada buia. E se non siamo in grado di andare fino in fondo a quei vicoli bui e di guardare negli occhi gli uomini e le donne che sono laggiù e le cose che sono successe, non potremo più tornare a casa".
 
Ecco allora quello che sta più a cuore a Springsteen: raccontare di un vincolo di solidarietà che si è andato a spezzare. Un vincolo di solidarietà umana che è il legame capace di tenere unito un popolo. Il Vietnam è lo smarrimento della strada di casa, l'emblema del venir meno di quel legame. Cuori nati per correre che non hanno più nessun luogo dove andare, nessuna speranza per cui lottare: "Nowhere to run, nowhere to go".

Dal primo abbozzo di "Vietnam" nascono due brani: "Born In The U.S.A." e "Shut Out The Light", destinata a diventare la b-side del singolo. La versione di "Born In The U.S.A." che Springsteen registra nel gennaio del 1982 (e che verrà poi pubblicata nell'antologia di outtakes "Tracks") è scheletrica e amara come i momenti più emblematici di "Nebraska". Ma il destino è un altro, per questa canzone. Appena qualche mese dopo, Springsteen la registra nuovamente al fianco della E Street Band: sarà questa la versione che, nel 1984, darà il titolo al disco più venduto della carriera del rocker americano.

"Don't you understand now?"

Mentre Madonna si avventura in compagnia di un leone tra le calli di Venezia, c'è un video che mostra un'America fatta di fabbriche in crisi, tatuaggi di veterani e lapidi bianche allineate sull'erba di un cimitero. Un anticipo della stagione del gigantismo rock alle porte, da "We Are The World" al "Live Aid", deciso a cambiare il mondo dal palco di uno stadio. Ma a rimanere impressa, negli occhi di chi guarda MTV alla fine del 1984, è soprattutto l'immagine di quel cantante che urla nel microfono con una fascia nera sulla fronte e un giubbotto di jeans sopra la giacca di pelle, quintessenza di machismo che sembra uscire direttamente da una scena di "Rambo".

"Sapevo che "Born In The U.S.A." era una di quelle canzoni che ti capitano solo una volta ogni tanto", ammette Springsteen. "Aveva una forza dentro che sembrava indicare qualcosa di essenziale, un po' come "Born To Run" ". Il successo di "Born In The U.S.A.", però, supera anche le sue aspettative: pubblicato come terzo singolo tratto dall'album, il brano raggiunge la top ten di Billboard, scalando le classifiche di tutto il mondo e contribuendo a portare l'album al primo posto delle vendite negli Stati Uniti nel 1985. Quasi vent'anni dopo, "Rolling Stone" la includerà tra le 500 più grandi canzoni rock di tutti i tempi. Eppure, poche altre canzoni, nella carriera di Springsteen, sono state equivocate quanto "Born In The U.S.A.". "Per capire l'intento della canzone bisognava investire una certa quantità di tempo e di energie per assorbire sia la musica che le parole", osserva. "Ma questo non è il modo in cui molta gente usa la musica pop. Per la maggior parte della gente, la musica è prima di tutto un linguaggio emotivo; qualunque cosa tu abbia scritto nel testo viene quasi sempre dopo ciò che l'ascoltatore sta provando".

Tutta l'attenzione va a concentrarsi sull'enfasi a presa rapida del ritornello, trascurando la drammaticità della storia che racconta. In realtà, "Born In The U.S.A." è costruita secondo il canone tipico dei brani di Springsteen: "Nelle mie canzoni, la parte più spirituale, la parte della speranza è sempre nel chorus. Il blues e la realtà di tutti i giorni sono nei dettagli dei versi. È qualcosa che ho preso dalla musica gospel e dagli inni sacri".

L'episodio più clamoroso di questo fraintendimento avviene nel bel mezzo della campagna elettorale per la rielezione di Reagan, nell'autunno del 1984. Durante un comizio in New Jersey, infatti, il Presidente tenta di cavalcare il successo di "Born In The U.S.A.", affermando che il futuro dell'America "si trova nel messaggio di speranza delle canzoni che tanti giovani americani ammirano: quelle di Bruce Springsteen". La risposta di Springsteen non tarda ad arrivare e due giorni dopo, dal palco di una delle tappe del tour di "Born In The U.S.A.", il songwriter del New Jersey presenta così la sua "Johnny 99": "Il Presidente mi ha citato, l'altro giorno, e mi sono chiesto quale possa essere il suo album preferito. Non penso che sia "Nebraska". Non penso che abbia mai ascoltato questa canzone".

La scelta è tutt'altro che casuale: l'arringa finale con cui il protagonista di "Johnny 99" si rivolge al giudice che lo sta per condannare per una rapina finita in tragedia è la perfetta sintesi della visione springsteeniana: "Now judge, judge I had debts no honest man could pay/ The bank was holdin' my mortgage and they was takin' my house away/ Now I ain't sayin' that makes me an innocent man/ But it was more 'n all this that put that gun in my hand". In "Born In The U.S.A.", lo stesso giudizio si condensa in una frase, nell'impotenza di quel "Son, if it was up to me..." che soffoca ogni speranza di trovare un lavoro per i figli della working class di ritorno dalla guerra. Con buona pace del Presidente e del suo tentativo di procacciarsi un improbabile endorsement da parte della rockstar del momento.

"Burning down the road"

1996. Le urla hanno lasciato il posto ai sussurri, gli stadi ai teatri. Springsteen non indossa più la bandana degli anni Ottanta, ma una camicia da lavoro che evoca l'era della Grande Depressione. Il disco che presenta sul palco si intitola "The Ghost Of Tom Joad" ed è il suo primo album acustico dai tempi di "Nebraska". Anche "Born In The U.S.A." non è più la stessa: ora ha assunto l'aspetto di un blues aspro e tagliente, la melodia ridotta a un recitativo, l'esaltazione del chorus completamente prosciugata. Alla fine, la musica si spegne sul ritmo di una chitarra percossa come il battito di un cuore.
 Non è facile convivere con una canzone tanto popolare da assumere i tratti dell'icona. "Il successo di "Born In The U.S.A. mi inquietava", ricorda Springsteen. "Sapevo che era impossibile raggranellare qualche dollaro senza sacrificare qualcosa sull'altare di Billboard, ma mi ritrovavo in una situazione in cui il mito del successo era così potente da schiacciare la storia che credevo di stare raccontando". Nonostante un'offerta milionaria, Springsteen rifiuta di concedere l'utilizzo del brano per uno spot pubblicitario della Chrysler: "Nel 1985 ero diventato un sottoprodotto della carne della catena alimentare degli Stati Uniti", riflette. Ma è impossibile sfuggire alla macchina del music business: il brano diventa così famoso da costringere persino Paul Schrader, l'inventore dello slogan "Born In The U.S.A.", a cambiare il titolo del suo film in "Light Of Day", prendendo spunto dal nuovo brano che Springsteen scrive per la colonna sonora della pellicola.

Springsteen sceglie così la via più dylaniana di tutte: riappropriarsi di "Born In The U.S.A." riscrivendola da capo. Non solo durante il tour di "The Ghost Of Tom Joad", ma anche in quello di "Devils & Dust", in cui l'acidità dell'armonica e i riverberi di un microfono distorto trasformano il brano in un selvaggio incubo alla Tom Waits. Ma non per questo Springsteen rinnega la versione "ufficiale" del brano: "Quelle interpretazioni risaltavano sempre grazie al confronto con l'originale e guadagnavano un po' del loro nuovo potere dall'esperienza precedente del pubblico con la versione dell'album. Nel disco, "Born In The U.S.A." era presentata nella sua forma più potente. Se avessi cercato di tagliare qualcosa o di modificare la musica, penso che avrei ottenuto un disco che avrebbe potuto essere compreso più facilmente, ma non così buono". Ecco perché, al fianco della rinata E Street Band, "Born In The U.S.A." può anche riprendere il suo volto più vigoroso e solenne: l'identità, ormai, è stata riconquistata.

La parabola di "Born In The U.S.A.", insomma, ha molto a che vedere con la natura stessa di una canzone, con l'essenza della sua forma espressiva: "Il modo in cui si sceglie di presentare la propria musica rappresenta il suo significato? Il suono e la forma che una canzone assume costituiscono anche il suo contenuto?". A queste domande, Springsteen risponde sottraendosi all'equivoco di una forma definitiva e immutabile, per restituire al contenuto tutta la sua forza comunicativa. Una forza che deriva direttamente dal rapporto intimo e viscerale con chi ascolta: "Faccio il musicista per cercare e trovare i miei fratelli e le mie sorelle. È questa l'essenza del mio lavoro". Il legame spezzato può ancora riallacciarsi. Potenza di una canzone, e di un pugno teso verso il cielo.

Born down in a dead man's town
The first kick I took was when I hit the ground
You end up like a dog that's been beat too much
Till you spend half your life just covering up

Born in the U.S.A.
I was born in the U.S.A.
I was born in the U.S.A.
Born in the U.S.A.

Got in a little hometown jam so they put a rifle in my hand
Sent me off to a foreign land to go and kill the yellow man

Born in the U.S.A.
I was born in the U.S.A.
I was born in the U.S.A.
Born in the U.S.A.

Come back home to the refinery
Hiring man says "Son, if it was up to me..."
Went down to see my V.A. man
He said "Son, don't you understand now?"

I had a brother at Khe Sahn fighting off the Viet Cong
They're still there he's all gone
He had a woman he loved in Saigon
I got a picture of him in her arms now

Down in the shadow of the penitentiary
Out by the gas fires of the refinery
I'm ten years burning down the road
Nowhere to run, ain't got nowhere to go

Born in the U.S.A.
I was born in the U.S.A.
Born in the U.S.A.
I'm a long gone daddy in the U.S.A.
Born in the U.S.A.
Born in the U.S.A.
Born in the U.S.A.
I'm a cool rocking daddy in the U.S.A.

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